Signor Presidente, i 270 giorni trascorsi dal 7 ottobre 2023 hanno trascinato il Medio Oriente e mostrato al mondo intero ciò che voi non avete il coraggio di chiamare catastrofe. Non lo è, è peggio, è un'apocalisse: decine di migliaia di vittime, stragi di bambini e fuggiaschi, centinaia di migliaia di tonnellate di bombe, macerie e scorie per decenni e milioni di sfollati in un recinto di pochi chilometri quadrati, morti di sete, di fame e di malattie.
Il Governo israeliano, un Governo di estrema destra, guidato da Netanyahu, che è composto da ultranazionalisti, fanatici religiosi e fascisti dichiarati, come Smotrich, da quel giorno ha messo in atto una rappresaglia atroce, senza alcun limite, conducendo una guerra non al terrore, ma a un intero popolo.
Questa scia di sangue e di orrore chiama in causa la nostra responsabilità politica, non solo la nostra coscienza morale. Ormai mesi fa, su nostra iniziativa, quest'Aula si è espressa unanimemente per un cessate il fuoco, e anche oggi non possiamo che partire dall'urgenza di rinnovare quegli impegni, un cessate il fuoco immediato e permanente, liberare gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, garantire un flusso adeguato e continuo di aiuti e soccorsi nella Striscia.
Il tempo che è trascorso da allora ci impone, però, un dovere in più, dire la nuda e cruda verità: tutti gli obiettivi che la comunità internazionale si era posta, cioè salvare i civili, impedire l'escalation del conflitto e riprendere un percorso di pace appaiono oggi drammaticamente più lontani. È un gigantesco fallimento. Se i pronunciamenti delle Nazioni Unite, se persino una risoluzione del Consiglio di sicurezza, se le richieste dell'amministrazione americana e gli statement, pur tardivi, dell'Unione europea, se gli appelli dei principali Paesi europei e quelli di tutto il resto del mondo, se le prescrizioni degli organi giurisdizionali internazionali, se tutto questo è caduto nel vuoto, qual è l'effetto? Quali sono le conseguenze?
Questo dobbiamo chiederci! Credo che vadano molto al di là dell'apocalisse che sta vivendo quella terra già martoriata, ma rischiano di minare a fondo la credibilità della comunità internazionale, delle sue istituzioni e delle sue regole, innescando una spirale di insicurezza e di instabilità che riguarda l'intera area e il mondo intero. Dopo il pericolo sventato di uno scontro diretto con l'Iran, oggi il rischio di un'ulteriore escalation ai confini con il Libano ci riguarda direttamente, perché proprio lì è schierato un nostro contingente militare in una missione che questo Parlamento, solo poche settimane fa, ha ritenuto strategica, la UNIFIL, una missione di pace, per la pace, che deve essere messa al riparo, con la politica e con la diplomazia, da una nuova devastante guerra.
Siamo molto preoccupati, Vice Ministro, siamo preoccupati - devo dirlo - anche dall'inerzia del Governo italiano. Riceviamo rassicurazioni da alcuni Ministri, ma la Presidente del Consiglio, sul Medio Oriente, è letteralmente scomparsa. Laddove scarseggiano le photo opportunity, lei semplicemente non c'è. L'ultimo atto compiuto da questo Governo è stata l'astensione all'Assemblea generale dell'ONU per far diventare la Palestina membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. È un gravissimo errore e, anche per riparare a quello, oggi siamo qui a chiedere una cosa molto chiara, che l'Italia riconosca lo Stato di Palestina.
Ci sono ragioni profonde, che trovano oggi una rinnovata attualità, ma ce n'è una che ha a che fare con la nostra storia, perché, Presidente, questi errori, queste inerzie del Governo, ci stanno allontanando, l'Italia sta deragliando dai binari della sua grande tradizione diplomatica e della sua politica estera, venendo meno alla funzione che potrebbe e dovrebbe svolgere nel Mediterraneo.
All'indomani del 7 ottobre - lo dico ai colleghi che sono intervenuti prima -, dell'atroce attacco terroristico di Hamas, tutti abbiamo affermato il diritto a esistere di Israele, e anche il diritto a difendersi, ma che andava esercitato nei limiti del diritto internazionale, limiti che sono stati ampiamente e ripetutamente violati in tutti questi mesi. Allora abbiamo detto anche, e lo abbiamo detto tutti, che solo la politica, solo la soluzione politica dei “due popoli e due Stati” avrebbe potuto garantire il diritto a esistere e a convivere in pace degli israeliani e dei palestinesi.
Sì, perché, accanto al diritto a esistere di Israele, c'è un altro diritto che la comunità internazionale ha colpevolmente rimosso per anni, ed è quello dei palestinesi ad avere un loro Stato, secondo quanto stabilito dalle risoluzioni dell'ONU, libero dall'occupazione, in cui esercitare democrazia, autodeterminazione di un popolo! Allora, Vice Ministro, o si prende sul serio quella formula “due popoli e due Stati”, oppure c'è una cosa persino più insopportabile della sensazione di impotenza che la politica internazionale sta trasmettendo alle nostre opinioni pubbliche, che è la vuota retorica e, peggio, l'ipocrisia.
Alcuni Governi europei di diverso colore politico hanno invece preso sul serio quelle affermazioni, Norvegia, Spagna e Irlanda hanno riconosciuto lo Stato di Palestina. Dobbiamo farlo anche noi, ce lo impone il rispetto di questo Parlamento, che nel 2015 - onorevole Faraone, si ricorda dov'era lei nel 2015? - aveva impegnato il Governo, su iniziativa del Partito Democratico, a fare questo passo.
