Data: 
Martedì, 16 Dicembre, 2014
Nome: 
Marina Berlinghieri

Signor Presidente, come è stato ben sottolineato da tutti coloro che mi hanno preceduto, il tema che si andrà a dibattere durante questo Consiglio europeo riveste particolare importanza. Infatti, dopo anni di discussione improntata a politiche di rigore, grazie anche la battaglia svolta dal Governo italiano, durante questo Consiglio si esamineranno gli ulteriori sforzi da compiere per favorire la crescita, l'occupazione e la competitività europea. Nel 2013, circa 60 Paesi su 220 nel mondo, hanno avuto un tasso di crescita superiore al 5 per cento annuo. Di questi 60 Paesi, 27 si trovano nel contenente africano, 23 in Asia, 6 in Sudamerica, e solo uno in Europa, la Moldavia. Se a questo dato si aggiunge il fatto che, sempre nel 2013, il PIL reale dell'Unione europea a 28 Paesi, è cresciuto di appena lo 0,1 per cento, e che negli ultimi dieci anni la crescita annua del PIL reale dell'insieme dei Paesi comunitari è stata in media di appena 1,6 per cento annuo, allora appare, con tutta evidenza, l'urgenza di affrontare la questione del modello di sviluppo economico dell'intera Europa e dell'Italia in particolare. L'OCSE nell'aggiornare le stime di crescita delle principali economie, nel settembre 2014, ha rilevato come l'area euro, globalmente considerata, stia lentamente riemergendo dalla crisi, anche se molti dei Paesi che ne fanno parte evidenziano ancora una crescita molto debole. Crescita debole e livelli di disoccupazione altissimi sono strettamente collegati al fatto che, negli anni della crisi, i livelli di investimento in Europa sono precipitati: dal 2007 al 2014 sono diminuiti di circa 430 miliardi di euro, una riduzione del 15 per cento, con picchi del 22 per cento in Italia e del 31 per cento in Spagna. 
  Se leggiamo questi dati congiuntamente a quelli demografici, vediamo che il dato che emerge in modo netto è la sempre maggiore marginalizzazione dell'economia europea, che con ogni probabilità sarà arrestabile solo con una visione nuova dello sviluppo economico e l'attivazione di conseguenti strategie operative. 
  In tali circostanze, attuare misure che promuovano gli investimenti in Europa è una sfida politica fondamentale, anche a fronte del fatto che le risorse del bilancio comunitario non sono sufficienti per attivare un intervento pubblico finalizzato al rilancio degli investimenti. 
  Lo stesso Fondo Monetario ha stimato che un aumento delle spese in investimenti pari all'1 per cento del PIL incrementerebbe il prodotto di circa lo 0,4 per cento nello stesso anno e dell'1,5 per cento nei 4 anni successivi. 
  L'Europa dunque, per affrontare la complessa e difficile situazione economica in cui versa, deve sviluppare una politica comune di investimenti pubblici, specie nei settori che stimolano la crescita come le infrastrutture, l'istruzione e la ricerca ed assicurare a tutti i Paesi la possibilità di ricorrere appieno alla politica di bilancio nazionale come strumento anticiclico, utilizzando tutti i margini di flessibilità esistenti per favorire la ripresa e sviluppando un'azione, a livello dell'Unione europea, per allentare ulteriormente i vincoli che impediscono di contrastare efficacemente le fasi avverse del ciclo economico. 
  In questo senso, ci pare molto positivo il piano di investimenti per rilanciare la crescita annunciato il 26 novembre scorso dalla Commissione europea, con la previsione di un nuovo fondo europeo per gli investimenti strategici garantito con fondi pubblici, di una riserva di progetti accompagnata da un programma di assistenza per incanalare gli investimenti dove sono maggiormente necessari, di una tabella di marcia per rendere l'Europa più attraente per gli investimenti ed eliminare le strettoie regolamentari. 
  Dentro a questo piano ci pare elemento molto positivo lo scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit: è un passo che riteniamo importante, ma che, come ha ben ribadito anche lei, Presidente del Consiglio, deve essere il primo per arrivare a prevedere anche lo scorporo dei cofinanziamenti nazionali e regionali per la politica di coesione. 
  Solo con questa misura, infatti, l'Europa avrà pienamente preso atto del fatto che la spesa per gli investimenti a tutti i livelli non è spesa corrente, ma meccanismo positivo per la crescita. 
  Nell'era digitale la corsa all'innovazione, alle competenze ed ai mercati costringe tutti i nostri Paesi a giocare d'anticipo e ad adattarsi per poter prosperare. 
  La scarsità di risorse naturali, il costo dell'energia e gli effetti dei cambiamenti climatici sono sfide importanti. 
  L'attuale dipendenza energetica rende l'Europa vulnerabile. 
  In tutto il mondo la radicalizzazione e l'estremismo sono motivi di preoccupazione. 
