A.C. 1633-A
Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, Governo, partirei con alcuni numeri, Presidente: 1.218 emendamenti, e con una data: 1992. Ormai nell'immaginario collettivo dell'opinione pubblica si è diffusa questa parola “Milleproroghe”, ma in realtà è uno strumento, introdotto come prassi nel 1992, che si chiamava all'epoca “differimento termini”; differimento termini perché si trattava di uno strumento che doveva, in un certo qual modo, cercare di trovare una soluzione immediata e tampone al prolungamento di alcune cose che il legislatore ordinario - passatemi il termine, colleghi - non era stato in grado di fare.
In realtà, poi, questa prassi, che ormai ha toccato quota 30 anni, è divenuta prassi consolidata e, diventando prassi consolidata, ha segnato - mi sia consentito - una sorta di metamorfosi, se volete, colleghi, rispetto a questa democrazia; provvedimenti come questi, che hanno iniziato ad avere una piega nei primi anni Duemila, caricandosi sempre più di cose tutto il contrario di tutto, tenendo insieme più elementi anche in una maniera quasi distonica tra di loro, se me lo consente, Presidente, probabilmente hanno trasformato questa nostra democrazia o Repubblica in una sorta di Repubblica dei bonus, mi verrebbe da dire, in una sorta di Repubblica del click day; cioè se tu in quel dato momento preciso sei davanti a un computer e hai la connessione che funziona e ti apre quel varco, allora sei in grado di usufruire di un servizio o di un diritto, ma se non ci sei rischi di non averlo. Poi, di fatto, questo provvedimento, in molti casi e soprattutto a scadenza o a ridosso di tornate elettorali importanti, diventa anche il momento utile per i partiti in vista delle campagne elettorali. Insomma, si tratta di questo e credo ci debba far riflettere su quello che siamo, su quello che è questa Repubblica e sul fatto che probabilmente sarebbe, colleghe e colleghi, più utile concentrarsi su riforme procedurali e regolamentari piuttosto che immaginare di voler sconvolgere Carte costituzionali o ordinamenti nel quadro generale, ma la dico così.
Perché dico questo? Perché per alcuni osservatori il nostro Milleproroghe è un'anomalia mondiale. Viene accostato all'omnibus bill statunitense, ma, in realtà, sapete meglio di me - ed è stata analizzata anche questa forma comparativa - che, in quel caso, quel provvedimento è prettamente di natura fiscale, quindi, non è comparabile al nostro Milleproroghe. Se volessi utilizzare un linguaggio contemporaneo o moderno, potremmo dire che, col Milleproroghe, questa Repubblica ogni anno fa una sorta di upgrade dell'App. C'è l'aggiornamento: facciamo questo costante aggiornamento del software, per capire come riusciremo a produrre meglio diritti e leggi.
Guardate, credo che il Milleproroghe più che la causa sia il risultato della politica ed è il risultato della politica perché sostanzialmente è nato in una fase storica ben precisa, come dicevo prima, il 1992, nella quale questa Repubblica viveva tra il “non più” e il “non ancora”. Si stava chiudendo faticosamente quella fase storica della quale poi, per come si è chiusa, le storiche e gli storici ancora dovranno scrivere pagine, perché ne è stata fatta una descrizione che molte volte non ha corrisposto alla realtà dei fatti; non era entrata in una dimensione nuova e faceva fatica, in un processo di accelerazione costante, a entrarci. Però, se volessimo analizzare il provvedimento in generale, in questa cornice quadro che sto facendo, probabilmente ci troveremmo dinanzi a due tipologie e credo che i relatori di questo provvedimento lo sappiano meglio di me: proroghe impopolari o proroghe affannose.
Alcuni studiosi che hanno analizzato dal punto di vista politico-giuridico questa tipologia di provvedimento l'hanno definita così. È impopolare perché di solito nel Milleproroghe ci metti quelle cose che fai fatica o si immagina che si faccia fatica a narrare come singolo provvedimento: immaginate l'allargamento o il rinnovo di una precarietà costante, l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili o quant'altro.
