07/10/2024
Marco Sarracino
Bonafè. Schlein, Braga, Cuperlo, Fornaro, Mauri, Ubaldo Pagano, Guerra, De Luca, Toni Ricciardi, Casu
1-00340

 La Camera,

   premesso che:

    nel giugno 2024, dopo un accesissimo dibattito parlamentare, è stata approvata la legge n. 86 del 2024, che ha introdotto «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, comma terzo, della Costituzione»;

    tale legge, come è noto, è diventata oggetto di una proposta di referendum per la quale sono state raccolte più di un milione di firme in appena tre mesi, trattandosi di una legge che pregiudica la coesione sociale del nostro Paese, introduce veri e propri elementi di rottura dell'unità nazionale – laddove, per esempio, permette che in Italia potranno essere adottate fino a venti politiche energetiche differenti, una per ciascuna regione, o laddove, per esempio, consente che ciascuna regione possa promuovere programmi e concorsi differenti per le scuole o retribuire in modo diverso i propri docenti – e costringerà sempre più italiani ad emigrare al Nord per curarsi, allungando le già lunghe liste d'attesa, o i nostri giovani ad abbandonare le aree interne, con un aggravamento della spesa pubblica annuale, secondo alcune stime pubblicate sullo stesso sito del Dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud, pari a circa 19.000 euro per ciascun cittadino del Nord, e a circa 14.000 euro per ciascun cittadino del Sud;

    tra gli elementi particolarmente problematici della legge n. 86 del 2024 va senz'altro rilevata la separazione tra le materie «lep» e le materie «non lep», che risulta sbagliata sia sotto il profilo procedurale – perché di fatto raddoppierà per ciascuna regione il numero di intese, con un conseguente aggravio sia per il Governo che per il Parlamento – sia sotto il profilo sostanziale, non consentendo la separazione tra materie «lep» e «non lep» una valutazione complessiva e coerente sia sul piano politico che su quello tecnico, con particolare riferimento all'attribuzione del personale e delle risorse finanziarie, di ognuna delle funzioni per le quali ciascuna regione potrà chiedere l'esercizio di un'autonomia differenziata;

    è del tutto controproducente prevedere, come la legge n. 86 del 2024 fa, che ciascuna regione possa avanzare la richiesta per l'attribuzione di funzioni inerenti a materie «non lep», anche prima della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, e farlo con riferimento a funzioni che permetterebbero, ad esempio, alle singole regioni di sponsorizzare e firmare i propri contratti di export o di promozione per conto proprio, autorizzando una competizione nociva, come nel caso della promozione all'estero di un vino di una regione ai danni di quello di un'altra, così dimenticando che il marchio da esportare all'estero non è quello delle singole regioni, ma quello del made in Italy, al quale il Governo in carica ha dedicato persino un Ministero;

    sarebbe stato assi più opportuno, come sistematicamente richiesto durante i lavori parlamentari che hanno condotto all'approvazione della legge n. 86 del 2024, una previa definizione di tutti i livelli essenziali delle prestazioni e del relativo finanziamento, assistito dalle necessarie misure perequative, e, solo successivamente, un esame complessivo per ciascuna regione di tutte le richieste, sia su materie «lep» che «non lep», inerenti una maggior autonomia;

    il 25 settembre 2024 si è riunito il Comitato per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Clep), presieduto dal professor Sabino Cassese, per esaminare il documento elaborato dalla Sottocommissione dei dodici, che ha il compito di elaborare i criteri in base ai quali la Commissione tecnica determinerà poi i valori dei fabbisogni standard; tale organo, nominato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, è presieduto da Elena D'Orlando, una giurista in passato facente parte della delegazione scelta da Zaia proprio per «trattare» per conto del Veneto i margini di autonomia nella negoziazione con il Governo sulle materie da attribuire alla regione per l'esercizio di un'autonomia differenziata;

    in questo documento, secondo quanto riportato dalla stampa e in alcuni atti di controllo al Senato, sarebbe previsto che i fabbisogni standard andrebbero determinati sulla «base delle caratteristiche dei diversi territori, del clima, del costo della vita e degli aspetti sociodemografici della popolazione residente», una scelta questa che rischia di consolidare e aumentare le differenze già esistenti nell'offerta dei servizi; con riferimento poi a criteri, come quello del «costo della vita», tale scelta determinerebbe un'inevitabile differenziazione degli stessi fabbisogni e, di conseguenza, dei livelli essenziali delle prestazioni nell'ambito del territorio nazionale e, soprattutto, nel Mezzogiorno e nelle aree interne del Paese;

