A.C. 1515
Grazie, Presidente, Sottosegretario Freni, colleghe e colleghi. Lei Presidente mi consentirà una postilla di metodo e di merito. Io condivido - le parrà strano Presidente - quanto è stato detto dalla collega Lucaselli sul fatto che noi rispetto a questo provvedimento ci troviamo dinanzi a un atto di buon Governo, e fin qui siamo d'accordo. Però, la collega omette di sottolineare il perché del buon Governo. L'atto di buon Governo in questo caso è perché ogni tanto capita che anche il Governo Meloni dia atto e seguito a quella che si chiama, nella prassi istituzionale, continuità amministrativa. Questo è un provvedimento del quale più Governi precedenti hanno discusso e hanno messo in piedi il quadro normativo, la discussione. Presidente, è un po' come se noi ponessimo la domanda dei cittadini rispetto a quale dei sindaci vada dato il merito tra colui che pensa e prepara il progetto, colui che trova le risorse e realizza i lavori o colui che taglia il nastro per inaugurare l'opera. In realtà, il buon senso - i cittadini lo sanno - ci porterebbe a ringraziare tutti e tre i sindaci, perché ognuno di essi ha svolto un'opera meritoria rispetto a quell'opera. Noi ci troviamo, rispetto a questo provvedimento, esattamente in questa dimensione. Guardate, la discussione, che ha coinvolto organizzazioni internazionali come l'OCSE e lo stesso MEF attraverso il Libro Verde, come dicevo, sottolinea un aspetto che è stato ricordato da tutte e tutti coloro che mi hanno preceduto, ovvero il concetto di competitività rispetto al quale questo Paese vive in un cronico ritardo. Rispetto a questo ritardo, però, ci sono due direttrici, a nostro avviso, che vanno valutate attentamente. La prima riguarda la specificità europea e, infatti, l'Europa è impegnata, da diversi anni, in una serie di iniziative, alcune delle quali sono ancora in corso, che cercano di completare quel processo volto al raggiungimento concreto di una libertà di circolazione di capitali, che è uno dei pezzi determinanti e importanti, se vogliamo, per la realizzazione ed è il punto di approdo finale di un mercato unico vero e proprio. Come sappiamo, infatti, questo non vale solo per la mobilità dei capitali, vale anche per la portabilità dei diritti ma, soprattutto, per l'intero grande tema dell'armonizzazione fiscale; chissà mai se un giorno la vedremo concretamente. Questa armonizzazione nella competitività europea all'interno del mercato globale internazionale, ovviamente, ci deve portare anche a una sorta di specializzazione finanziaria alla quale bisogna attribuire, nei mercati di tutta Europa, certezza, sicurezza, tutela dei risparmiatori, indipendenza delle autorità nonché la capacità di promuovere una armonizzazione europea che incrementi non solo la competitività dei singoli Stati membri rispetto agli altri in Europa - anche questo è un grande tema che affrontiamo - ma anche e soprattutto la competitività europea all'interno del quadro internazionale. Per fare questo, i punti di partenza sono noti. In base ai dati di qualche anno fa, avevamo una media di quattro società quotate in Borsa nel mercato regolamentato italiano, il 90 per cento delle obbligazioni societarie viene quotato in Borse estere e solo il 7 per cento dei portafogli degli investitori istituzionali con azioni e obbligazioni societarie emesse da aziende italiane. Questo è già un primo elemento e le sto citando quanto realizzato dal MEF nel Libro Verde. Dall'altra parte, però, gli investitori italiani, sia direttamente sia indirettamente, hanno allocato 190 miliardi di euro in equity, in investimenti in capitale di rischio oltre confine. Questo ci dà il quadro della necessità dell'intervento ed è il motivo per il quale il Partito Democratico ma anche le altre forze - perché noi ogni tanto dobbiamo, anche rispetto a provvedimenti che sono di interesse nazionale e collettivo e che vedono la compartecipazione, nel fluire del tempo, tra i Governi e le forze politiche, in questa sede anche riconoscerlo e riconoscere questi passaggi - hanno posto il tema della spinta che deve essere data al mercato dei capitali e a una serie di riforme che vanno fatte e che riguardano la trasparenza, l'educazione finanziaria, l'indipendenza delle autorità di vigilanza - di nuovo - e soprattutto alcuni strumenti legati alla governance. A tale proposito, mi piace richiamare una notizia positiva contenuta nell'ultimo rapporto dell'OCSE secondo cui, in realtà piccole e medie, le imprese italiane hanno visto crescere il fatturato del 10 per cento negli ultimi anni rispetto alle loro concorrenti europee e credo che questo sia un punto. Poi, ognuno lo può ascrivere come vuole e immaginiamo che il processo e gli atti dei primi 14 mesi di questo Governo siano stati significativi. In realtà, mi verrebbe quasi da dire che nonostante i Governi, così non risparmio nessuno, questo sistema, in un certo qual modo basato su una storicità, sulla capacità del produrre italiano, del saper produrre in Italia, del know-how e delle competenze italiane, dimostra di riuscire a crescere e mantenere.