Sono quelle misure che metti lì e che hanno la loro dignità, anzi probabilmente dovrebbero essere prioritarie in una democrazia compiuta, in una democrazia che si preoccupa di garantire diritti soprattutto a chi vede sempre più scivolare la capacità di restare aggrappata a dei diritti, e, dall'altro, le proroghe affannose, quelle che si definiscono proroghe affannose e che sono quelle proroghe che sono esattamente quello che vi dicevo prima, colleghi, il risultato più che la causa della politica.
E il risultato è il fatto che noi, sostanzialmente, viviamo ormai da più di qualche decennio in una sorta di incompiutezza normativa. Perché dico questo, Presidente? Perché, se analizziamo i provvedimenti, senza distinzione di parte, sia chiaro, degli ultimi decenni, a un certo punto ci ritroviamo sempre dinanzi ad alcune domande per le quali non riusciamo a trovare risposte. Mi spiego, colleghe e colleghi. Valutazioni a monte del provvedimento in sé e per sé, tant'è che tutti sanno, noi ormai non siamo più ossessionati, e la Sottosegretaria lo sa meglio di tutti noi, dalla qualità della norma, ma siamo ossessionati dalla bollinatura della copertura.
L'unica domanda non è quello che stai scrivendo, non è quello che stai immaginando di fare, non è il diritto che immagini di tutelare o concedere, ma la copertura economica. Senza soldi non si cantano messe. In realtà, però, poi ci rendiamo conto che così non è, perché mancano successivamente analisi dell'impatto reale delle misure. Sono mesi e mesi e mesi, non le richiamo, non è una questione di parte, che discutiamo di misure, quanto abbia impattato o meno il superbonus su una cosa, quanto abbia impattato o meno quella misura, quanto abbia impattato o meno quell'altra misura, ma sostanzialmente facciamo fatica ad avere dati scientificamente comprovanti, empiricamente valutabili e, soprattutto, dati riconosciuti terzi.
Allora, questa è la difficoltà strutturale che tu hai, e questa difficoltà strutturale che abbiamo influisce e incide sulla qualità della produzione normativa, ed è la ragione per la quale, purtroppo, quello che doveva essere un differimento di termini, nato nel 1992, è prassi consolidata. È prassi consolidata, se volete, colleghe e colleghi, quella che, se volessimo, potremmo definire, in termini di categorizzazione, manutenzione normativa. Noi stiamo facendo i meccanici, puntualmente, ogni volta, facciamo la manutenzione alla non qualità della produzione legislativa che si mette in atto e in campo da troppo tempo.
Mi sia consentito, e mi avvio a chiudere, di spendere qualche minuto su misure, ma non credo che ci sia nemmeno il clima polemico da dover utilizzare. Guardate, 1.200 e rotti emendamenti, tutti i partiti e tutte le forze politiche hanno contribuito, in un modo o nell'altro, a dare voce e rappresentanza a interessi variegati in questo Paese, e, in molti casi, mi fa sorridere la non capacità, anche durante questa discussione generale, da parte di molte e molti, di poter utilizzare una formula espressiva.
È un emendamento che abbiamo presentato in condivisione anche con i partiti di maggioranza o di opposizione, in condivisione con gli altri partiti, e, care cittadine e cittadini, vi abbiamo dato dimostrazione che, quando c'è il bene pubblico, quando c'è l'interesse generale e collettivo, le forze si uniscono, al di là delle distinzioni. Credo che il giorno in cui ascolteremo ripetutamente questa prassi narrativa, Presidente, probabilmente saremo divenuti una democrazia un tantino più matura.
Però qualche battuta me la deve consentire. Abbiamo sentito poc'anzi rivendicare l'utilizzo del taser. Peccato che la domanda che sorge spontanea a tutte e tutti è: ma questi vigili urbani dove stanno, per utilizzare questo taser? Probabilmente sarebbe stato - ma la dico così, è un mio punto di vista, Presidente, ci mancherebbe altro - più intelligente prorogare i termini per le assunzioni dei vigili urbani, che immaginare l'introduzione o la proroga dell'utilizzo di un'arma, definiamola arma.
