Discussione generale
Data: 
Venerdì, 26 Luglio, 2024
Nome: 
Eleonora Evi

A.C. 1937-A

Grazie, Presidente. Dunque, siamo di fronte all'ennesimo decreto-legge da convertire in fretta e furia, l'ennesima volta in cui si utilizza uno strumento normativo sbagliato, che calpesta questo Parlamento. I requisiti di necessità e urgenza quali sono? Come gruppo del Partito Democratico abbiamo, infatti, presentato una questione pregiudiziale di costituzionalità, spiegando come anche in questo caso, come nei molti precedenti, non vi sia traccia dei requisiti di necessità e urgenza in questo provvedimento. Eppure è l'ennesimo provvedimento, appunto, su cui verrà posta la questione di fiducia, come ormai si è presa l'abitudine di fare. Abbiamo perso il conto di quante votazioni di fiducia abbiamo fatto con questo Governo.

Si tratta dell'ennesimo provvedimento minestrone, perché c'è di tutto. Certo, ci sono questioni legate alle infrastrutture, ai commissari, il ponte sullo Stretto, le bonifiche, ma anche cose che non c'entrano nulla, come lo sport, le modifiche al codice di procedura penale, ma anche i soldi che dal Fondo italiano per il clima vengono reindirizzati sul Piano Mattei, la famosa scatola vuota che si sta riempiendo di ambiguità e confusione. Dunque sì, nuovamente, lo ripeto, si calpesta il Parlamento ancora una volta e si calpesta la giurisprudenza costituzionale.

Il Parlamento è mortificato nei suoi lavori, anche in Commissione; mai un rappresentante del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti si è presentato durante i lavori in Commissione, che fosse il Ministro, che fosse il Vice Ministro, che fossero i Sottosegretari, insomma, nessuno che rappresentasse il Ministero competente per merito di questo provvedimento. Sono venuti 4-5 Sottosegretari di altri Dicasteri, che spesso erano all'oscuro dei dettagli del provvedimento, penso chiaramente ai Sottosegretari alla salute, all'economia e all'ambiente.

Non solo i lavori sono stati condotti con grande confusione - come, ad esempio, il fatto che le riformulazioni del testo continuassero a giungere all'ultimo secondo, nonostante l'impegno preso anche dal presidente di Commissione di evitare che ciò continuasse ad accadere - ma fino all'ultimo questa è stata la modalità di lavoro. Con la nostra presidente Chiara Braga e il nostro capogruppo Marco Simiani sono state manifestate in maniera molto chiara le nostre rimostranze su questo punto.

Una confusione che, d'altronde, rifletteva la confusione e gli strappi anche all'interno della maggioranza, considerato che, in fin dei conti, questo decreto Infrastrutture è solo un provvedimento “marchettificio” che non risolve alcuna priorità del Paese, un decreto che, in realtà, si è via via tramutato in un vero e proprio assalto alla diligenza per ottenere risorse per alcuni territori vicini alla destra. Abbiamo, infatti, potuto misurare bene il nervosismo di una maggioranza dove la Lega l'ha fatta da padrona, mettendo sia Fratelli d'Italia che Forza Italia all'angolo e razziando il massimo delle risorse possibili per i propri interessi di bottega.

Questo è quanto il PD ha dichiarato ieri, alla conclusione dei lavori in Commissione ambiente e che voglio ribadire oggi, qui, in Aula. Anche perché, quando i lavori in Commissione durano molte ore, si prolungano anche di notte e giungono riformulazioni all'ultimo secondo che aumentano stanziamenti dai 500.000 euro ai 30 milioni di euro per una determinata infrastruttura, evidentemente, si tratta di un chiaro sintomo di un modo di lavorare che, come minimo, sa di marchetta e di favore al territorio di qualcuno.

Ma vado con ordine.

L'articolo 1 interviene sulle concessioni autostradali, con riferimento a quelle che sono in scadenza quest'anno. Su questo tema abbiamo cercato, con alcuni emendamenti, di tutelare gli utenti, ad esempio proponendo che il recupero dei finanziamenti delle opere per i concessionari avvenga non in un periodo ristretto, ma per la durata media di vita dell'opera, consentendo così di avere un impatto minore sui pedaggi pagati da chi percorre queste strade. Una proposta che sappiamo, tra l'altro, essere al vaglio del Governo; eppure è stata completamente ignorata. Come al solito non c'è stato confronto e non c'è stata possibilità di dibattito.