A questo punto, veniamo alla questione della riforma e quindi di come si sta intervenendo. Debbo dire, da questo punto di vista, Presidente, che siamo partiti da un testo che avete ereditato, questo è un fatto, dai Governi precedenti e che affrontava diciamo con un certo equilibrio alcune questioni.
È stato ereditato, ed è testimoniato, plasticamente, anche dalla figura del Sottosegretario Freni che non credo sia un novizio appena arrivato e non credo non abbia avuto a che fare con i Governi precedenti. Quindi, questa continuità è dimostrata anche plasticamente, per fortuna, dalle persone che, in carne e ossa, hanno lavorato e continuano a lavorare su questi provvedimenti. Poi è chiaro, colleghe e colleghi, noi abbiamo una diversa sensibilità - o, se volete, diverse sfumature - su alcuni punti in particolare, ma, tutto sommato, il quadro e l'impianto complessivo erano condivisibili prima e restano condivisibili oggi, ripetendo nuovamente, i pilastri di condivisione, che sono la certezza, la trasparenza, la semplificazione e, soprattutto e in particolar modo, la semplificazione nell'accesso al mercato dei capitali, alla quale si lega anche la questione della governance, ridefinendola attraverso la disciplina delle Autorità nazionali di vigilanza e, soprattutto, attraverso misure di inclusione finanziaria e misure che riguardano il patrimonio destinato.
Ora, rispetto a tale quadro, nel dibattito svolto abbiamo sicuramente aspetti positivi, quelli che ho appena citato e che ci vedono appunto concordi; tuttavia, c'è stata, nell'ambito di questo provvedimento - che ricordo sempre a me stesso, è stato avviato tempo fa -, anche una sorta di ritardo, di un dibattito che, in un certo qual modo, a un certo punto si era impantanato e rischiava di farci perdere l'equilibrio che era stato trovato. Faccio questa sottolineatura - e il relatore Filini sa bene dove voglio andare a parare - in quanto mi riferisco al tema della governance, che va affrontato con l'equilibrio, con l'attenzione, con la delicatezza che necessita un tema così delicato. Si tratta di un tema nel quale noi dobbiamo tener presente innanzitutto le esigenze degli investitori e dei finanziatori, che devono essere confacenti anche alle esigenze dei portatori di interesse. Infatti, quando, in una materia del genere, parliamo di conflitti di interesse fra management e azionisti, dobbiamo tenere presente che esistono modelli, sì, internazionali, verso i quali vogliamo convergere, ma che, allo stesso tempo, devono tenere conto delle specificità della nostra forma di gestione dei capitali o, se vuole, Presidente, della diversity of capitalism che abbiamo anche in questo Paese e, poi, ovviamente della tradizione che ogni Paese ha, di ogni sviluppo del proprio processo capitalistico che ogni Paese ha, che non possono essere allineate così, con un tratto di penna, con un provvedimento.
