Dichiarazione di voto di fiducia
Data: 
Martedì, 6 Agosto, 2024
Nome: 
Andrea Orlando

A.C. 2002

Signor Presidente, ho come l'impressione che i vostri elettori, colleghi della maggioranza, siano certo interessati a sapere dei nostri presunti fallimenti, ma, talvolta, anche a sapere quali sono le vostre soluzioni. Certo, non abbiamo usato il termine “fascisti”, e sarebbe assolutamente improprio, anche perché credo che lo spirito del codice Rocco sia più avanzato di molti degli interventi che abbiamo ascoltato in questa sede.

L'Italia, più di 10 anni fa, ha affrontato una crisi analoga, che si presta male a questo racconto “voi-noi”, perché l'acme della crescita del sistema penitenziario, in termini di sovraffollamento, fu nel 2012; la collega Matone lo ricorderà bene, dirigeva un dipartimento del Ministero della Giustizia. Tre Governi diversi affrontarono quel passaggio: il Governo Berlusconi, che introdusse l'istituto della liberazione anticipata, il Governo Monti, con il Ministro Cancellieri, e il sottoscritto. Come affrontammo quel passaggio che portò a 44.000 detenuti e alla soluzione da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo? Con l'istituzione del Garante, con l'introduzione di rimedi, come il ricorso diretto dei detenuti al giudice di sorveglianza, e con l'introduzione delle pene alternative, oltre che, naturalmente, con una serie di misure di carattere deflattivo, che furono condivise, sostanzialmente, da maggioranza e opposizione, nonostante gli stessi che urlano oggi, urlassero anche al tempo.

Certo, è un limite e un insuccesso, anche personale, il fatto che non si sia arrivati ad una riforma organica che potesse stabilizzare quei numeri, arrivando a un'idea di trattamento individualizzato che, purtroppo, non si è concretizzata, e sarebbe troppo lungo qui discutere del perché. Però, fatto sta che oggi, per onestà intellettuale, voglio dire che le stesse ricette dell'epoca non sarebbero riproponibili oggi, per una ragione molto semplice. Certo, Ministro, se il Garante dei detenuti non fosse stato così depotenziato, come oggettivamente è avvenuto, forse avremmo uno strumento in più, ma non è di questo che voglio parlare. Se noi guardiamo i numeri, le cause sono diverse rispetto a quelle dell'epoca. All'epoca, siamo arrivati a 67.000-68.000 detenuti, mi sembra, nel 2013, contro i 61.000-62.000 di questi giorni, se non sbaglio.

Tuttavia, mentre all'epoca non esistevano le pene alternative, oggi abbiamo 90.000 persone sottoposte all'esecuzione penale esterna, 90.000 persone tra i cosiddetti liberi sospesi, quindi sottoposte all'area penale abbiamo complessivamente 250.000 persone. Ora, per avere un parametro storico, vorrei ricordare che l'Italia della fine degli anni Ottanta e degli inizi degli anni Novanta aveva circa 40.000 detenuti ed era un'Italia che alle spalle aveva la guerra di mafia, aveva ancora la stagione stragista di fronte e i residui del terrorismo. Quindi, ci dobbiamo chiedere se quest'area non sia eccessivamente estesa, oggi, rispetto alle esigenze di sicurezza. È vero, doveva ancora esplodere il fenomeno migratorio, ma non è da lì che cresce la spinta al sovraffollamento oggi, se è vero - come è vero - che in quest'anno i detenuti stranieri sono passati dal 34 al 31,5 per cento. Ho sentito rammentare, giustamente, il tema dei detenuti in attesa di giudizio ma, anche in questo caso, non è da lì che aumentano i numeri, perché quest'anno, rispetto all'anno scorso - i numeri dati dal Ministero - sono diminuiti del 3 per cento i detenuti in attesa di primo giudizio e sono passati, nell'arco di più anni, dal 64,7 per cento al 73 per cento i detenuti sottoposti a sentenza definitiva.

Allora, quali sono le ragioni strutturali e perché io dico che questo decreto non le affronta? Le ragioni strutturali sono: l'aumento dell'area penale e, in particolare, dell'area penale che vede nel carcere la sanzione - questo è un dato -; l'aumento sistematico delle pene e le tensioni interne che si sono determinate nel carcere, con meno aperture e, quindi, con più fatti di conflitto interno e, quindi, con nuove incriminazioni e, quindi, con un prolungamento del periodo di detenzione. È un cane che si morde la coda e speriamo che non passi la norma prevista nel disegno di legge atto Camera n. 1660, con l'inasprimento e la qualificazione come “rivolta” di un comportamento meramente oppositivo, perché quello sarebbe un ulteriore elemento che rischia di aumentare il tempo della detenzione.

