Discussione generale
Data: 
Lunedì, 16 Settembre, 2024
Nome: 
Paolo Ciani

A.C. 1830

Quelle insufficienze che tanti giovani hanno preso nel corso dei decenni sono servite a spronarli a impegnarsi maggiormente. Se i giovani sono così fragili, non sarà forse perché è il modello educativo che ovatta e rifiuta la valutazione ad essere corresponsabile di tanta fragilità? La vita, purtroppo, non è mai priva di difficoltà, errori, frustrazioni. Chi vuole il bene dei nostri giovani deve insegnare loro a gestire quelle difficoltà, quegli errori e quelle frustrazioni; non a negarne l'esistenza. Gentile Presidente, onorevole Sottosegretaria, evidentemente - voglio rassicurare i colleghi e chi seguirà questo mio intervento da fuori - queste parole che ho appena pronunciato non sono le mie.

Sono le parole del Ministro Valditara, pubblicate, quindi scritte, non a rischio di fraintendimento, su un settimanale, in risposta ad un appello lanciato da pedagogisti, formatori, personaggi dello spettacolo e del mondo culturale contro l'eliminazione della valutazione formativa alla scuola primaria. Le parole del Ministro - voglio ricordare - sono rivolte e dirette a bambini che frequentano la scuola primaria e che, quindi, devono rassegnarsi, sembra, sin da bambini, al fatto che la vita è piena di difficoltà, che non vanno ovattati, ma buttati in mare aperto ad affrontare il fallimento.

Anni e anni di pedagogia buttati in un cestino per un Ministro che ha esordito il suo mandato istituzionale affermando il valore dell'umiliazione come fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione dell'identità.

Anticipo le osservazioni dei colleghi della maggioranza che so già ci accuseranno di essere portatori di una cultura lassista post-sessantottina, per ricordare, uscendo dal macchiettismo in cui spesso ci troviamo costretti a muoverci quando affrontiamo questi temi, che l'educazione - e badate bene all'uso delle parole: non solo l'istruzione, proprio l'educazione - è uno strumento troppo importante nello sviluppo della personalità in crescita per essere etichettati in modo così semplicistico, come si proverà a fare - temo - nel corso del dibattito che seguirà in quest'Aula e in modo sbagliato e inadeguato, come questo provvedimento prova a fare.

Allora, dunque, ricordiamo un momento cosa introduce questo provvedimento, concentrato su due temi: voto in condotta e riforma della valutazione introdotta alla scuola primaria. Il voto in condotta diventerà più influente. Viene ripristinato il voto in condotta in forma numerica alle scuole secondarie di primo grado, facendo marcia indietro rispetto alla riforma introdotta dalla Ministra Fedeli nel 2017. Il voto in condotta, in generale, per le scuole secondarie di secondo grado, avrà un peso maggiore e condizionerà anche l'ammissione all'esame di Stato. Irrigidimento complessivo dei criteri per l'assegnazione di un 5 in condotta, andando ad intaccare la legittima e necessaria autonomia delle istituzioni scolastiche e dei regolamenti di istituto. Accanto a questo, nell'esame al Senato, è stata introdotta la revisione dei giudizi formativi relativi alla scuola primaria, introdotti nel 2020 con un grande impegno di investimento pedagogico compiuto da e con il mondo della scuola, sostituiti da giudizi sintetici.

Infine, si inserisce una nuova - direi ennesima - norma di diritto penale che, a fronte di sentenze di condanna per i reati commessi in danno di un dirigente scolastico o di un membro della comunità scolastica, prevede il pagamento, a fianco del risarcimento del danno, di una somma a favore dell'istituzione scolastica a titolo di riparazione. Questo - sostenete - in nome di una maggiore tutela dell'autorevolezza del personale e delle istituzioni scolastiche. Autorevolezza che - anche in questo caso - pensate di raggiungere con maggiori sanzioni e non con un processo che investa sulla dignità, sulla formazione, sulla retribuzione e sulla consapevolezza del corpo docente; peraltro, senza educare e coinvolgere, in un comune patto di corresponsabilità, tutti i componenti della comunità scolastica - e, quindi, anche studenti e famiglie - sul valore e la centralità del corpo docente.