O, ancora, l'esonero dal pagamento delle tariffe di pedaggio per i transiti sulle tratte autostradali della Liguria, considerando lo stato di disagio e i disservizi a causa dei tanti cantieri aperti, anche qui, per tutelare gli utenti. Nulla da fare. Per inciso, nessun emendamento da parte delle opposizioni è stato approvato, a ulteriore conferma della mancanza di spirito di collaborazione e confronto da parte della maggioranza e di questo Governo.

Ma veniamo ad uno degli aspetti più gravi presenti in questo decreto: nuove deroghe e procedure per avanzare e procedere, in barba ad ogni principio di trasparenza e di democrazia, ma anche di buon senso e di logica, per portare avanti lo scandaloso ponte sullo Stretto.

Siamo all'articolo 2. Abbiamo presentato diversi emendamenti, a partire da quello soppressivo dell'intero articolo, per rimarcare, ancora una volta, la netta contrarietà a questo folle progetto, irrealizzabile e dannoso, oltre che uno spreco immenso di denari pubblici, soldi che avrebbero potuto e dovuto essere utilizzati per altre cose, sicuramente più urgenti e prioritarie per il Paese, a partire dalla sanità, ad esempio. Ma no, anche qui, voi preferite leggi che ingannano le persone, come quella sulle liste di attesa che abbiamo da poco approvato e che, oltre il titolo, non ha nulla, visto che non mette un euro per risolvere il problema delle troppe persone che stanno rinunciando a curarsi. Liste di attesa infinite e un diritto, quello alla salute, ormai calpestato in questo Paese. E a nulla sono serviti gli emendamenti presentati da noi e dalle opposizioni che recepivano alcune raccomandazioni e osservazioni, anche, ad esempio, da parte dell'Anac, l'Autorità anticorruzione.

Vi siete nascosti dietro i formalismi, come sul fatto di escludere i pareri del CIPESS e del Consiglio di Stato nella procedura di stipula di atti aggiuntivi alla convenzione di concessione tra MIT e società Stretto di Messina, dicendo che si tratta di un semplice allineamento formale di varie leggi cambiate nel corso degli anni. Ma, incredibilmente - guarda un po' -, si allinea al ribasso, alla condizione più comoda e favorevole, escludendo pareri di enti di peso che, nell'esercizio delle loro funzioni, potevano anche essere un presidio di trasparenza, soprattutto nei confronti dei cittadini italiani. Ma questo non vi interessa minimamente e, infatti, riuscite a fare ancora di molto peggio.

Come segnala molto correttamente il WWF, con questo articolo voi state calpestando non solo questo Parlamento, ma vi fate beffe delle regole, delle procedure e delle leggi che esistono in questo Paese. Con questo decreto voi, praticamente, state dando per scontato che la valutazione di impatto ambientale sarà favorevole. State, di fatto, prevedendo il futuro, quindi state approvando una cosa illogica, ovvero che il ponte sullo Stretto possa essere realizzato per fasi costruttive.

Ma la logica e il buon senso vogliono che, prima, si dovrebbe avere la certezza che una determinata opera si possa realizzare e, solo dopo, eventualmente, ci si può permettere una cantierizzazione per stralci. Che, poi, spiegatemi che senso ha procedere per fasi costruttive quando siamo di fronte ad un'opera che è un ponte, che collega due punti, quindi deve necessariamente essere trattato nella sua unità e completezza. Invece, sfidando ogni regola e ogni logica, si procede con uno spezzatino del ponte sullo Stretto, in barba al fatto che la VIA sia ancora in corso. Qui state facendo correre al Paese, ma anche all'Europa, il rischio altissimo che si producano ennesimi ecomostri iniziati e mai finiti. I cittadini calabresi e siciliani davvero non se lo meritano.

In aggiunta - segnala sempre il WWF -, la Commissione VIA nazionale ha chiesto una serie di integrazioni al progetto presentato, ritenute fondamentali ai fini della valutazione del progetto stesso. Queste integrazioni su questioni dirimenti sono esattamente coincidenti a quelle già richieste nel 2013 sempre dalla Commissione VIA nazionale. Ci si chiede, dunque, come il Parlamento possa non tenere conto che, a distanza di 9 anni dalle richieste di integrazioni, le carenze progettuali formalmente segnalate dalla Commissione istituzionalmente preposta ad una preventiva e obbligatoria valutazione dell'opera non siano ancora state risolte; e come si possa dare per scontato che le integrazioni che non sono state fornite dopo 9 anni vengano oggi depositate in modo esaustivo al fine di una valutazione positiva del progetto.