Noi abbiamo da contemperare un trade off abbastanza evidente e difficile, che ha bisogno appunto di equilibrio, con le esigenze del management di poter avere - come dire? - la libertà di esprimere la propria azione da quella degli azionisti che devono tutelare i propri investimenti. È qui il punto. D'altronde, la politica cos'è, se non l'elemento centrale, il connettore che genera punti di equilibrio tra interessi contrapposti? Allora, credo che questo sia il punto nodale. Però, per fare tutto questo vanno evitati due rischi opposti, secondo noi. Da una parte quello che viene chiamato short termism, cioè, tradotto, la speculazione, l'ingresso di investitori che non fanno nient'altro che applicare l'hit and run, ovvero “prendi i soldi e scappa”, senza investimenti di lungo periodo, soprattutto in alcuni settori strategici, ed evito citazioni, per carità di Patria. Credo che questo sia un punto nodale, perché molte volte - lo dico soprattutto perché è materia complessa e mi rendo conto che si fa fatica anche a scaldare gli animi delle persone su questi temi - è il caso al quale noi abbiamo assistito, nel lungo processo della storia repubblicana. Noi abbiamo asset strategici nei quali abbiamo incentivato, facilitato l'ingresso di investitori, i quali non hanno fatto nient'altro che dare dimostrazione di volerli mantenere in vita per un certo lasso di tempo ma, allo stesso tempo, poi hanno portato a spegnimento quell'asset strategico perché era in competizione con il loro asset strategico nel Paese dal quale venivano. Allora, questi sono elementi che non hanno distinzione di parte, non hanno distinzione di partito, non hanno distinzione di colore; sono elementi che debbono essere la priorità per tutte e tutti noi.
Dall'altra parte, però, ce lo dobbiamo anche dire, noi siamo anche il Paese che, in un certo qual modo, tende a preservare lo status quo in molti ambiti. Pecchiamo, come quando, nel Libro verde, il MEF sottolinea il cronico ritardo. Tra questi cronici ritardi, se volete, uno è quello di non avere capacità di innovazione, di non riuscire a riformare adeguatamente i processi di governance, che bloccano in una sorta di staticità quella che è la governance stessa di molte società. Da questo punto di vista, se non stiamo attenti, questo può produrre una sorta di perdita di un punto essenziale e fondamentale del mercato per il controllo delle imprese, cioè l'idea che un potenziale investitore, che vuole entrare in un'azienda, convinto di poter portare un valore aggiunto e, quindi, contribuire al processo di innovazione di quell'azienda, abbia, invece, una sorta di deterrente a fare investimenti - anche cospicui - perché si rende poi conto che questi investimenti non lo portano ad incidere nel processo di cambiamento. Noi siamo a questo bivio: da un lato, evitare sciacalli e speculatori, dall'altro, creare le condizioni, per chi vuole realmente investire in determinati asset e imprese, di poter contribuire al processo di cambiamento.
Quello di partenza, come ricordato, era un punto di equilibrio, poi c'è stata improvvisamente una sorta di rincorsa caotica - la definisco così -, in particolare sui punti che riguardano il voto maggiorato e plurimo. Era un'esigenza presente, ed era stata tracciata già nel Libro verde del MEF, dove sostanzialmente si chiedeva un punto importante: l'armonizzazione anche su questo tema, perché abbiamo diverse imprese che poi, alla fine, vanno a cercare altrove la propria collocazione e la propria scelta finanziaria in funzione di queste tipologie di garanzia. Noi abbiamo visto alcune tendenze, sia nel dibattito in Senato che nei nostri lavori in Commissione, dove siamo intervenuti, da una parte, per riportare a equilibrio l'esigenza di chi chiede voto plurimo e maggiorato per poter far valere, giustamente, il proprio investimento rispetto a un rischio di liste bloccate di un CdA dove possono essere riproposte le solite dinamiche che evitano il processo di innovazione, evitano cioè di far contare o di dare peso a questi nuovi investitori e si tende a preservare una sorta di status quo che vede un eccesso di vicinanza, se volete, al management e, dall'altra parte, per evitare il rischio che non ci siano più un orientamento e una proporzione rispetto a quel principio one share, one vote che comunque, alla fine, è il meccanismo di liquidità e di segnalazione di efficienza del mercato dei capitali. Ci sembra che, rispetto ad alcune proposte che perdevano questo punto di equilibrio, si sia poi fatta, alla fine, una sorta di tentativo, da parte del Governo, nel dialogo con la propria maggioranza, che noi ci siamo permessi umilmente - soprattutto i colleghi al Senato - di stimolare.
