Discussione generale
Data: 
Lunedì, 8 Aprile, 2024
Nome: 
Maria Cecilia Guerra

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Grazie, Presidente. Come lei ha appena ricordato, siamo di fronte a una mozione unitaria di larga parte dell'opposizione. È una mozione che abbiamo composto insieme proprio in vista del 1° maggio perché vogliamo parlare di lavoro, delle politiche del lavoro. In particolare, questo ci porterà a sottolineare la necessità di mettere a punto un insieme di azioni per contrastare la precarietà, lo sfruttamento, la povertà e, in particolare, la povertà lavorativa. Qual è lo spettro che si aggira dietro a tutti questi elementi? La questione salariale. Noi lo sappiamo ma è sempre bene ripetere questo dato che dovrebbe non farci dormire la notte, come politici, cioè il fatto che, nei trent'anni che vanno dal 1990 al 2020, mentre nella media dei Paesi OCSE i salari reali crescevano - in Germania, ad esempio, del 33 per cento e in Francia del 31 per cento - in Italia il salario reale diminuiva di quasi il 3 per cento. Questo triste primato si conferma con ancora più forza nel periodo successivo, nel periodo inflazionistico. Da ultimo, l'Istat ci dice che, nonostante la decisa decelerazione dell'inflazione nel corso del 2023, la distanza tra la dinamica dei prezzi rappresentata dall'indicatore IPCA e le retribuzioni contrattuali è rimasta di 3 punti percentuali, quindi i salari reali sono ancora in diminuzione. Questo si riflette complessivamente, a livello macroeconomico, nel fatto che noi vediamo un aumento della quota dei profitti, della fetta di torta che va ai profitti, e una diminuzione della fetta di torta che invece va ai salari, con effetti devastanti che stiamo cominciando a registrare sulla domanda interna. Il carrello della spesa cresce, infatti, in termini nominali ma cala in termini reali perché la gente non si può permettere di mantenere lo stesso tenore di vita. È una povertà assoluta che - ci dice sempre l'Istat - interessa sempre di più, in modo crescente, anche famiglie con persona di riferimento lavoratore dipendente, passando dall'8,3 per cento nel 2022 al 9,15 per cento nel 2023. Il 9,15 per cento delle famiglie con persona di riferimento lavoratore dipendente sono in povertà assoluta.

Da che cosa dipende e, quindi, cosa possiamo fare per contrastare questa questione salariale? Un primo elemento quasi banale è che in Italia i livelli salariali sono troppo bassi. Abbiamo 3 milioni e mezzo di persone che lavorano con un minimo contrattuale inferiore a 9 euro. L'introduzione di un salario minimo legale - che non è una bestemmia, ce l'hanno praticamente tutti i Paesi dell'OCSE e tutti i Paesi europei, fuorché 4 - è stata irrisa e bocciata da questa maggioranza e da questo Governo e, invece, avrebbe avuto un effetto importante, come lo ha avuto negli altri Paesi, nel difendere i salari dall'inflazione e anche, devo dire, nel ridurre quell'altra piaga del nostro sistema, cioè il gap di genere, per il quale le donne ricevono salari più bassi rispetto agli uomini. In più, noi avremmo rafforzato attraverso quello strumento la contrattazione, quella che la maggioranza dice di voler rafforzare ma che invece calpesta negando il punto essenziale. Una contrattazione è efficace e le relazioni industriali sono efficaci, infatti, se si riconosce e si rafforza il principio di rappresentanza e rappresentatività e non ci si affida alle sigle di comodo più improbabili e a quelle che siglano contratti pirati, come invece fa questa maggioranza che ripetutamente, in più provvedimenti di legge, cancella il principio sacrosanto del riferimento ai contratti siglati dalle associazioni datoriali e dei lavoratori comparativamente più rappresentative per fare riferimento a un criterio che tutti, proprio tutti hanno detto essere evanescente e poco applicabile e, cioè, il criterio dei contratti più diffusi, vale a dire contratti che il datore di lavoro va a scegliere fior da fiore per pagare meno i lavoratori e per dare meno tutele. Bisogna rafforzare la contrattazione se vogliamo affrontare i temi di cui stiamo parlando perché, a fine dicembre dell'anno scorso, era scoperta da contratto, cioè lavorava con un contratto scaduto, più della metà dei dipendenti del nostro Paese. Più della metà dei lavoratori aveva un contratto scaduto e il tempo medio di attesa per il rinnovo è passato da 20,5 del gennaio dello scorso anno, che erano già moltissimi, a 32,2 mesi nel dicembre di quest'anno. Come si possono difendere i salari se non si difende la contrattazione?

Quindi, noi vorremmo vedere e speriamo di vedere una resipiscenza. Lo hanno detto tutti a questa maggioranza, tutte le associazioni datoriali e tutte le associazioni rappresentative dei lavoratori le hanno spiegato che il concetto di rappresentatività è una cosa seria.