C'è un motivo - credo - per cui fate questo; non è una scelta casuale: lo fate perché non considerate la scuola né come un servizio pubblico funzionale alla rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona, né come un luogo in cui si promuove lo sviluppo della cultura e la formazione della personalità ma, semplicemente, come un contesto lavorativo; un posto di lavoro - che, ovviamente è, ma è anche molto di più - a cui volete restituire serenità con gli strumenti previsti in questo provvedimento.

E come fate? Come operare? Attraverso le sanzioni, rendendo più rigido e burocratico l'intero sistema di irrogazione delle sanzioni e tralasciando il valore educativo e formativo che ogni sistema di valutazione di una personalità in formazione - come gli studenti sono - deve far proprio.

Voglio condividere con voi un dato. Quando questo provvedimento è arrivato in Commissione cultura alla Camera, si è svolto un ciclo di audizioni che ha coinvolto sindacati, associazioni, pedagogisti e studenti: da ogni parte, anche da soggetti molto diversi tra loro, si è levata una riflessione comune sulla necessità di rivedere le sue previsioni e sulla sua scarsa adeguatezza.

Di fronte ad un coro così unanime, l'auspicio sarebbe stato quello di aprire un confronto serio ed ampio sul suo contenuto e di rivederne gli aspetti più critici, a cominciare dalla necessità di favorire un ampio e collettivo confronto con il mondo della scuola rispetto alla revisione delle disposizioni in materia di valutazione del comportamento di studenti e studentesse. Invece, nulla di tutto questo.

In Commissione, l'esame del provvedimento si è risolto, sostanzialmente, in una pratica da sbrigare e chiudere il prima possibile. Avete anche provato, nel luglio scorso, ad accelerare ulteriormente l'arrivo in Aula del provvedimento: perché, vuoi mettere poter piantare l'ennesima bandierina sul percorso di costruzione della nuova scuola modello “Ministro Valditara”?

Siamo riusciti a spostare in avanti di qualche settimana l'arrivo del provvedimento in quest'Aula, purtroppo, senza cambiare di molto il risultato finale, visto che il testo è stato blindato. Sono purtroppo convinto che, anche in quest'Aula, assisteremo alla messa in scena di una discussione ideologica e stereotipata che sbaglia, fondamentalmente, in alcuni assunti. Infatti, non fa alcuna differenza tra “autorevolezza” ed “autorità”: la prima, fondamentale per il mondo della scuola e per i ragazzi, i quali hanno bisogno di figure adulte in grado di educarli - attenzione: educarli, non semplicemente “istruirli” - capaci di avere rispetto da parte degli studenti perché percepite dagli stessi come autorevoli e, quindi, capaci di manifestare pensieri forti, nonché in grado di insegnare.

Voi, invece, scegliete la via apparentemente più facile: quella dell'autorità, che parte da una sfiducia sostanziale nei confronti dei ragazzi e delle ragazze. Voglio fare un'affermazione forse forte: mi sembra che voi pensiate che gli studenti e le studentesse siano fondamentalmente cattivi e come tali vadano trattati e, quindi, puniti. Nessuno di noi, tuttavia, vuole nascondere che nella scuola possano esserci situazioni difficili e complesse; nessuno pensa che i ragazzi e le ragazze non abbiano difficoltà o non si rendano protagonisti di episodi di violenza, bullismo o di prevaricazione.

Inoltre, di fondo, avete sfiducia anche negli insegnanti e nella loro autonomia, se pensate di dover indicare per legge i contenuti puntuali dei provvedimenti disciplinari, gli effetti stessi di essi. Come se gli insegnanti non fossero sufficientemente autorevoli e consapevoli della propria missione educativa da poterlo fare loro stessi. Nessuna intenzione di recupero ma, sostanzialmente, degli automatismi e, soprattutto, nessuna azione preventiva, ad esempio, sul disagio giovanile, sulla comunità educante e su quanti si disperdono nel loro percorso scolastico.

Presidente, faccio presente che in quest'Aula, durante questa legislatura, con provvedimento largamente condiviso, abbiamo approvato delle nuove norme sul bullismo e sul cyberbullismo: ecco, mi aspettavo che all'inizio di questo nuovo anno scolastico fossero recepite ed implementate dalle scuole. Ed invece, purtroppo, ancora non abbiamo visto nulla.

