La Camera,
premesso che:
1) in questi anni le crisi hanno acuito le diseguaglianze a livelli inaccettabili, con una fortissima concentrazione della ricchezza in poche mani, con la polarizzazione tra le diverse categorie di lavoratori, tra le retribuzioni, tra i generi e le diverse generazioni;
2) per una ripresa equa e stabile nel nostro Paese è necessario un vero e proprio «nuovo contratto sociale», che sul fronte del lavoro veda al centro una serrata lotta alla precarietà, allo sfruttamento e alla povertà, limitando il ricorso a tutte quelle formule contrattuali che minano il concetto di buona e stabile occupazione e che colpiscono le fasce più fragili della popolazione, a cominciare dai giovani e dalle donne;
3) la sfida dei mercati internazionali, così come quella della rivoluzione tecnologica e della transizione ecologica, non può più essere affrontata puntando sulle basse retribuzioni, sulla compressione dei diritti dei lavoratori e su bassi livelli di produttività, pena il rischio della marginalità e di squilibri sociali drammatici. Non ultimo, è di tutta evidenza il nesso tra la precarietà del lavoro e l'acuirsi dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, con il tragico corollario dei tanti morti e infortuni che ancora affliggono il nostro mercato del lavoro;
4) tali sfide non possono essere affrontate con soluzioni anacronistiche e decontestualizzate dal livello globale. La stessa dimensione nazionale rischia di non essere più adeguata per assicurare una reale capacità competitiva per il nostro sistema produttivo e per il mantenimento di adeguati livelli occupazionali in grado di assicurare una vita dignitosa e di sostenere un sistema di welfare al passo con le sempre nuove esigenze della popolazione;
5) secondo il benchmarking working Europe 2024, predisposto dal centro di ricerca della Confederazione europea dei sindacati, la retribuzione reale media, al netto dell'inflazione, è scesa nel 2023 dello 0,7 per cento. Per i lavoratori italiani questo valore si è attestato a un meno 2,6 per cento. Peggio di noi hanno fatto solo l'Ungheria e la Repubblica Ceca;
6) dalla stessa analisi, e non solo, emerge che i profitti delle imprese negli ultimi due anni sono cresciuti in termini reali. Un dato che, secondo, la Banca centrale europea, è alla base dell'impennata inflazionistica registratasi negli ultimi anni. Secondo gli economisti della Banca centrale europea, non si è innescata alcuna pericolosa spirale salari-prezzi, tanto più nel caso italiano, ma ad alimentare la corsa dei prezzi innescata da ripresa post-Covid e dalla guerra in Ucraina il fattore più incisivo sono i profitti nell'Eurozona;
7) in base ai dati di Eurostat, l'Italia è l'unico Paese tra i 27 Stati Ue con un indice del costo del lavoro in recessione dello 0,1 per cento nell'ultimo trimestre 2023, rispetto all'analogo periodo del 2022. Un valore che si scontra con il dato medio del 3,8 per cento per i Paesi Ue e del 3,1 per cento per i Paesi dell'Eurozona;
8) come già tristemente noto, l'Italia è l'unico Paese dell'area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9 per cento), mentre in Germania è cresciuto del 33,7 per cento e in Francia del 31,1 per cento. Si tratta di un andamento composto, infatti nella decade 1990-2000 e in quella 2000-2010 i salari in Italia sono cresciuti, seppure con una dinamica piatta, rispettivamente dello 0,7 per cento e del 5,2 per cento. L'ultima decade 2010-2020 è stata quella maggiormente negativa con una caduta del –8,3 per cento. In queste tre decadi è aumentato il divario tra la crescita media dei salari nei Paesi Ocse e la crescita dei salari in Italia progressivamente dal –14,6 per cento (1990-2000), al –15,1 per cento (2000-2010) e, infine, al –19,6 per cento (2010-2020). Allo stesso tempo, questi valori si sono accompagnati ad un andamento della produttività del lavoro che, sebbene meno significativa rispetto a quella degli altri Paesi dell'area, è comunque cresciuta più dei salari, quindi non solo la sua dinamica è stata contenuta, ma non sembrano nemmeno aver funzionato i meccanismi di aggancio dei livelli salariali alla performance del lavoro;