E voglio dirlo con chiarezza alla maggioranza: attenzione, oggi, in virtù di un mero posizionamento politico, a non far compiere un passo indietro a tutta l'Italia! È nel momento in cui abbiamo condannato con forza e determinazione la follia terrorista di Hamas, che ha ucciso nel nome di Allah Akbar e non della resistenza palestinese, che dovevamo assumere, con rinnovato vigore, le ragioni della causa palestinese. È nel momento in cui i palestinesi vedono allontanarsi, tra le macerie di Gaza e le intollerabili violenze in Cisgiordania, le loro legittime ambizioni, che abbiamo il dovere di stare al loro fianco! Perché questo significa - e voglio dirlo - anche stare dalla parte di quella maggioranza che, in Israele, oggi, ricusa Netanyahu e il suo Governo, che ha messo in pericolo la sua sicurezza e che sa, perché lo ha fatto in passato, che è possibile battere il terrorismo, ma con la politica; che la sicurezza - la sicurezza vera! - è messa a rischio dalla politica di espansione degli insediamenti illegali e dalle violenze dei coloni in Cisgiordania; che la sicurezza è messa a rischio da dichiarazioni come quelle del Ministro suprematista Ben-Gvir, che ha rivendicato le brutali violazioni dei diritti umani dei prigionieri palestinesi, denunciate dal Capo dei servizi segreti israeliani, che le ha definite una bomba a tempo; che la sicurezza - quella vera, duratura! - non può derivare solo da un primato militare, ma dalla convivenza secondo la legge e il diritto internazionale.
E allora, lo dico anche ai colleghi, non provate a ripetere più, in quest'Aula, le affermazioni di Netanyahu, riprese da alcuni suoi amici in Europa, secondo cui il riconoscimento dello Stato di Palestina rappresenterebbe un regalo ad Hamas, perché è soltanto un'oltraggiosa menzogna! Hamas non vuole “due popoli-due Stati”. Semmai, questo passo rappresenta il modo di isolarla nella società palestinese e di rafforzare chi, in Palestina, a cominciare dall'Autorità nazionale palestinese, che dobbiamo accompagnare nel processo di rigenerazione democratica, ha voluto e vuole la pace.
E allora, Vice Ministro, noi apprezziamo lo sforzo che lei ha fatto verso una riformulazione, ma questo non è tempo di sofismi. Che vuol dire mutuo riconoscimento? Io glielo chiedo, in quest'Aula, davanti a tutti. Il mutuo riconoscimento è avvenuto nel 1993, con le lettere tra Arafat e Rabin. Cosa vuol dire, per voi? Che dobbiamo aspettare il Governo di Israele? Netanyahu? Netanyahu che, all'indomani dell'assassinio di Rabin, ha rivendicato che avrebbe affossato il processo di pace? Quando, per la prima volta, a trent'anni da allora, c'è una leadership politica al Governo in Israele, che esplicitamente rivendica di aver impedito la pace in passato e che nega questa prospettiva per il futuro! Ed è precisamente per questo che noi chiediamo di riconoscere oggi lo Stato di Palestina: per preservare questa, che è l'unica vera prospettiva di pace, da chi nega persino l'esistenza del popolo palestinese, come i ministri fascisti del Governo in Israele!
Dobbiamo compiere quest'atto come hanno fatto altri 140 Paesi nel mondo e che le nostre opinioni pubbliche avvertono come un atto di palese giustizia, non solo simbolico, ma profondamente politico, perché assume, nel processo di pace che noi vogliamo rilanciare, quei princìpi del diritto internazionale che devono valere. Diteci, altrimenti, cosa resta, di fronte a un Governo israeliano che agisce in dichiarato spregio del diritto internazionale e della comunità internazionale, che fin qui è apparsa impotente. Cosa resta soprattutto all'Occidente, all'Europa, che qui si gioca un pezzo di credibilità agli occhi del mondo. Vorremmo un'Italia che spingesse per il riconoscimento europeo della Palestina, perché l'Europa, in Medio Oriente, si gioca il suo futuro, a partire dalla credibilità delle ragioni stesse della difesa dell'Ucraina di fronte al mondo. Vorremmo un'Italia che fosse impegnata a sostenere la preziosa cooperazione italiana a Gaza, in Cisgiordania e in Palestina: che non la ostacoli, come ha fatto fin qui con l'UNRWA! Vorremmo un'Italia impegnata a rafforzare le Nazioni Unite, che non partecipi, con l'ignavia delle sue astensioni e con le delegittimazioni della Corte penale internazionale, ad allargare la frattura e la divisione, sempre più insostenibili, tra un pezzo di Occidente e quel vasto mondo che risponde al nome di Sud globale.
Chiudo, Presidente, perché questo non è il tempo di nascondersi, non è tempo di fuggire dalle nostre responsabilità, non è il tempo di prendere tempo, perché c'è un popolo che non ha più un posto sicuro, né dove nascondersi, né dove fuggire, e che di tempo non ne ha più! Quel poco o quel tanto che dobbiamo fare, lo dobbiamo fare oggi, perché avremmo dovuto farlo ieri! E perché domani, tutti - lo dico anche ai colleghi della maggioranza - saremo chiamati a renderne conto.