Allora, io credo che sia interessante, anche per fare una discussione non ideologica, andare a vedere qual è la composizione attuale - oggi, non 10, 15, 25 anni fa -, della platea dei detenuti. Ce ne sono 1.500 che devono scontare meno di un anno di pena, 2.900 tra un anno e due anni, non residui, ma la pena complessiva che devono scontare. Allora, in questo caso, c'è da chiedersi se, forse, questa non è una categoria che potrebbe essere spostata verso le pene alternative. Il 79 per cento riguarda detenuti che devono scontare meno di 5 anni. Allora, forse, una riflessione dell'equilibrio che non funziona più tra pene alternative al carcere è una discussione che dovrebbe essere fatta e che nel decreto non c'è.

Sicuramente aveva ragione Turati, quando parlava del carcere come “cimitero dei vivi” e come “semenzaio della criminalità”, ma anche come specchio delle diseguaglianze. A nessuno di noi sfugge il fatto che, tra quelle persone che devono scontare 8, 9 mesi di carcere, di pena complessiva, la vera differenza rispetto ad altri è soltanto la qualità dell'avvocato.

Vede, Ministro, io credo che una vera discussione sul carcere dovrebbe considerare un dato: se il carcere sia lo strumento per affrontare fenomeni sociali che si sono aggravati nel corso di questi anni, mentre lo Stato sociale, quella che io ritengo la più grande invenzione del secolo scorso, si è progressivamente ridotto. Il carcere è stato utilizzato - e non solo da voi - per gestire il flusso migratorio, per gestire il disagio psichico, per gestire le tossicodipendenze, che la collega Matone vuole estirpare, e persino la povertà, senza arrivare all'estremo di questi mesi, nei quali addirittura sarebbe uno strumento con il quale fronteggiare il dissenso politico e sociale.

Ora, io credo che nel decreto ci siano tutte le buone intenzioni, tutte. Il problema è che le buone intenzioni, con scarse risorse e il peso dell'ideologia, non si trasformano in fatti. Allora, sul personale - è già stato detto - si colmano le lacune che si determineranno con i pensionamenti. Bene, certo, non si può dire che si è contrari.

Sulla questione del commissario straordinario, io voglio solo farle un augurio, signor Ministro, che sia più fortunato di me. Infatti, quello che ho trovato io, quando mi sono insediato, ha generato una serie di processi penali, carceri nessuno. Questo, però, è un augurio, lei sarà sicuramente più fortunato.

Giuste le convenzioni, ma quando produrranno effetti? E, soprattutto, la liberazione anticipata: siamo sicuri che il meccanismo non sia più complicato di quello attuale e non crei minori numeri in uscita di quelli che si determinerebbero con la norma così come è oggi? Lo vedremo in pochi mesi, perché se io ho torto i numeri cresceranno e discuteremo insieme di come provare ad affrontarlo. Quello, però, onestamente, che non credo entrerà nei manuali di tecnica legislativa è il sotterfugio di mettere il peculato all'interno di questo decreto  - concludo -, facendosi un po' scudo dei poveretti che vivono il sovraffollamento e, contemporaneamente, fregando i sindaci, ai quali avevate promesso uno scudo totale.

Allora, il collega Pittalis non deve aver paura del nostro fastidio, se farà la battaglia che ci ha annunciato nei prossimi mesi e sarà messo alla prova dalla scarsa adeguatezza - diciamo così - di questo decreto, noi lo sosterremo. Infatti, il carcere è il vero banco di prova del garantismo, perché il carcere non porta voti, in carcere difficilmente vanno a finire i ricchi e i potenti, il carcere è quel luogo nel quale i diritti fondamentali entrano ma, se non entrano e se non valgono per tutti, non sono più tali, anche perché chi è in carcere non ha la voce, né gli strumenti per poterli rivendicare e far valere. Però, il problema che io voglio porre qui, di fronte a tutti i colleghi, è questo: si può affrontare il tema del carcere senza mettere in discussione la cultura securitaria che caratterizza larga parte della maggioranza di Governo? Io la vedo come un'operazione particolarmente complicata e gli equilibrismi, le belle interviste del Ministro Nordio temo che non siano sufficienti a scalfire la scorza dura di un'idea autoritaria dello Stato che, attraverso il carcere, si propone di raddrizzare i mali della società. I mali della società si raddrizzano con la battaglia sociale, politica: il carcere può essere soltanto il luogo nel quale si registrano i fallimenti della politica. Ecco, noi qui o affrontiamo questo discorso o, altrimenti, non andremo molto lontano. Temo che questo decreto non lo affronti e, per questo, voteremo contro.