9) tra le principali cause dei bassi livelli salariali in Italia si segnalano la discontinuità lavorativa, il part-time e la precarietà contrattuale, a cui bisogna aggiungere la maggior presenza di basse qualifiche e i mancati rinnovi contrattuali;
10) i dati Eurostat mostrano come, nel 2022, all'interno dell'occupazione dipendente l'Italia abbia registrato, da un lato, una percentuale di dirigenti e delle professioni intellettuali e scientifiche nettamente più bassa rispetto alle altre principali economie europee e, dall'altro, una quota delle professioni non qualificate marcatamente più alta di quella osservata in Germania e Francia e di poco inferiore a quella della Spagna. Parimenti si segnalano due fattori quali l'alta incidenza del lavoro a termine (16,9 per cento, inferiore solo alla Spagna dove, però, e in diminuzione) e del part-time involontario (57,9 per cento, la più alta di tutta l'Eurozona);
11) valori che si accompagnano ad un'altra anomalia del nostro mercato del lavoro. Nel 2022, secondo i dati OCSE, le ore medie lavorate annualmente dai lavoratori dipendenti in Italia sono state 1.563, un numero pari a quello della Spagna ma decisamente più alto di quello osservato in Germania (1.295 ore) e in Francia (1.427 ore). Dalla lettura congiunta, da un lato, delle ore lavorate e, dall'altro, della quota salari sul PIL desunta dalla banca dati macroeconomica della Commissione europea (Ameco), emerge come in Italia, benché si lavori comparativamente di più, la quota di reddito destinata a remunerare il lavoro dipendente tramite i salari sia notevolmente più bassa, perfino della Spagna;
12) inoltre, dagli stessi dati Ocse sulle ore lavorate, emerge che i Paesi con la più alta produttività del lavoro tendono a coincidere con quelli in cui gli orari di lavoro sono più brevi e ove quindi si investe maggiormente in dotazioni aziendali e organizzazione sostenibile del lavoro. Non a caso, si moltiplicano le esperienze di riduzione dell'orario lavorativo a parità di salario che, tra l'altro, implicano spesso un coinvolgimento della contrattazione di prossimità, nonché un buon effetto di contrasto alla disparità tra i generi nel mercato del lavoro, anche salariale;
13) per l'Italia, al quadro appena tracciato, bisogna aggiungere come i lunghi, ed ingiustificati, ritardi nel rinnovare i contratti collettivi nazionali di lavoro (durata media pari a 30,8 mesi nel 2022) determinino un'elevata quota percentuale di lavoratori dipendenti con un contratto scaduto (53,2 per cento nell'intera economia nel 2022) (Istat, 2024). Questo si traduce in un ingente massa salariale non in linea con l'aumento dei prezzi che, in una fase di alta inflazione cumulata, determina una forte diminuzione del potere d'acquisto dei lavoratori. La caduta dei salari reali diventa ancora più drammatica dal momento che la crescita dei prezzi ha effetti differenziati sulla popolazione per via della differente composizione del paniere e dei redditi familiari: nel solo 2022, a fronte di un'inflazione generale del +8,7 per cento l'impatto è stato molto più ampio sulle famiglie con minor capacità di spesa (+12,1 per cento) rispetto a quelle con maggior capacità di spesa (+7,2 per cento). In tale contesto, va salutato positivamente il recente rinnovo del contratto nazionale del commercio;
14) un'analisi confermata nel documento «Elementi di riflessione sul salario minimo in Italia» approvato dal Cnel, il 12 ottobre 2023, per il quale uno dei fattori che maggiormente ha penalizzato il potere di acquisto delle retribuzioni è rappresentato dal ritardo nei rinnovi contrattuali, che si protrae anche per anni;
15) i contratti collettivi nazionali di lavoro depositati nell'archivio nazionale del Cnel, aggiornato al 30 giugno 2023, sono 1.037 (Ccnl lavoratori privati, Ccnl lavoratori pubblici, Ccnl lavoratori parasubordinati e accordi economici collettivi per alcune categorie di lavoratori autonomi). Dei 976 Ccnl relativi al settore privato, 553 risultano scaduti (57 per cento). I lavoratori privati con un contratto che risultava scaduto al 30 giugno 2023 erano 7.732.902, il 56 per cento su un totale di 13.839.335;