L'altro elemento che concorre a questo quadro che stiamo dipingendo è quello della catena degli appalti e subappalti messa in piedi, anche con una difesa normativa, da questo Governo alla ricerca di contratti meno onerosi non solo dal punto di vista del costo del lavoro ma anche per la parte normativa, quella relativa alle tutele e all'organizzazione del lavoro che, se viene abbandonata, espone drammaticamente a rischi più elevati, con una concentrazione degli incidenti sul lavoro che sappiamo essere proprio non solo nei contratti precari ma nella catena degli appalti e dei subappalti. Noi chiediamo con forza proprio adesso, nel decreto PNRR in cui impropriamente si parla anche di sicurezza, che nella catena degli appalti venga rispettata l'applicazione dei contratti collettivi comparativamente più rappresentativi non solo dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista normativo. Invece, la proposta del Governo ancora una volta è quella di fare riferimento a questi fantomatici contratti più diffusi. Quindi, si dice di voler affrontare il problema della sicurezza, si dice di avere sensibilità rispetto ai salari bassi ma si agisce in modo assolutamente opposto. Noi chiediamo anche con forza che vengano eliminati gli appalti finti, gli appalti di mera intermediazione di manodopera in cui l'impresa appaltante è semplicemente un soggetto che si preoccupa di organizzare il lavoro senza mezzi propri nel luogo di lavoro del committente, mettendo in piedi quelle forme di caporalato che conoscevamo ahimè da tempo nell'agricoltura ma che ormai sono diffusissime nell'edilizia, nei servizi e nell'industria.

Noi, in questa mozione, contrastiamo e proponiamo con forza di superare queste forme assurde di appalti finti e pretestuosi, ma non vediamo per ora alcuna risposta, alcuna sensibilità, alcuna attenzione da parte della maggioranza.

E poi, c'è il grande capitolo della precarietà, quello cui prevalentemente è dedicata la nostra mozione, perché questa precarietà è ottenuta utilizzando in modo distorto degli istituti che potevano e che potrebbero avere un loro senso e anche, direi, addirittura, una necessità, ma che vengono, invece, applicati in modo distorto per - ancora una volta - cercare di ottenere sempre una compressione del costo del lavoro e dei diritti dei lavoratori. Da qui, la terribile questione salariale e dell'insicurezza sul lavoro, in cui il nostro Paese si dibatte. Parlo del lavoro a termine, che doveva esistere, sì, ma in ragione di esigenze temporanee, e che, invece, è utilizzato in modo sistematico, attraverso continui rinnovi, senza peraltro alcuna garanzia di continuità del rapporto di lavoro per chi è messo in mezzo, creando una sorta di manodopera ricattabile, senza sicurezza e senza prospettive, soprattutto i giovani e soprattutto le donne. E cosa fa questo Governo? Anche nel provvedimento attualmente in discussione al Senato, dopo averlo già fatto in modo veramente offensivo con un decreto che è stato chiamato 1° Maggio, e questa cosa mi inorridisce ancora oggi, cosa fa? Allarga, invece, la possibilità - senza alcun limite, senza alcun criterio e senza alcuna regola - di ricorso al lavoro a termine, senza cioè quell'aggancio necessario, ripeto, alle esigenze di temporaneità, che, solo, potrebbero giustificare il ricorso a tale strumento. Non parliamo, poi, di quello che fa sistematicamente il settore pubblico, che usa lavori precari, il lavoro a termine, continuamente. Noi stiamo continuando a chiedere, e lo chiediamo ancora con forza in questa mozione, che si faccia un programma di assunzioni serie nella pubblica amministrazione, dove abbiamo carenze di personale, in tutti i confronti internazionali e in tutti i settori, ben note e ben conosciute. Chiediamo che si stabilizzi il personale esistente e vorremmo che queste stabilizzazioni - che vengono fatte in modo totalmente casuale, arbitrario e, quindi, ingiusto - fossero, invece, fatte con criterio, riconoscendo a tutti quelli che hanno prestato, per anni e con qualità, il proprio lavoro nella pubblica amministrazione, di arrivare finalmente a un punto fermo nel loro percorso. Nell'ultimo disegno di legge in discussione al Senato, la maggioranza amplia, invece, i limiti e le condizioni del contratto a termine, permettendo di fatto un uso e, quindi, un abuso fino a 24 mesi. E lo stesso avviene per la somministrazione. Anche la somministrazione non è il demonio, doveva permettere a un datore di lavoro di attivare competenze di lavoratori di cui non disponeva per esigenze temporanee. Sarebbe potuta essere un'idea sensata, se non fosse diventata, invece, un modo sistematico e improprio di attivare, in forma indiretta, sempre un lavoro precario, un lavoro a termine. E anche in questo caso, i limiti che erano stati posti proprio per evitare gli abusi di questa forma di contratto, sono, invece, continuamente superati, con la normativa 1° maggio, con la normativa attualmente in discussione qui alla Camera, perché c'è una logica, per quanto spezzettata, in queste azioni dissennate della maggioranza, ossia l'idea di allargare la percentuale e l'incidenza delle forme di contratto a termine, e, in questo caso, del contratto in somministrazione, rispetto al totale della forza lavoro, come se noi volessimo andare verso un radioso mondo in cui le imprese e i datori di lavoro operano solo con persone a termine. E capite come possiamo fondare il nostro sviluppo economico su imprese che si fondano su un lavoro di questo tipo, che significa, di fatto, usando termini un po' del passato, ma sempre attuali, voler creare un vero e proprio esercito di riserva, che può essere occupato in deroga ai limiti e che tiene dentro persone più o meno disperate, disoccupati di lungo termine, percettori di assistenza, che sono disponibili o costretti a lavorare a qualsiasi condizione. Anche per questo passa il calmieramento dei salari, che non è un calmieramento, ma la legittimazione di uno sfruttamento non più accettabile.

