A.C. 433-A e abbinata
Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, la proposta di legge che esaminiamo oggi in quest'Aula è il testo risultante da un lavoro svolto dalla XII Commissione (Affari sociali) ed è volta a introdurre disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora. L'articolo 32 della Costituzione tutela il diritto alla salute di ogni individuo, come interesse particolare della persona e interesse collettivo. Però, purtroppo, non sempre è così. Per esempio, una persona può essere così povera da non potersi più permettere di pagare l'affitto o un mutuo, e così finisce in strada. Una volta finita in strada, perde anche la residenza, ossia viene cancellata all'anagrafe del comune. Questo ha, come conseguenza, il venir meno di un pieno accesso al diritto alle cure. È il caso di decine di migliaia di senza dimora. Ciò perché la legge italiana collega una serie di diritti fondamentali, come il diritto al lavoro, il diritto al welfare, il diritto al voto e, soprattutto, il diritto alla salute, al possesso di una residenza. Anche la legge n. 833 del 1978, quando istituiva il Servizio sanitario nazionale, stabiliva che gli utenti del Servizio sanitario nazionale fossero iscritti in appositi elenchi, periodicamente aggiornati presso l'unità sanitaria locale nel territorio in cui hanno la residenza. Così, chi perde la residenza perde anche la possibilità di accedere al medico di medicina generale. E pur esistendo un diritto soggettivo alla residenza, moltissimi comuni la negano alle persone senza dimora, con le più disparate motivazioni.
Inoltre, in alcuni casi, è proprio la legge stessa che impedisce alle persone di chiedere e ottenere la residenza, ossia l'iscrizione all'anagrafe. Per esempio, una persona che finisce strada e viene ospitata da un amico o da un parente che vive in un alloggio dell'edilizia residenziale pubblica, avrà un tetto sulla testa, ma non potrà chiedere la residenza, perché i regolamenti pubblici lo vietano, e quella persona rimarrà senza un medico di base. Una persona sfrattata e finita e strada, che magari trova alloggio in un immobile occupato - parliamo di migliaia di persone, nelle città metropolitane -, rimarrà senza medico di base. Una persona ospitata da amici che, magari, le consentono di avere un tetto sulla testa, ma non le danno la possibilità di avere il diritto ad iscriversi all'anagrafe e ad avere la residenza, anche quella persona, rimarrà senza il medico di base. E non solo. La mancanza dell'assistenza territoriale impedisce a queste persone non solo l'accesso al medico di medicina generale, ma anche al Centro di salute mentale, al SerD, al consultorio, impedisce loro di vaccinarsi, di farsi tamponi, di accedere alla medicina preventiva, avendo accesso solo alle prestazioni del pronto soccorso o dell'emergenza-urgenza. In definitiva, le persone senza dimora non patiscono solo una situazione di estremo degrado, dovuto alla mancanza di alloggio e a una continua sopravvivenza quotidiana, ma subiscono anche una condizione di invisibilità dal punto di vista sociale e istituzionale, trovandosi, purtroppo, fuori da una rete di sostegno che non sia quella caritativa.
Ci sono stati, in questi anni, dei censimenti. C'è stato un censimento Istat del 2015, che calcolò circa 50.000 senza dimora. Ce n'è stato un altro, a metà dicembre 2022, che indicava in 96.000 le persone senza dimora, di cui il 60 per cento cittadini italiani. Però sono persone, appunto, censite, legate all'anagrafe e con un diritto di residenza.
È un tema, questo delle persone senza pieno accesso al diritto alla cura, che le istituzioni locali conoscono bene, perché sono istituzioni di prossimità. Così come le associazioni di volontariato, che ogni giorno cercano, attraverso un lavoro di prossimità alle persone e di aiuto a coloro che sono fragili, lungo le strade, di alleviare questo problema. Sono: Avvocato di strada, Alleanza contro la Povertà, Caritas, il CNCA, la Comunità di Sant'Egidio, la Comunità Papa Giovanni XXIII, Cittadinanzattiva, Emergency, la fio.PSD, cioè tutte associazioni che, da anni, operano e chiedono di sanare questa ingiustizia. E se oggi questa legge arriva in Parlamento è anche soprattutto merito loro. Iniziò, in Emilia-Romagna, Antonio Mumolo, presentando una proposta di legge, che venne approvata dal consiglio regionale, poi seguito da regioni di destra e di sinistra, governate dal centrodestra e dal centrosinistra, come Puglia, Abruzzo, Liguria e Marche, e una delibera del Piemonte, regioni che hanno istituito la figura del tutor sociosanitario e dato la possibilità alle persone di iscriversi alle aziende sanitarie locali e, quindi, di ottenere il medico di medicina generale.