    determinare i fabbisogni standard sulla base di criteri quali il clima, il costo della vita e gli aspetti sociodemografici della popolazione residente significa, in settori come, ad esempio, quello dell'istruzione, comporterà che in futuro un insegnante del Mezzogiorno o di un'area interna potrebbe essere pagato meno del collega di una città metropolitana, così determinando un surrettizio e antistorico scivolamento verso il modello delle gabbie salariali, che furono oggetto di uno specifico accordo tra le parti sociali nel 1945, definitivamente archiviato nel 1972 e che aveva determinato quel fenomeno che fu opportunamente definito «La giungla retributiva», poiché disattendeva il principio del riconoscimento dell'identica retribuzione per la medesima prestazione lavorativa;

    la subordinazione della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni ai suddetti criteri si pone in evidente contrasto anche con quanto stabilito dalla stessa legge 26 giugno 2024, n. 86, che, all'articolo 1, stabilisce che i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ivi compresi quelli connessi alle funzioni fondamentali degli enti locali, «devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale» e che, all'articolo 4, comma 1, in merito al trasferimento delle funzioni da effettuarsi soltanto dopo la determinazione dei medesimi livelli essenziali delle prestazioni e dei relativi costi e fabbisogni standard, prevede, in modo esplicito, che detto trasferimento può realizzarsi solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte «ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull'intero territorio nazionale, ivi comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese, al fine di scongiurare disparità di trattamento tra Regioni (...)»;

    una volta definiti i livelli essenziali delle prestazioni, occorrerebbe consentire al Parlamento di fare una valutazione complessiva delle risorse che sono necessarie per finanziare tali livelli essenziali delle prestazioni e decidere di conseguenza, nel rispetto della Costituzione, priorità e grado della loro attuazione;

    del resto, già in sede di esame del disegno di legge da parte del Parlamento, diversi illustri costituzionalisti auditi sollevarono, in merito alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni – come prevista dal testo – rilievi di incostituzionalità poiché il metodo previsto avrebbe comportato il rischio (allora e la certezza adesso) di cristallizzare le differenze territoriali esistenti;

    accanto al tema della corretta definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, vi è quello delle risorse necessarie a garantirli su tutto il territorio nazionale, risorse delle quali al momento non si è ravvisata traccia;

    anzi, la legge n. 86 del 2024, così come le disposizioni dell'articolo 1, comma 793, lettera d), della legge di bilancio per il 2023, hanno subordinato la stessa determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni agli stanziamenti di bilancio disponibili a legislazione vigente o a quelli resi disponibili dalle leggi di bilancio, così subordinando la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali – che l'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione prevede debbano essere garantiti su tutto il territorio nazionale – ad un criterio squisitamente economico;

    l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione prevede che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possano essere attribuite ad altre regioni solo nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119 della Costituzione: tale articolo pone infatti una norma cardine dell'ordinamento per l'attuazione di un regionalismo solidale, ricavabile dalla previsione della perequazione rivolta ai territori con minore capacità fiscale; sempre l'articolo 119, al quinto comma, stabilisce che lo Stato deve destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, al fine di rimuovere gli squilibri economici e sociali e favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona; con la legge di bilancio per il 2024 il Governo ha peraltro definanziato l'esistente Fondo perequativo infrastrutturale;

    come sottolineato da numerosi professori durante le audizioni, la legge n. 86 del 2024, al contrario, passa dalla concezione di un regionalismo solidale e cooperativo a declinazioni meramente competitive dello stesso: con specifico riferimento al finanziamento delle funzioni che dovrebbero essere trasferite, infatti, il disegno di legge in esame prevede una clausola di invarianza finanziaria all'articolo 9, comma 1, dove viene espressamente stabilito che «dall'applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»; la stessa clausola di neutralità finanziaria tuttavia pare poi smentita da un inciso dello stesso articolo 4, comma 1, in cui si dice che eventuali «maggiori oneri a carico della finanza pubblica» potranno condizionare il trasferimento delle funzioni allo stanziamento delle risorse necessarie, sicché si apre una prospettiva di grande confusione, che mette a rischio la stessa tenuta del sistema di finanza pubblica italiano;