16) corollario fondamentale per delineare un quadro certo di regole in materia di individuazione di adeguati livelli retributivi, in coerenza con i princìpi costituzionali e comunitari, è quello legato alla definizione e alla disciplina della misurazione della rappresentanza delle organizzazioni sindacali e datoriali, scongiurando il dumping salariale generato dai cosiddetti «contratti pirata»;
17) tra i fattori che maggiormente incidono sulla condizione reddituale ed esistenziale di milioni di lavoratori, come evidenziato dal citato documento Cnel dell'ottobre scorso, vi è il tema della precarietà tanto diffusa soprattutto per alcune categorie di lavoratori, come i giovani e le donne. In questo poco lusinghiera classifica dei rapporti a tempo determinato, anche con termini brevi e brevissimi, l'Italia è al sesto peggior posto, con una media nazionale al 16,8 per cento che balza al 23 per cento nel Mezzogiorno;
18) i recenti dati, testimoniati dall'Istat e da Eurostat, mostrano un aumento dell'occupazione complessiva pari a 23,7 milioni di occupati, per una percentuale del tasso di occupazione pari al 66,3 per cento della fascia di età 20-64 anni, tuttavia ancora distante 10 punti rispetto alla media europea, così come della percentuale degli occupati a tempo indeterminato. Tuttavia, un'analisi più approfondita ci segnala come l'incremento dell'occupazione stabile non sia la conseguenza di misure volte a limitare la precarietà, ma il risultato del blocco dell'uscita pensionistica determinato dalla riforma Fornero e dalle ulteriori restrizioni introdotte con le due ultime due leggi di bilancio e dalle difficoltà che le imprese incontrano sempre più spesso a trovare figure con particolari specializzazioni;
19) a rendere ancora più fragile ed ingiusto il nostro mercato del lavoro va evidenziato il tema dell'occupazione femminile, che in Italia risulta essere – secondo dati relativi al IV trimestre 2022 – quello più basso tra gli Stati dell'Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media UE: il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55 per cento, mentre il tasso di occupazione medio UE è stato pari al 69,3 per cento. Un divario che si conferma anche nel rapporto tra la popolazione maschile e quella femminile nel mondo del lavoro: le donne occupate, infatti, sono circa 9,5 milioni, laddove i maschi occupati sono circa 13 milioni. A ciò si aggiunga che una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità. Una condizione che risulta ancora più aggravata dall'accentuato divario retributivo di genere, nonché dal tipo di lavoro svolto dalle donne;
20) in tale quadro, si noti che l'occupazione femminile (che tradizionalmente si avvantaggia di più della collaborazione domestica) è più elevata proprio dove ci sono più lavoratori domestici: l'Osservatorio Domina, nel relativo Rapporto annuale 2023, rileva infatti che oltre il 21 per cento del «Pil del lavoro domestico» italiano è prodotto nelle aree dove il tasso di occupazione femminile è più elevato e quello di disoccupazione è più basso. Sebbene si registri una «distanza» tra dati ufficiali disponibili e dimensione reale del fenomeno, tale per cui secondo i dati ufficiali dell'Osservatorio sul lavoro domestico dell'Inps, nell'anno 2021 i lavoratori domestici regolari erano pari a circa la metà di quelli indicati dall'Istat; secondo le stime dell'Istituto statistico, il tasso di irregolarità nel settore supera addirittura il 50 per cento. Tali numeri confermano pertanto l'impatto del sommerso che, stando alla «Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva», pubblicata contestualmente alla nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2023, nell'anno d'imposta 2020, riportava che l'evasione Irpef del personale domestico si collocherebbe a circa 994 milioni di euro (pari al 30,4 per cento dell'evasione complessiva di tutti i lavoratori dipendenti irregolari, stimata in 3,2 miliardi di euro);