Tra i tanti temi e criticità, ne segnalo uno particolarmente importante per i risvolti di sicurezza dell'opera, ovvero la questione sismica. È la Commissione VIA stessa ad affermare che, ad oggi, non sono stati presentati sufficienti documenti per poterla correttamente valutare. Ma anche questo, evidentemente, non interessa e state chiedendo al Parlamento, specialmente a fronte di richieste reiterate rimaste insoddisfatte, di pronunciarsi prima del giudizio di una Commissione tecnica di garanzia, qual è la Commissione VIA nazionale. È vergognoso.

Invece voi andate avanti, con un progetto assegnato senza gara, anche qui, va ricordato, in barba alle regole europee - anche su questo, i punti e i rilievi dell'Anac erano chiarissimi - e proseguite facendo un'ulteriore modifica, in sede emendativa, in Commissione, sul tema degli espropri. In primo luogo, vi siete inventati una nuova procedura, in spregio alle norme attuali e alle procedure consolidate sugli espropri e, quindi, ne introducete una ad hoc per il ponte sullo Stretto.

In più, avete deciso, in modo del tutto arbitrario, che gli espropri, al massimo, potranno avere un tetto di 40 milioni di euro che, senza un progetto esecutivo, senza i dettagli di questa opera, sono stati stimati non si sa bene da chi e come, visto che non è stata presentata la relazione tecnica sulla riformulazione. Rimane il fatto, quindi, che è una cifra calcolata in modo approssimativo, che potrà avere come risultato il fatto che, ad un certo punto, il tetto di spesa verrà raggiunto e chi doveva avere compensazioni rischia di essere tagliato fuori. Questo ha dell'incredibile.

C'è, poi, l'articolo 3 sul piano di razionalizzazione dei compiti dei commissari straordinari. Un'iniziativa, in parte, anche condivisibile, dal momento che nel nostro Paese ci sono, ormai, più commissari e progetti commissariati che altro, ma, se tutto è commissariato, non si capisce più il senso del commissariamento. Anche su questa iniziativa abbiamo avanzato una serie di osservazioni, anche perché questo piano di razionalizzazione, fatto in questo modo, rischia, ancora una volta, di ignorare presidi di trasparenza, controllo e coinvolgimento dei territori, ad esempio, sul fronte del coordinamento delle attività dei commissari, come, anche qui, proposto dall'Anac.

Tra le varie proposte emendative, voglio ricordare quella sull'inderogabilità del dibattito pubblico, prevista dall'articolo 22 del codice dei contratti, che è anche presentata in una bella pagina Internet, sul sito del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, che, però, è una procedura svuotata e, spesso, puntualmente ignorata e bocciata, come il nostro emendamento in Commissione.

Già ho detto rispetto al “marchettificio” di questo provvedimento e non mi dilungo sugli articoli in cui è stato inserito un gran numero di disposizioni a favore di alcuni territori, dimenticandone altri, ovviamente in base al colore politico di riferimento.

C'è, poi, l'articolo 6 sul trasporto pubblico locale. Abbiamo presentato emendamenti per rifinanziare il Fondo per il trasporto pubblico locale, ovviamente bocciati. L'articolo 8 concerne la costituzione del Comitato per lo sviluppo del CCS, il carbon capture and storage. Abbiamo presentato un emendamento soppressivo per stralciare questo articolo, per rimarcare la nostra contrarietà a questa tecnologia, che è fumosa, inefficace e costosa.

Ce lo ricorda, in questo caso, una bella memoria, che è stata recepita dalla Commissione ambiente, da parte di Greenpeace, che con una nota richiama il rapporto pubblicato da Greenpeace e ReCommon, “CCS, l'ennesima falsa promessa di ENI”: “La storia della CCS è costellata di fallimenti. Questa in pratica è in uso da oltre cinquanta anni: la CO₂ è stata iniettata nei giacimenti petroliferi per il recupero migliorato del petrolio fin dagli anni Sessanta. Il primo progetto su grande scala di questo tipo è stato realizzato da Chevron in Texas, nel 1972. Una condotta portava sul sito CO₂ liquefatta da impianti distanti 400 km: la CO₂ veniva comunque dispersa nell'ambiente senza alcun vantaggio in termini di emissioni”.