  La stabilità geopolitica delle nostre stesse frontiere non può essere data per scontata e le tendenze demografiche rappresentano una sfida. 
  L'invecchiamento della popolazione mette sotto ulteriore pressione i sistemi previdenziali e i flussi migratori irregolari richiedono risposte comuni ed un'azione concertata. 
  L'obiettivo per i prossimi anni deve essere dunque quello di fornire alle nostre società strumenti per il futuro e per promuovere la fiducia. 
  I Paesi europei si trovano in una posizione privilegiata per realizzare il cambiamento, sia singolarmente che collettivamente, come Unione. 
  La nostra diversità è una ricchezza, la nostra unità crea forza. Nella nostra Unione vi sono gradi diversi di cooperazione ed integrazione. La nostra politica di allargamento continua a favorire la democrazia e la prosperità. 
  Salutiamo perciò come fatto positivo la consapevolezza dimostrata dalle istituzioni europee del fatto che l'Europa ha oggi più che mai bisogno di lavoro, crescita, equità e più democrazia e che dunque, in forza di questo, le priorità dell'agenda europea stanno gradualmente cambiando. Se l'obiettivo della disciplina di bilancio ha giocato un ruolo di primo piano in questi anni di crisi, bloccando investimenti e crescita, oggi l'attenzione deve spostarsi sull'economia reale e sulle imprese. 
  Il piano per la crescita e la competitività deve quindi promuovere la concentrazione degli investimenti nei settori cruciali: reti energetiche e di trasporto, energie rinnovabili ed efficienza energetica, istruzione, ricerca ed innovazione, economia digitale, banda larga, infrastrutture sociali, prevenzione del dissesto idrogeologico, garantendo agli investitori privati programmi economicamente solidi. 
  Il piano proposto dal Presidente Juncker per gli investimenti strategici è un primo passo verso una politica europea maggiormente orientata agli investimenti ed alla crescita, ma va rafforzato, perché non appare ancora sufficiente ad attivare la ripresa del ciclo economico. 
  Parlare infatti di competitività, crescita ed innovazione significa anche affrontare il tema di un piano strategico a sostegno delle imprese e dell'industria. 
  Le imprese hanno bisogno di quattro elementi per avviare la crescita: un mercato, l'accesso ai mezzi di produzione, un'industria intelligente, dove innovazione sia la chiave dell'investimento industriale, e un quadro regolamentare semplice e sicuro.
  Per agevolare l'accesso delle imprese ai mercati, bisogna completare il mercato interno dei servizi, far progressi nella creazione di un mercato interno digitale e nel completamento delle grandi reti infrastrutturali. È fondamentale facilitare l'accesso delle imprese europee ai mercati globali: i nuovi accordi bilaterali di libero scambio con i nostri principali partner commerciali, a cominciare da quello con gli Stati Uniti, svolgono in questo un ruolo chiave. 
  Il completamento del mercato interno è fondamentale anche per quanto riguarda l'accesso ai mezzi di produzione. Bene il pacchetto di azioni, per i prossimi sette anni, in materia di energia, cambiamento climatico e ambiente. 
  Molta strada dobbiamo fare, invece, riguardo alle competenze. Dobbiamo intraprendere un'ambiziosa campagna per migliorare le competenze e le capacità dei giovani e dei cittadini europei. Il programma Erasmus plus ha dato buona prova, attivando programmi di interscambio per oltre quattro milioni di giovani, tra cui seicentocinquantamila tra studenti e apprendisti. Ora è esteso anche agli imprenditori. Molte cose, quindi, sono state messe in campo e molta strada rimane da fare. 
  Nel ribadire l'apprezzamento per quanto è stato fatto fino ad ora, chiediamo dunque al Governo, al quale diamo il nostro sostegno e l'appoggio concreto, di continuare la battaglia intrapresa per riportare al centro dell'Europa la politica, che è visione della polis, della casa comune, nella consapevolezza che, per fenomeni e problemi di lungo termine, occorrono strategie politiche di lungo termine, in grado di superare l'approccio di breve periodo che fino ad oggi ha prevalso, in direzione di una convergenza non solo trasversale ai vari orientamenti politici, ma anche ai diversi approcci nazionali sulle questioni economiche, come la vicenda del Patto di stabilità e del fiscal compact ha con chiarezza evidenziato, nella consapevolezza che non saranno né facili né rapide né indolori le misure che occorrerà attivare per contrastare la decadenza economica del Vecchio continente e, se possibile, avviare un rinascimento economico europeo. 
  Abbiamo di fronte – e concludo – una sfida epocale e grande è la responsabilità cui siamo chiamati alla quale non intendiamo sottrarci. È una sfida che deve essere vinta attraverso un'alleanza di intenti e di proposte fra i soggetti più dinamici e sani della nostra società (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).