21) altrettanto rilevante è il capitolo relativo all'occupazione dei giovani tra i 15 e i 34 anni, che se nel 2023 è migliorato raggiungendo il 43,7 per cento, un valore che non si registrava dall'inizio del 2011, tuttavia, non ha però invertito la tendenza di lungo periodo: negli ultimi 18 anni – dal 2004 al 2022 – l'occupazione di giovani tra i 15 e i 34 anni è infatti diminuita di 8,6 punti percentuali (dal 52,3 al 43,7 per cento) mentre per la fascia 50-64 anni è aumentata di 19,2 punti (dal 42,3 al 61,5 per cento);
22) l'occupazione dei giovani italiani è caratterizzata da un'alta vulnerabilità: difficoltà di inserimento e di permanenza nel mercato del lavoro, forme contrattuali che non garantiscono rapporti di lavoro di lungo periodo e avanzamenti di carriera più lenti e meno appaganti di quelli delle generazioni precedenti. I dati evidenziano che la quota di dipendenti con contratto a termine è infatti molto più alta tra la popolazione giovane (30,2 per cento) rispetto alla restante (13,2 per cento) maggiore è anche la percentuale di giovani che lavorano a tempo parziale per mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno, 13,8 per cento contro valori inferiori al 10 per cento nel caso delle altre fasce di età;
23) allo stesso tempo, non si può non ricordare come, secondo il report redatto da Fondazione Nord-Est e dell'associazione Talented Italians in the UK che ha elaborato i dati Eurostat, l'Italia ha perso 1,3 milioni di persone andate a lavorare e vivere all'estero negli ultimi 10 anni. Un fenomeno paragonabile a quanto succedeva negli anni '50 del secolo scorso, quando però chi se ne andava dal nostro Paese aveva un basso livello di scolarizzazione, mentre oggi si stima che un emigrante su tre sia laureato;
24) i tanti lavoratori in Italia che non hanno un contratto collettivo di lavoro di riferimento o che si vedono negare una retribuzione corrispondente a quella prevista dai contratti nazionali, i cosiddetti «working poors», attendono ancora che anche nel nostro Paese sia prevista una apposita disciplina volta ad assicurare condizioni retributive minime, in linea con le previsioni del primo comma dell'articolo 36 della Costituzione, che dispone «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa»;
25) con la direttiva (UE) 2022/2041 sono stati fissati quattro obiettivi principali: il salario minimo deve sempre garantire un tenore di vita dignitoso; le norme dell'Unione europea rispetteranno le pratiche nazionali di fissazione dei salari; il rafforzamento della contrattazione collettiva nei paesi in cui è coinvolto meno dell'80 per cento dei lavoratori; il diritto di ricorso per i lavoratori, i loro rappresentanti e i sindacalisti in caso di violazione delle norme;
26) nell'Unione europea il salario minimo legale è in vigore in grandi Paesi come Francia e Germania e sono soltanto cinque gli Stati, oltre all'Italia, dove ancora non è previsto;
27) la recente sentenza della Corte di cassazione – sezione lavoro – n. 27713 ha statuito che: «Nell'attuazione dell'articolo 36 della Costituzione il giudice, in via preliminare, deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita nella contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'articolo 36 della Costituzione, anche se il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile al caso concreto sia contemplato in una legge, di cui il giudice è tenuto a dare una interpretazione costituzionalmente orientata. Ai fini della determinazione del giusto salario minimo costituzionale il giudice può servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe, può fare altresì riferimento, all'occorrenza, ad indicatori statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022»;
28) alla luce di tali evidenze, appare necessaria una radicale revisione della impostazione della politica del lavoro nel nostro Paese, che veda al centro la valorizzazione del fattore lavoro, quale elemento di emancipazione e di partecipazione sociale e democratica di tutti i cittadini,