Serviva di fatto solo a produrre petrolio e questo primo fallimento, chiaramente che risale nel tempo, non è che ha visto un miglioramento della tecnologia nel corso del tempo perché i fallimenti si sono, invece, accumulati. “Dal 2009 i Governi di tutto il mondo hanno stanziato 8,5 miliardi di dollari per i progetti di CCS. Tuttavia, solo il 30 per cento di questi finanziamenti è stato speso perché i progetti non sono riusciti a decollare. Numerosi progetti in tutto il mondo sono stati abbandonati per insostenibilità economica o problemi tecnici”. Per restare nel contesto europeo, nel 2018 la Corte dei conti ha fortemente criticato l'Unione per aver speso 424 milioni di euro in progetti CCS fallimentari che non sono riusciti nell'obiettivo di diffondere la tecnologia nel Vecchio continente.

Un ultimo punto che voglio ricordare sempre di questa memoria di Greenpeace: “Per avere un impatto significativo nella lotta ai cambiamenti climatici, la capacità di sequestro della CO2 tramite il CCS a livello globale dovrebbe attestarsi mediamente intorno ai 12 miliardi di tonnellate l'anno, un livello 260 volte superiore rispetto a quello attuale”. Non c'è nessun indicatore economico e tecnologico che suggerisca che si tratti di un obiettivo ragionevolmente raggiungibile nei tempi necessari per incidere alla lotta al cambiamento climatico.

Questo dovrebbe, insomma, mettere - io credo - un punto su questa vicenda. Ma, c'è un altro aspetto che è piuttosto preoccupante sulla costituzione di questo comitato. I membri del comitato sarebbero pagati con i proventi delle aste delle quote di CO2. È qualcosa di incredibile. Il principio “chi inquina paga”, che dovrebbe sottendere alla direttiva ETS, prevede appunto il pagamento per l'emissione di quote di CO2. Questo principio viene completamente stravolto, noi di fatto useremo quelle risorse per pagare gli stipendi di un comitato che dovrà sviluppare, autorizzare progetti che hanno di fatto l'unico scopo di portare avanti una tecnologia che mantiene in vita il sistema fossile. Davvero un capolavoro di ribaltamento delle cose.

Un passaggio sull'articolo 10, che riguarda il Piano Mattei. Non mi dilungo, ma questo articolo, che riguarda appunto le misure per il sostegno della presenza di imprese italiane nel continente africano e per l'internazionalizzazione delle imprese italiane, fa una cosa tanto inaccettabile quanto pericolosa. Prevede, infatti, la destinazione di parte delle risorse del Fondo italiano per il clima al Piano Mattei, senza trasparenza, senza criteri chiari, senza poter verificare che queste risorse vengano utilizzate per le finalità dello stesso Fondo.

Infatti, sono anche stati anche qui, ancora una volta, bocciati i nostri emendamenti che chiedevano una valutazione ex ante degli impatti climatici degli investimenti nel Piano Mattei o che si escluda che si possano finanziare iniziative che vadano a sfruttare le risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche, come ricerca e produzione di prodotti petroliferi, gas o biocarburanti.

E sebbene voi aggiungiate alla parola “sfruttamento” l'aggettivo “sostenibile”, questo rimane chiaramente un grande ossimoro, un paradosso e, di fatto, una presa in giro. Infine, visto che questo decreto non si fa mancare nulla, ci sono anche misure in materia di sport per differire dal 1° luglio 2024 al 1° luglio 2025 il termine di decorrenza per l'abolizione del vincolo sportivo degli atleti, costituito dalle limitazioni alla libertà contrattuale per i tesseramenti già in atto al 30 giugno 2023 e operanti dopo quest'ultima data, senza soluzione di continuità anche mediante rinnovo.

Anche qui ci sono state diverse audizioni di società e di associazioni che criticavano fortemente questa misura da parte del Governo. Per chiudere, quindi, un decreto che contiene al suo interno non certo una visione di futuro, semmai l'appiglio a tenere in piedi tecnologie vecchie e legate al mondo e al sistema delle fossili e che fa semplicemente favori a determinati territori del colore politico di questa maggioranza. Credo che sia assolutamente una perdita e una battaglia persa per l'intero Paese.