Seconda battuta, Presidente. Questa benedetta Irpef agricola: capisco tutto, capisco tutto, però, visto che non è la prima volta che accade, voi, in termini di Governo, introducete una tassa alla mattina, e anche la cancellazione di una detrazione o di un beneficio fiscale è sostanzialmente una tassa, e qualche giorno dopo rivendicate il fatto che avete tolto quella tassa che voi stessi avete introdotto.
Anche qui dobbiamo capirci, perché, se è la contrapposizione, o meglio l'equilibrio tra poteri, tra pesi e contrappesi dell'attività esecutiva e dell'attività legislativa, bene, allora è chiaro. Allora il Governo, che è il potere esecutivo, ha dato un'indicazione e il Parlamento, nella sua funzione legislativa massima, corregge quell'impostazione, e allora questo è un dato. Ma se questo non è, se lo stesso Governo fa una cosa, poi la cambia e poi la rivendica addirittura, capiamoci, perché questa cosa è già capitata altre volte e credo che non faccia bene alla qualità della nostra democrazia.
Però non mi posso, ovviamente, sottrarre dal fare un quadro riassuntivo degli interventi che, attenzione, in molti casi sono state nostre proposte, proposte del Partito Democratico, ma che in tanti altri casi hanno incontrato la convergenza di altre forze politiche, di opposizione e di maggioranza. Il fatto di avere lavorato in una maniera trasversale, nel senso positivo del termine, probabilmente, i relatori lo sanno, ha portato anche a compimento e al risultato delle proposte legittime che erano state avanzate.
Noi siamo contenti, soddisfatti, non è mai troppo, non è mai abbastanza. C'è quella frase di rito, si poteva fare meglio, poi si potevano mettere due risorse di più, ma indubbiamente è un risultato del Partito Democratico e di tutto il Parlamento il fatto che sia stato salvato, ad esempio, il bonus psicologico, ed è patrimonio collettivo. Noi ne rivendichiamo non una paternità, ma, se volete, l'attenzione propositiva che ha saputo cogliere quell'elemento di persuasione generale che ha portato a compimento quella misura, come quella degli specializzandi nei centri trasfusionali no profit, come il regime di agevolazioni nel Terzo settore, il sostegno ai portuali, la misura rispetto ai disturbi alimentari, della quale si era molto discusso impropriamente e che fortunatamente siamo riusciti a salvare, le fondazioni sinfoniche, la possibilità di ulteriori 36 mesi per la stabilizzazione degli assistenti sociali, e Dio solo sa, nella complessità delle società o della società nella quale stiamo vivendo, di quanto necessitiamo di queste figure professionali, la moratoria del taglio dei contributi all'editoria.
Qui potremmo aprire un altro file su come l'utilizzo delle risorse pubbliche serva a garantire anche il processo democratico, perché ci siamo avviluppati, ormai da troppi anni, in questa eco populista, massimalista, del fatto che ogni soldo che viene dato prima ai partiti, poi all'editoria, poi a quel sistema, è una sorta di spreco di denaro pubblico.
No, è il costo della democrazia e della pluralità delle idee e delle opinioni, che servono. E quando questo viene meno, colleghe e colleghi, significa che tu stai stringendo sempre più le maglie della pluralità verso un pensiero unico e verso un potere unico. Anche la proroga della responsabilità, fino al 2025, delle azioni mediche, credo che - soprattutto alla luce di quanto accaduto e dell'esperienza maturata durante il COVID - sia materia utile.