L'altro primato che noi abbiamo è quello del part time, che è pure una forma di precariato, perché nel nostro Paese è largamente un part time involontario, è largamente un part time a cui sono destinate le donne, è largamente un part time che nasconde lavoro nero. C'è una flessibilità che ti viene richiesta: ti metto in regola a 16 ore, te ne faccio lavorare 40, ma quelle altre 24 te le pago in nero. Anche su questo non possiamo più permetterci di chiudere gli occhi. Questo, quindi, è un altro obiettivo della nostra mozione. Il tema del part time ha un connotato di genere fortissimo. Sul genere avremmo tantissime cose da dire. Noi sappiamo che le donne, in Italia, lavorano meno pagate e in settori meno tutelanti, perché devono accettare condizioni di lavoro, magari più vicino a casa, ma che permettano loro di conciliare il lavoro sul mercato con il lavoro fuori dal mercato, che è il lavoro di cura, il lavoro domestico, che è ancora, purtroppo, appannaggio, in larghissima parte, nel nostro Paese, delle donne. Per questo, in questa mozione, ed è legato sempre a questo tema del mercato del lavoro, noi chiediamo l'altra gamba di un mercato del lavoro funzionante, cioè il rafforzamento dei servizi. Non ci va bene che, nella revisione del PNRR, siano stati tagliati 100.000 posti negli asili nido. Non ci va bene che il tempo pieno nelle scuole stenti a diventare un LEP, un livello essenziale di prestazioni, da garantire su tutto il territorio nazionale e non solo su quelle regioni, magari, ad autonomia differenziata, che potranno permetterselo. Ed è per questo che noi non abbiamo apprezzato il modo in cui - nel realizzare parzialissimamente una delega, che, invece, era importante, sui servizi per la non autosufficienza - si sia tagliata proprio una parte rilevante e innovativa dell'integrazione sociosanitaria, che avrebbe alleviato il lavoro di cura. Non ci è piaciuto neppure che siano stati tagliati i soldi riservati ai caregiver. Ma dietro questo, c'è una considerazione di base: le donne che hanno un figlio, e non solo sotto i 5 anni, cioè non solo in età prescolare, ma anche dopo i 5 anni, lavorano molto meno, accedono molto meno al mercato del lavoro, poi magari lavorano anche di più, rispetto alle donne che non hanno figli. La distanza, anche quando i figli sono di 6, 7, 8, 9, 10, 11 anni, eccetera, resta di quasi 16 punti percentuali. C'è qualcosa che non va. Una cosa che non va è la pessima distribuzione domestica del lavoro fra uomo e donna. Per questo, noi chiediamo congedi paritari. E questo c'entra con il mercato del lavoro, questo c'entra con la precarietà, questo c'entra con la questione salariale. Congedo paritario uomo-donna, per permettere anche agli uomini di svolgere con gioia il loro compito di padri fin dalla più tenera età dei figli e per non creare alibi, sul mercato del lavoro, per discriminare le donne nei confronti degli uomini. Infatti, tutti gli studi che sono stati fatti spiegano il gap salariale uomo-donna con tanti fattori, compresi i fattori culturali, i fattori legati al percorso di istruzione e a questi temi di cui sto parlando, ma c'è sempre un pezzettino che gli studi non riescono a spiegare e che si chiama: discriminazione. Un Paese che ritiene fragili due segmenti del mercato del lavoro, i giovani e le donne: ma di che segmenti parliamo? Il 70 per cento della forza lavoro è costituito da segmenti deboli, ma li avete contati quanto fanno insieme giovani e donne? Fanno quasi il 70 per cento della forza lavoro e sono fragili nel nostro Paese. C'è qualcosa che non va. C'è molto che non va! E non solo nel lavoro dipendente, anche nel lavoro autonomo, specialmente il falso lavoro autonomo, le false partite IVA, alimentate anche da un regime fiscale discriminatorio, che discrimina un tipo di lavoro rispetto all'altro. Noi vogliamo che questi temi siano al primo posto nell'agenda delle politiche del nostro lavoro, perché il lavoro - lo dice il nostro articolo 1 della Costituzione - è ciò su cui si fonda la nostra Repubblica democratica.