Di fronte alle difficoltà educative, il compito di un educatore non è semplicemente quello di punire, come se il voto fosse una sanzione disciplinare da erogare in un ambiente di lavoro, ma quello di accompagnare e guidare i ragazzi, favorendone la consapevolezza ed acquisendo così, nei fatti, l'autorevolezza nei loro confronti, e ciò non semplicemente incutendo loro paura. Lo dicono e testimoniano i racconti dei tanti insegnanti ed educatori con cui ognuno di noi ha quotidianamente a che fare e con cui si confronta. Non basta un voto, un elaborato scritto, per cambiare la condotta e la condizione di uno studente o di una studentessa.

Niente di più semplice o facile. E invece, no: non basta un voto. Ricordarlo non è lassismo, ma è provare a dare della scuola una visione meno macchiettistica ed ideologica di quella che, purtroppo, sembra vogliate trasmettere voi. Provare a favorire un percorso di crescita degli studenti; provare a coinvolgere in questo percorso le famiglie, spesso altrettanto disorientate di fronte alla propria missione educativa; a stringere un patto insieme ed a promuovere un lavoro comune.

Se guardate l'etimologia del verbo “valutare”, esso richiama al concetto di “dare valore”. È una parola importante “dare valore”: è un'azione piena di significato. Era con questo spirito che, nel 2020, è stata introdotta alla scuola primaria la valutazione formativa e descrittiva, che con questo provvedimento, con un emendamento introdotto al Senato, andate ad eliminare, sostituendola con il giudizio sintetico.

È più semplice dire “buono”, “ottimo”, “sufficiente” - avete detto - così il bambino potrà capire come va a scuola. È la facilità a fare la differenza, non l'obiettivo di crescita ed educazione del bambino e della sua famiglia.

Se l'attività didattica è concepita solo come una interrogazione, una classificazione, questo va benissimo. Ma se a noi interessa il processo di cambiamento e crescita che il valutare porta con sé, se ci interessa il cambiamento e la crescita di quel bambino e di quella bambina, il percorso di cambiamento necessario, quello che è più facile non ci interessa.

Il voto descrittivo e la valutazione formativa - su cui voglio ringraziare la comunità scolastica per il modo in cui aveva partecipato, in cui si era messa in gioco e aveva seguito un processo di cambiamento - servivano a spiegare al bambino e alla bambina da dove erano partiti, dove erano arrivati e su cosa avrebbero dovuto concentrarsi maggiormente con i propri insegnanti facendo un percorso insieme, insegnando loro che non sono un voto o un giudizio ma sono un percorso, un processo educativo, perché stanno crescendo. La valutazione non è il capriccio di una forza politica lassista, signor Presidente, è una scienza con degli esperti, con i pedagogisti che lavorano da tempo, con persone competenti. E allora perché non si è pensato di coinvolgere quelle persone competenti per fare un bilancio di quanto era partito dal 2020, in quella stagione del COVID-19, in cui la scuola e i suoi componenti hanno sofferto, in cui sono esplose criticità, disuguaglianze, problemi? Perché non si è fatto per comprendere gli effetti, per migliorare quel sistema, rendendolo anche di più immediata ed efficace comprensione? Sarebbe stato un percorso da adulti consapevoli che vogliono il bene della scuola e dei suoi componenti. Si è preferita una strada che appare più semplice, quella che vale il titolo sul giornale o l'apertura di un tg - anche se non è particolarmente difficile ottenerla, mi sembra - ma è questo il compito della scuola? Per l'ennesima volta, si è sbattuta una porta in faccia ai docenti che si erano formati in questi anni, alle famiglie che hanno preso parte al processo, perché questo non è importante per voi, evidentemente; meglio un emendamento che, con un tratto di penna, cancella e restaura il passato. È più semplice, come dice il Ministro, e chi non la pensa è un vetero sessantottino, anche se siamo nati qualche anno dopo.