Chiudo con amarezza, però, con profonda amarezza, perché, se dei passi avanti sono stati fatti, se dei risultati sono stati raggiunti, allo stesso tempo, però, bisogna sottolineare e rimarcare con profondo rammarico - colleghi e colleghe, mi rivolgo anche e soprattutto ai relatori - il fatto che ci sono state delle proposte che so che per molti di voi erano condivise, di buonsenso e di ragionevolezza, le quali, tuttavia, non hanno trovato spazio. Infatti, da un lato, ne abbiamo discusso, io non voglio ritornarci, soprattutto alla luce anche di quanto accaduto ieri sera. Cioè, la proroga del non pagamento delle multe dei no-vax, vale, pesa - la Presidente del Consiglio utilizzerebbe l'espressione “cuba”, che ormai è diventata di uso comune, tra poco penso che la troveremo anche nella Treccani, addebitata e ascritta a lei - 150 milioni, è stato stimato. E Dio solo sa, con la necessità di recuperare risorse economiche, quanto quelle risorse economiche, in un modo o nell'altro, potevano essere utili, anche semplicemente - e lo sapete meglio di me - utilizzandole come cifre da mettere su carta per riequilibrare il bilancio di questo Paese.
Si nicchia come al solito agli evasori, ma qui potremmo aprire un file infinito, e non è questa la sede, né il momento per farlo. Però, due macchie indelebili restano e sono incomprensibili, non tanto e non solo a noi, ma incomprensibili per chi verrà punito dalle scelte politiche che avete compiuto. Perché, poi, la politica e i provvedimenti - perché noi possiamo raccontarcelo come vogliamo che non ci sono soldi e la coperta è corta - sono fatti di scelte: tu decidi dove appostare delle risorse, anziché dove toglierle. Questa è la scelta politica ed è legittima, è un diritto-dovere di chi governa temporaneamente questo Paese. Però, perdonatemi, si sono trovate le risorse per tante cose, si sono prorogate misure che fanno mancare introiti alle casse dello Stato e non si capisce perché vi siate incaponiti, ad esempio, sui rimpatriati. Questa cosa sul rientro dei cervelli grida vendetta e non si capisce il perché. Avevamo presentato un emendamento che vi chiedeva l'utilizzo del buonsenso, e lo dico per chi ci ascolta al di fuori di quest'Aula. La proroga delle misure in corso per 12 mesi cosa significava? Perché, se lo dico così, probabilmente chi ci ascolta non sa di cosa sto parlando e fa fatica a seguirmi. Stiamo parlando di quella misura che prevedeva il rientro di persone vissute almeno da 2 anni all'estero con dei vantaggi fiscali, per cui, al carico familiare, si aggiungeva un surplus di vantaggio fiscale. Dio solo sa l'inverno demografico che stiamo vivendo. Avevamo una misura che prevedeva uno sgravio del 70 per cento sul territorio nazionale e del 90 per cento per coloro che rientravano nel Mezzogiorno d'Italia per 5 anni. Quando dico “uno sgravio”, significa che con quella misura il datore di lavoro faceva da sostituto d'imposta. Tradotto: lo stipendio, il salario mensile era più alto, mensilmente, e quindi vi era un apporto immediato; 75.000 persone sono rientrate così, e di queste 75.000 persone, poco meno di 2.000 sono solo quelle che fanno parte dell'ambito della ricerca e accademico. Il che significa che questa misura, come era stata immaginata e prevista, ha funzionato e ha dato dei benefici. Ciò è innegabile. È talmente innegabile che i 2 miliardi che questa misura in media ha prodotto, li avete utilizzati nel gioco di bilancio, per dire: prendo 2 miliardi da qua, li sposto e ho 2 miliardi per coprire dei costi. Ed è un peccato, perché quando voi andate a tagliare ed equiparate tutto al 50 per cento, non c'è più il vantaggio per chi rientra nel Mezzogiorno, ossia il territorio di questo Paese che demograficamente, anche in prospettiva, soffrirà di più. Tagliate il carico familiare, che tecnicamente viene definito “radicamento”, ma, scusatemi, uno che rientra con un figlio, con due figli o con tre figli minori a carico, non è un surplus ulteriore per il mantenimento di una scuola, per evitare le pluriclassi e per fare tante altre cose? Allora, perché vi siete incaponiti su questa cosa, dove vi si chiedeva: prendiamoci un altro anno. Infatti, se uno deve programmare il rientro con una famiglia, trovare la scuola, trovare casa e cambiare le dinamiche della propria vita, necessita di tempo. Ve l'avevamo già detto nel collegato alla delega fiscale, il n. 90, dove siete intervenuti: fate come hanno fatto altri Paesi, il Belgio, l'Olanda, che annunciano la chiusura della misura o la riduzione del benefit, ma - vi stiamo dicendo - questo a partire tra 24 mesi, tra 12 mesi, quello che è. Voi, invece, fate la misura e la portate in approvazione a dicembre, a partire dal 1° gennaio successivo. Capirete bene che la state ammazzando, questa misura, perché questo è il termine che bisogna utilizzare.