    particolarmente problematica sotto il profilo costituzionale è poi la previsione dell'articolo 5 del provvedimento laddove prevede che quote di compartecipazione al gettito di tributi erariali vengano definite nelle intese, senza dettare però alcun criterio sull'ammontare di queste quote di compartecipazione ai tributi erariali che dovranno essere garantite dalle regioni differenziate e che serviranno a finanziare le funzioni ad esse affidate;

    l'affidamento alla negoziazione tra Stato e regioni di scelte tributarie, potenzialmente decisive sul bilancio dello Stato, appare un'opzione non solo rischiosa e irragionevole, ma anche lesiva degli articoli 3 e 81 della Costituzione;

    la previsione dell'articolo 5, comma 2, appare poi del tutto incoerente con quella del successivo articolo 9, comma 3, laddove prevede che «le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l'entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni», una clausola di salvaguardia questa irrealizzabile senza una previa determinazione della quota di compartecipazione al gettito erariale che dovrà essere corrisposta dalle singole regioni differenziate,

impegna il Governo:

1) ad attuare una moratoria delle intese in atto, astenendosi dall'avviare o proseguire qualunque negoziato inerente alle materie «non lep», prima di aver determinato i livelli essenziali delle prestazioni relativi alle materie già di competenza delle regioni e dei comuni ai sensi delle legge n. 42 del 2009 e per i quali è stato assunto un impegno ad adempiere entro il 2026 nel quadro del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prima che siano stati comunque definiti i livelli essenziali delle prestazioni da attuarsi su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, con la conseguente individuazione delle risorse che ne rende possibile il finanziamento;

2) al fine di assicurare l'unità giuridica, economica e sociale della Repubblica e di non compromettere in ogni caso l'attuazione uniforme dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale, a non subordinare la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni a criteri che penalizzerebbero le regioni e le aree più povere del Paese, a conferma di una visione che – in contrasto con la Costituzione e con lo stesso Titolo V – certifica i divari territoriali, non garantendo a tutti i cittadini, ovunque risiedano, il pieno godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali, come avverrebbe nel caso del parametro sul «costo della vita» o come nel caso del criterio della spesa storica, che riflette e consolida le disuguaglianze territoriali esistenti;

3) ad adottare iniziative anche di carattere normativo a prevedere che ogni possibile trasferimento di funzioni, sia nelle materie «lep» che in quelle «non lep», sia accompagnato dall'adozione di idonee misure perequative, così come previsto dall'articolo 119 della Costituzione, per sostenere le regioni con minore capacità fiscale;

4) ad adottare ogni iniziativa utile di carattere normativo, fin dal prossimo disegno di legge di bilancio, volta a reperire tutte le risorse necessarie ad assicurare l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni non solo relativamente alle materie devolvibili alle regioni ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, ma prima ancora nelle materie già di competenza delle regioni e dei comuni ai sensi della legge n. 142 del 2009, anche istituendo un fondo perequativo a garanzia della loro attuazione e dei relativi costi e fabbisogni standard per tutelare quelle regioni che non intendano richiedere ulteriori forme e condizioni di autonomia, nonché a rifinanziare già dal prossimo disegno di legge di bilancio il fondo perequativo infrastrutturale;

5) a promuovere, per quanto di competenza, un adeguato coinvolgimento del Parlamento non solo in tutte le fasi di negoziazione delle intese, ma anche nella delicata valutazione complessiva delle risorse che saranno necessarie per finanziare i livelli essenziali delle prestazioni, nel rispetto della Costituzione e in considerazione delle priorità che debbono essere perseguite e del grado della loro attuazione;

6) a presentare entro sei mesi una relazione dettagliata alle Camere sull'impatto che il trasferimento di funzioni «lep» e «non lep» può determinare non solo sulle altre regioni, ma anche sulla coesione sociale e sull'unità economica, giuridica e sociale di tutto il territorio nazionale, anche al fine di scongiurare ogni possibile effetto distorsivo nell'efficacia e nella coerenza dell'azione, anche europea ed internazionale, del nostro Paese.