Ciò perché, poi, c'era un punto di fondo: sostanzialmente, su questo tema si ritorna, alla fine, a una proposta che, in termini di trasparenza e certezza, stabilisce alcune questioni chiare, presentando però un meccanismo, mi sia consentito, suo tramite, Presidente, Sottosegretario Freni - abbastanza farraginoso. Non a caso, poi, alla fine, il Governo ha indicato la possibilità di una delega su questo per andare a reintervenire sul TUF. Rispetto a questo dibattito, la questione che a noi pare dirimente è che va bene un percorso di delega, però, attenzione, non può essere una delega in bianco. Noi abbiamo indicato un percorso, come Partito Democratico, le colleghe e colleghi in Senato l'hanno ribadito, lo stiamo facendo anche noi qui, per cui va bene la delega, ma, probabilmente, vista la delicatezza del tema e del processo che deve portare a trovare un punto di equilibrio, affidarsi a un comitato tecnico terzo per la riforma del TUF, come fu fatto anni fa, credo che possa essere una soluzione - e mi sembra di cogliere, come dire, l'approvazione del Sottosegretario Freni - e che quella sia la chiara indicazione verso la quale bisogna propendere.
Io, infatti, mi rendo conto che, ogni volta, brandire il concetto di terzietà sui tecnici, è più una categoria dello spirito che una concretezza vera. In realtà, però, stiamo parlando di questioni molto delicate, di questioni che sono passate attraverso gli anni, con molta lentezza, perché poi, molte volte, i processi di cambiamento e di innovazione subiscono anche la lentezza della politica, ma non solo in Italia, lo dico in generale, ovunque. Ecco, credo che si debba fare esperienza di questo processo di buon Governo di lunga durata, rispetto a questo tema, perché è un elemento che è iniziato da lontano e che trova concretizzazione adesso, con questo percorso. E credo che ciò ci debba far affrontare la questione con i toni e anche i decibel - che a volte dimentichiamo - con i quali vanno affrontati questi temi: riconoscere il fatto che si è fatto un percorso, riconoscere - e chiudo, Presidente - come è iniziato e cercare di dare una risposta alla domanda iniziale, collega Filini. Noi l'applauso a chi lo facciamo? Al sindaco che ha pensato l'opera e l'ha progettata, a quello che ha trovato il finanziamento o a quello che si trova, semplicemente, a tagliare il nastro? Credo che la ragione e la razionalità, soprattutto poi quando parliamo di capitali, Sottosegretario Freni, ci consegnino il fatto che vadano plauditi tutte e tre i passaggi e tutti e tre i sindaci che hanno contribuito alla realizzazione di quest'opera e, in questo caso, di questo processo di innovazione e di cambiamento, all'interno di un processo difficile e complicato dello spazio europeo, nella speranza di poter attrarre capitali sempre migliori e buoni - poi, anche qui, discutere tra il capitale buono e il capitale cattivo è un'altra categoria dello spirito - ma sicuramente creando le condizioni affinché ci possano essere la tutela, la vigilanza e la salvaguardia di asset strategici, di cui Dio solo sa quanto necessita questo Paese, soprattutto in una fase storica così delicata, come quella che stiamo vivendo.