Di fronte a questa situazione, il Parlamento decide di intervenire con una legge a livello nazionale che possa garantire a tutte queste persone senza dimora, prive della residenza anagrafica, in Italia o all'estero, e che soggiornano regolarmente nel nostro territorio, il diritto all'assistenza di prossimità su tutto il territorio nazionale. Si tratta, quindi, di colmare un vuoto di tutela perché è in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, che dice che tutti i cittadini sono uguali senza distinzioni davanti alla legge e che lo Stato deve rimuovere ogni ostacolo tra quel cittadino, quella cittadina e il suo diritto, e l'articolo 32 della Costituzione, che regolamenta il diritto alla salute.
Negli ultimi anni, tra l'altro, il fenomeno delle persone senza dimora si è notevolmente ampliato. Non sono semplicemente quelli che a volte raffiguriamo o pensiamo come i senza tetto sotto un ponte, ma sono genitori separati, lavoratori licenziati, imprenditori falliti, pensionati che non riescono ad arrivare a fine mese e finiscono per perdere la propria casa. Questo comporta il rischio di perdere anche il diritto alle cure. Approvare una legge nazionale dunque rappresenta un atto di solidarietà, di giustizia sociale, di vicinanza dello Stato alle persone più deboli, di riduzione delle disuguaglianze e di rafforzamento della sanità pubblica. Il provvedimento in esame è volto esattamente a questo: a far beneficiare di una piena assistenza sanitaria, perché significherebbe, per queste persone, sentirsi di nuovo cittadini, sentire che lo Stato c'è per i deboli, avere una speranza e uno stimolo per uscire dalla strada. La proposta di legge, tra l'altro, è idonea anche per far avere una forte ricaduta anche sul piano della prevenzione sanitaria, perché sono persone che vanno in pronto soccorso quando, magari, la patologia, la malattia sono già di lungo corso o, purtroppo, già troppo avanti. Prevenire le malattie costa meno che curarle. Si stima che un accesso al pronto soccorso costi circa 400 euro a visita, mentre ottenere il medico di medicina generale costa circa 70-80 euro lordi.
L'iter che si è svolto in Commissione, in sede referente, della proposta di legge di cui sono primo firmatario e alla quale è stata abbinata anche la proposta presentata dalla collega, l'onorevole Sportiello, non è stato semplicissimo e ci sono state anche problematiche, perché c'erano questioni legate al carattere finanziario e anche all'individuazione della platea, perché - appunto - sono persone che non sono iscritte all'anagrafe. Le associazioni, gli studi ci dicono che dovrebbero essere 50.000/60.000 le persone senza residenza. In più c'era un rilievo della Commissione bilancio, che la Commissione, in collaborazione con il Governo, con il Sottosegretario Gemmato, ha cercato di sanare: la soluzione si è tradotta in un programma sperimentale di ampia portata, finalizzato a far avere, progressivamente, a tutte le persone senza dimora il diritto all'assistenza sanitaria. Si tratta di un programma che coprirà interamente le 14 città metropolitane, a partire dagli anni 2025 e 2026; programma finanziato con un milione di euro per ciascuno di questi anni.
Nelle grandi città, nelle città metropolitane, vive la stragrande maggioranza dei senza dimora e questo permetterà, quindi, come previsto dalla legge, anche una relazione alle Camere in cui verranno individuati il numero delle persone che si iscriveranno all'Azienda sanitaria locale, il numero e la tipologia delle prestazioni effettuate e l'individuazione del costo in modo tale da arrivare, come Parlamento, a una stabilizzazione totale e a una copertura totale.
In conclusione, vorrei ringraziare anticipatamente - lo rifarò poi se verrà portata a fattor comune e, quindi, votata da tutta l'Assemblea, come auspico - il Governo e la maggioranza, perché abbiamo fatto un lavoro di lunghi mesi ma anche un lavoro proficuo. È stato un lavoro in cui abbiamo cercato di portare a terra un provvedimento, perché è un provvedimento di civiltà, come è già stato approvato in varie regioni. Chiaramente ci sono differenze, sfumature, probabilmente avremmo anche voluto di più, ma credo che sia un ottimo punto di partenza. Per questo, spero che il consenso trasversale, che si è registrato in Commissione approvando il testo e gli emendamenti all'unanimità, possa esserci anche in questa Assemblea e spero che l'iter parlamentare si concluda in tempi rapidi, in modo da avere una legge che rappresenterà sicuramente un atto di civiltà e di riduzione delle disuguaglianze. A valle anche di elezioni, come in questi giorni, ove c'è un alto astensionismo, io credo che la risposta migliore della politica di destra, di sinistra e di un Parlamento sia esattamente questa: legiferare affinché un Paese ottenga centimetri di diritti in più per le persone che lo abitano e lo vivono.