impegna il Governo:
1) ad avviare un concreto e tempestivo confronto con le parti sociali realmente rappresentative, volto a definire una nuova strategia in materia di lavoro nel nostro Paese, anche attraverso la realizzazione di un piano straordinario pluriennale per il lavoro, che metta al centro la buona e stabile occupazione, il contrasto a ogni forma di precarietà attraverso una vera e propria «bonifica» normativa, anche sulla base delle recenti sentenze della Corte costituzionale in materia di licenziamenti illegittimi – da ultimo, la sentenza n. 183 del 2022, con la quale si sollecita il legislatore a non protrarre l'inerzia legislativa in materia, che indurrebbe la Corte, qualora nuovamente investita, a provvedere direttamente – e l'incremento della partecipazione al lavoro, con particolare riguardo alle donne e ai giovani, così come al Mezzogiorno e alle aree interne e coerente con la transizione e conversione ecologica;
2) ad adottare le iniziative di competenza volte a monitorare e rafforzare le misure di contrasto delle forme di penalizzazione del lavoro delle donne e di divario retributivo di genere;
3) a favorire, con la massima sollecitudine, ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, volta a dare piena e tempestiva attuazione ai principi e alle finalità della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, così come agli indirizzi espressi dalla Corte di cassazione, introducendo anche nel nostro ordinamento il riconoscimento ai lavoratori e alle lavoratrici di ciascun settore economico di un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale, assicurando in ogni caso livelli retributivi in grado di garantire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa, anche attraverso l'introduzione del salario minimo legale, corrispondente a un trattamento economico minimo orario non inferiore a 9 euro, aggiornato annualmente per tenere conto, in particolare, dell'aumento della produttività e dell'inflazione;
4) ad adottare iniziative di competenza, anche di carattere normativo, volte a rivedere la disciplina dei finanziamenti o delle agevolazioni pubbliche, condizionandoli alla garanzia della stabilità occupazionale, prevedendo la restituzione dei contributi e/o dei finanziamenti in caso di delocalizzazioni;
5) ad investire nella pubblica amministrazione attraverso la stabilizzazione del personale precario e un piano straordinario di assunzioni, anche tramite lo scorrimento delle graduatorie vigenti relative a tutti i concorsi pubblici già espletati;
6) a predisporre, per quanto di competenza, specifiche misure volte a prevedere un'indispensabile differenziazione tra contratti ancora in vigore e contratti già scaduti, prevedendo opportune disposizioni di premialità, qualora il rinnovo intervenga entro la scadenza o entro termini strettamente fisiologici e giustificati, e di penalizzazione nel caso il rinnovo si protragga oltre i suddetti termini;
7) a favorire, per quanto di competenza e con il pieno coinvolgimento delle parti sociali, una disciplina normativa di sostegno per la regolamentazione della rappresentanza e rappresentatività delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro che restituisca certezza nelle relazioni industriali e superi la proliferazione di sigle di comodo, così come la moltiplicazione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da organizzazioni che non hanno alcuna rappresentatività reale;
8) per quanto attiene al contrasto ad ogni forma di precarietà, ad adottare le iniziative di competenza, in particolare di carattere normativo, volte a:
a) rivedere la disciplina in materia di contratti a tempo determinato, riconducendone il ricorso a quelle situazioni puntuali e straordinarie per le quali è giustificata tale modalità di prestazione lavorativa e distinguendone la disciplina contributiva in ragione della maggiore o minore durata di detti contratti, riaffermando l'ordinarietà del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
