Presidente, care colleghe e cari colleghi, il 10 aprile del 1991, nella rada del porto di Livorno, alle ore 22,25, il traghetto passeggeri Moby Prince della compagnia Nav.Ar.Ma., appena partito con direzione Olbia, e la petroliera Agip Abruzzo, ancora nella rada del porto, entrarono in collisione. Quello che sappiamo è che la prua del traghetto squarciò una delle cisterne del greggio trasportato e da quello scontro si incendiò tutto lo scafo. Nonostante la vicinanza al porto, l'incendio fuori controllo provocò ingenti danni sia alla petroliera che al traghetto.
Rimangono ancora ignoti anche i motivi del mancato coordinamento della gestione del soccorso delle vittime e delle procedure, delle modalità e dei mezzi con cui sono stati organizzati e attuati i soccorsi in mare in relazione alle disposizioni allora vigenti, perché, paradossalmente, fu anche a causa dei soccorsi, in ritardo e maldestri, che il bilancio delle vittime fu così drammatico. Il mayday del traghetto si era infatti perso nel vuoto per ore. Della Moby Prince si salverà soltanto una persona, sul resto cala ancora il buio.
Quella che stiamo commemorando oggi non è soltanto una tragedia immane che ha mietuto 140 vite. È il più grande incidente, come diceva lei, Presidente, della storia della navigazione civile italiana, il più grande disastro sul lavoro della nostra Nazione. È un episodio sul quale, dopo 33 anni, non è stata fatta ancora luce. Il percorso giudiziario ha visto nel 1998 l'assoluzione di tutti gli imputati nel primo grado e poi la dichiarazione della prescrizione in appello, quindi la riapertura dell'inchiesta nel 2006 e la successiva archiviazione nel 2010.
Rimane soltanto aperto un fascicolo per strage a carico di ignoti, aperto solo perché non è prescrittibile. Non siamo nel secondo dopoguerra, ma negli anni Novanta. Vi erano già strumenti tecnologici diffusi, era maggiore la trasparenza delle informazioni, vi erano tutti i presupposti per poter ricostruire, in breve, la certa cronologia degli eventi. Se ripercorriamo quello che fu detto, non solo nelle ore successive alla tragedia, ma anche alle prime udienze nel tribunale, risulta evidente che tutto fu cercato meno che la verità. Prima fu data la colpa alla nebbia, una nebbia che non c'era.
Nessuna nebbia, dissero subito e ripeterono i vari testimoni che erano stati sentiti, ma fu incolpato dell'incidente il comandante della nave, che si sarebbe distratto. Fu accusato anche l'equipaggio, che disse chiaramente che era impegnato a guardare in TV la partita di calcio tra Juventus e Barcellona, semifinale di ritorno di Coppa delle Coppe. Furono infangati l'onore e la professionalità dei lavoratori, capri espiatori perfetti per quella circostanza. In questo quadro così desolante, chi non si è mai arreso, in questi oltre 30 anni, sono state le famiglie delle vittime. Hanno combattuto spesso da sole per cercare la verità dei fatti, per non arrendersi alle risposte di circostanza, per rendere omaggio alla memoria e all'onore dei propri cari.
Le Commissioni d'inchiesta parlamentare delle scorse legislature - e qui voglio ringraziare, Presidente, i componenti delle scorse Commissioni, l'ex presidente Silvio Lai e Andrea Romano - hanno lavorato in questi anni, insieme a tutti i componenti, per trovare la verità. Di fatto passi avanti sono stati fatti, ma, va ammesso con oggettività e obiettività, anche rispetto ad altri organismi similari, spesso veicolo di propaganda politica, quelle Commissioni hanno scalfito questo muro di gomma.
Il lavoro è stato accurato e sufficiente per chiedere di riaprire le indagini. È stato appurato come l'inchiesta della magistratura archiviata nel 2010 non abbia, infatti, preso in considerazione alcuni elementi emersi in seguito, oggi accertati. La ricostruzione delle sentenze, che parla di uno scontro tra petroliera e traghetto avvenuto per un banco di nebbia, è stata smentita, smentita nel dettaglio, a partire dal punto della collisione. Le due sentenze dicono che la petroliera era in un luogo consentito, ma le coordinate indicate la fanno ricadere in un'area vietata. Quindi cosa ci faceva l'Agip Abruzzo? Senza dimenticare il mistero delle navi americane.
Non lontano da Livorno era situata, come sapete benissimo, la base USA di Camp Darby, e quella notte almeno 7 navi militari trasportavano armi. Questi sono tutti dati certi, comprovati da testimonianze, documenti e tracciati radio. È tempo, Presidente, di chiarire questi misteri, la verità è oggi più vicina. La nuova Commissione di inchiesta, che ha appena iniziato i lavori, ha un compito importantissimo e una grande responsabilità di fronte alla memoria delle vittime, di fronte alle famiglie - e ringrazio di essere qui, nelle tribune, il presidente dei familiari Luchino Chessa - e soprattutto di fronte al Paese intero.