Nell'avviarmi alla conclusione, vorrei ricordare alcune cose. Qui nessuno di noi sottovaluta il tema della violenza, della violenza a scuola; la riteniamo grave e preoccupante sempre, ancora di più se il disagio si manifesta all'interno della comunità scolastica, perché va ad incidere sulla serenità di quella comunità. Ma siamo - siete - proprio voi a sottovalutarla, scegliendo la strada definita più semplice e facile, che non tiene conto dell'emergenza educativa che coinvolge il nostro Paese, che si manifesta anche a scuola. Non sempre la strada più semplice e facile è quella più efficace a risolvere i problemi.

Agli episodi di violenza che hanno coinvolto studenti, famiglie e docenti si è scelto di rispondere con la sanzione e la punizione, mentre l'obiettivo dovrebbe essere, a fianco di una sanzione, quello di sviluppare realmente - e non solo attraverso un compito scritto - una cittadinanza solidale, facendo crescere nei giovani il valore e il rispetto dell'altro, assegnando al voto una funzione formativa finalizzata al cambiamento in nome del senso repubblicano e democratico di una scuola per tutti e tutte, a sostegno e beneficio anche di chi cresce e nasce in un ambiente difficile, a chi ha meno mezzi economici e culturali, a chi sta affrontando difficoltà, anche molto serie. Per fare questo, la scuola ha bisogno di risorse economiche ed umane; ha bisogno di investire sulla figura sociale dell'insegnante e di coinvolgere l'intera comunità educante.

Vi racconto una storia interessante e utile che ho ripensato in questi giorni in cui si discute di cittadinanza. Un giorno mi trovavo con un gruppo di nuovi cittadini - come mi piace definirli - e riflettevamo sull'uso della lingua e sulla conoscenza delle parole; uno di questi ragazzi, mentre facevamo una specie di quiz, alla domanda: la persona più importante della città - chi la poneva voleva portarlo a dire il sindaco - ha risposto: il maestro. È questa la figura sociale dell'insegnante che ci piace; serve una scuola rinnovata e rinforzata, che ripensi il tempo scuola in un tempo lungo, che organizzi anche le attività pomeridiane dei ragazzi e delle ragazze, che promuova lo stare insieme e la relazione; servirebbe decidere che questa è la priorità, la priorità comune; invece, il dibattito tristemente si concentra sull'utilità e facilità del voto numerico, come se in questo modo si rendesse più efficace il processo di maturazione e crescita degli studenti.

Si cambia lo statuto degli studenti e delle studentesse dimenticando, volutamente, di coinvolgere i suoi protagonisti, tappa essenziale e necessaria di ogni buona efficace riforma. Ma si risponde all'urgenza della cronaca e pazienza se, per farlo, realizziamo un sistema che rischia di lasciare indietro chi ha più difficoltà. Ma se la scuola non si cura di tutti i soggetti e non sente come un'urgenza il rimedio delle disuguaglianze, i più fragili rafforzeranno il loro individualismo, preoccupandosi solo dei propri interessi. Invece si dovrebbe intervenire più e meglio sulle condizioni pedagogiche e strutturali del fare scuola; si dovrebbe valorizzare e potenziare il patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia, rendendolo una elaborazione sempre più partecipata e collettiva per ricostruire il dialogo necessario tra scuola, studenti e genitori e rifondare la fiducia nella scuola.

Ma per fare tutto questo, dovremmo lasciare da parte la propaganda, lavorando per le generazioni di oggi e di domani; occorrerebbe uscire dalle scorciatoie - e, perdonatemi - dalle banalità, dalle macchiette che parlano di vetero comunismo o che continuano a chiamare in causa Gramsci e la sua cultura.

Pochi giorni fa Carlo Verdelli, in un editoriale sul Corriere della Sera, ricordava allarmato al Ministro che c'è un'intera generazione che, ormai, parla una lingua che gli adulti non riescono - se non con difficoltà - a decifrare; ciò manifesta un disagio palpabile e crescente senza nome, senza cure e senza sbocchi, con la scuola che, da sola, non può e non riesce ad arginare questo male di vivere. Ma se ci limitiamo a pensare di arginarlo con il richiamo retorico all'orgoglio di patria o al successo come unica meta di crescita, facciamo finta di non vedere l'iceberg in mezzo al mare. Ecco perché c'è la necessità di una straordinaria alleanza educativa comune, che abbiamo la responsabilità di stringere e sostenere tutti insieme.