b) adottare le opportune misure volte a monitorare e scoraggiare la diffusione del part-time involontario e di quello fittizio;
c) ricondurre la disciplina della somministrazione entro limiti ben circoscritti e verificabili, sia dal punto di vista delle condizioni, così come del numero massimo dei lavoratori fisiologicamente utilizzabili;
d) eliminare la possibilità di ricorrere al lavoro intermittente;
e) rivedere la disciplina dell'appalto tra privati, al fine di assicurare che detto istituto non si riduca ad un mero esercizio di potere organizzativo e direttivo dei lavoratori utilizzati nell'appalto e che al personale impiegato in appalti di opere o servizi sia sempre assicurato il trattamento economico e normativo complessivo applicato dal committente e, comunque, non inferiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva nazionale e territoriale sottoscritta dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
f) ricondurre la disciplina del lavoro occasionale entro limiti ben circoscritti di specifiche prestazioni lavorative caratterizzate dalla discontinuità e occasionalità e per determinate categorie di lavoratori, quali gli studenti, gli inoccupati, i pensionati e i disoccupati;
g) riconoscere un valore economico al lavoro di cura e domestico nei termini di un social provisioning suscettibile di influenzare alla base la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo, contribuire alla riduzione del differenziale di genere e all'emersione del sommerso;
h) rafforzare il sistema delle tutele in caso di trasferimento di ramo d'azienda, così come in caso di trasferimento e delocalizzazione della produzione, nonché di cooperative spurie;
9) ad adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo, per contrastare il fenomeno delle false partite Iva che coinvolgono, in particolare, molti giovani laureati e professionisti, iscritti agli ordini professionali e non in monocommittenza, il cui rapporto di lavoro è in realtà assimilabile dal punto di vista organizzativo e gerarchico a quello subordinato – senza le corrispondenti tutele – e con retribuzioni che, se parametrate su base oraria, risultano di gran lunga inferiori a quelle auspicabili per il salario minimo;
10) ad adottare iniziative volte ad assicurare che i giovani possano sempre poter contare su un complesso di tutele normative ed economiche durante la partecipazione ai tirocini formativi e agli stage;
11) ad adottare, in linea con le esperienze più avanzate in Europa, le opportune misure per assicurare l'estensione in termini di durata, nonché di copertura del congedo di paternità obbligatorio, prevedendo altresì che il congedo di maternità e il congedo di paternità godano di una copertura retributiva pari al 100 per cento, in modo da ridurre il disincentivo economico all'utilizzo dei congedi parentali per i padri;
12) a favorire, per quanto di competenza, l'adozione di misure volte a promuovere la sperimentazione della riduzione dell'orario lavorativo a parità di salario;
13) ad avviare un serio confronto con le parti sociali realmente rappresentative volto a definire una nuova strategia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro, da implementare annualmente favorendo il pieno coinvolgimento del Parlamento, assicurando, nelle more, l'adozione di immediate misure volte ad affrontare le principali criticità, quali l'equiparazione delle tutele disposte nella disciplina degli appalti pubblici anche agli appalti tra privati, nonché l'eliminazione degli appalti a cascata e delle gare al massimo ribasso;
14) a riconsiderare ogni ipotesi di privatizzazione in atto di aziende controllate e/o partecipate dallo Stato, che, oltre a rappresentare la perdita di asset strategici per il Paese, spesso determinano, come accaduto in passato, fenomeni di precarizzazione del lavoro e riduzione dei livelli occupazionali. (Nuova formulazione)
Seduta dell'8 aprile 2024
Intervento in discussione generale di Maria Cecilia Guerra
Seduta del 10 aprile 2024
Intervento in dichiarazione di voto di Arturo Scotto