Mi avvio veramente a chiudere. C'è poi un'altra questione, mi sia consentito, e anche lì, però, secondo me, ne vedremo ancora delle belle nei prossimi mesi. Un altro Paese, in questo caso, un altro Governo, quello della Confederazione Elvetica, ha avviato un'analisi conoscitiva per capire se quella follia che avete approvato in legge di bilancio, su richiesta della regione Lombardia, ossia i 2.000 euro di tassa sanitaria ai frontalieri, sia applicabile. Infatti, voi sapete meglio di me che esiste il divieto della doppia imposizione fiscale: una persona non può pagare le tasse sulla stessa cosa due volte. Questi sono soggetti - 100.000 persone - che pagano le tasse in Svizzera (questo Paese poi, ne riversa in Italia il 40 per cento, tra i 115 e i 150 milioni di euro) e che prediligono quei comuni e quei territori, nell'ambito dei 20 chilometri, che notoriamente hanno una colorazione politica molto chiara. Allora, io non riesco a capire. Vi avevamo chiesto con un emendamento a costo zero - il costo sarebbe stato virtuale, così come sarebbe stata virtuale l'entrata che avete spostato a bilancio - di dare un anno di deroga per approfondire, perché nell'accordo, che avevamo siglato all'unanimità, di ratifica del Protocollo con la Svizzera era previsto un tavolo governativo con le parti sociali. Allora, non si capisce perché, a giugno, abbiamo approvato questo e, due mesi dopo, introducete, su richiesta della regione Lombardia, l'ingiusta tassa sanitaria.
Io non posso credere che voi abbiate l'accanimento terapeutico contro la provincia di Como, anziché di Varese, anziché di Verbano-Cusio-Ossola, non ci credo. Allora, se dovete dare una mano alle casse di qualche regione, ditelo chiaramente e proroghiamo il principio di solidarietà. Però ditecelo, perché altrimenti non lo capiamo. Queste cose ti segnano e segnano questo provvedimento, tra i tanti sforzi comuni e collettivi fatti per l'ottenimento di risultati ed il mantenimento dei diritti delle persone, e segnano purtroppo inevitabilmente anche il comportamento che noi poi potremo avere rispetto al provvedimento e rispetto anche al giudizio generale. Se, da un lato, si è visto un passo in avanti, nella speranza di poter assistere a un lento e progressivo processo di maturazione di questa nostra democrazia ancora incompiuta nelle sue prassi parlamentari, dall'altro, però, questo provvedimento ci lascia tanto amaro in bocca e l'incomprensibile stupore rispetto alle scelte che potevate compiere, rispetto alle tutele che potevate garantire e rispetto all'ossigeno del buonsenso che dovevate applicare per verificare seriamente le misure che stavate adottando e che purtroppo in questi casi, come in tanti altri, è venuto meno. Per questa ragione, noi non potremo esprimere parere favorevole, non fosse altro perché richiederete anche la fiducia e avrete anche, ponendo la fiducia, evitato di dover riconoscere alle opposizioni tutte il lavoro e il contributo che queste hanno dato a questo provvedimento.