A.C. 2067
Grazie, signora Presidente. Vorrei dire una cosa in premessa ai colleghi, soprattutto del centrodestra, che ho ascoltato con grande attenzione e di cui, ovviamente, rispetto l'opinione: se siamo qui, oggi, a fare questa discussione generale, è perché c'è stato un successo politico delle opposizioni. Infatti, per come stava andando la discussione in Commissione e per come la destra, o meglio, una parte della destra, signor Sottosegretario, si è approcciata al dibattito sulla riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, questa legge doveva arrivare qui monca, cancellata con un emendamento soppressivo e con un pieno mandato al relatore volto ad evitare una discussione di merito su una proposta che ha visto unificarsi tre opposizioni.
Vi informo che la legge è arrivata tutta intera e non c'è il mandato al relatore, nonostante il tentativo politico di sopprimerla con un emendamento. E siccome siamo arrivati qui e abbiamo un atteggiamento dialogante e non arrogante, abbiamo provato persino a semplificare la vita ai nostri colleghi, faccio un appello, signor Presidente, tramite suo, al Governo qui presente: chiudiamo questa discussione generale e poi attendiamo da voi una controproposta che parta da un principio, il legislatore deve fare il proprio mestiere e non inseguire gli istinti animali del mercato.
Fare il proprio mestiere significa anche legiferare sulla riduzione dell'orario di lavoro. Questa è una legge che nasce dalla convergenza di PD, AVS e MoVimento 5 Stelle. Confesso che non era una convergenza scontata, sono percorsi molto diversi rispetto all'approccio e anche al merito delle proposte. Tuttavia, questa proposta - ha ragione il collega Mari - è qualcosa di più di una sintesi. È una proposta che parte da un'analisi: non c'è mai stata nessuna rivoluzione industriale nella storia dell'umanità che non sia stata accompagnata da una poderosa riduzione dell'orario di lavoro. E lo mettiamo nella relazione, lo citiamo, e lo dico, senza polemica, al collega Malagola, quando dice che il lavoro non è conflitto.
Noi celebriamo ogni anno il 1° maggio e da qualche anno lo celebra persino la nostra Presidente del Consiglio, tant'è che lo scorso anno ha deciso di tirare fuori un discutibile decreto 1° maggio, che ha un obiettivo preciso: precarizzare ulteriormente il mercato del lavoro. Ma la signora Meloni, probabilmente, non sa, e sicuramente non lo sa il collega Malagola, che, se noi celebriamo il 1° maggio, è perché a Chicago, il 1° maggio 1886, i lavoratori sfilavano e protestavano - furono ammazzati due lavoratori e ci furono tanti feriti - per ridurre l'orario di lavoro e per portare la giornata di lavoro a 8 ore.
La storia si è sempre mossa così, a meno che non si pensi che la storia debba tornare indietro, e purtroppo stiamo tornando indietro. Signor Sottosegretario, stiamo tornando indietro ed è chiaro che non è una responsabilità che può essere attribuita a questo Governo, né può essere attribuita soltanto a chi si è alternato, né può essere letta solo in chiave nazionale. È un lungo percorso di svalorizzazione del lavoro, di riduzione del potere contrattuale del lavoro e di spostamento dai salari ai profitti e alle rendite di interi punti di prodotto interno lordo. In 30 anni 200 miliardi si sono spostati dai salari alle rendite e ai profitti.
Non dico che bisogna restituire tutto, si può fare anche in comode rate, signor Sottosegretario, ma forse un'iniziativa per redistribuire salario e orario di lavoro oggi è più urgente che mai.
Lo vediamo rispetto ai dati, che ci parlano di una crescita occupazionale, ma, allo stesso tempo, di una scarsa qualità del lavoro e di bassi salari, ma ce lo dice anche il rischio che vediamo arrivare, per esempio, dalla Germania: oggi la Volkswagen annuncia che chiuderanno tre fabbriche. Siamo dentro la grande gelata dell'automotive all'interno del nostro continente, che riguarda Stellantis, ma, come sappiamo, non riguarda solo Stellantis. Siamo dentro un declino della manifattura europea e, se noi vogliamo salvaguardare anche i posti di lavoro, bisogna mettere la testa sulla redistribuzione dell'orario di lavoro, e bisogna farlo anche per altre urgenze.
C'è un libro, che ha avuto un successo discreto in Giappone, in Italia vedremo, in Europa sta cominciando a entrare anche nelle classifiche, che si chiama Il capitale nell'Antropocene. È scritto da un autore giapponese che ci spiega che ormai l'Antropocene, ossia l'epoca, l'era nella quale siamo entrati, vede tutto il mondo ormai pervaso integralmente dalle attività economiche degli esseri umani. Noi abbiamo preso il pianeta Terra e lo abbiamo occupato integralmente, ne abbiamo risucchiato quasi tutte le risorse e abbiamo condannato, probabilmente, le prossime generazioni ad avere una difficoltà nella vita su questo pianeta. È un tema.
Mi verrà detto: che c'entra con l'orario di lavoro? C'entra, perché, come diceva prima il collega Aiello, ad esempio, un'iniziativa sulla settimana corta significa anche una diversa idea della mobilità e una diversa idea del rapporto tra l'uomo e l'ambiente, tra l'uomo e la conciliazione dei propri tempi di vita e di lavoro. Nel post-pandemia, veniva detto dal collega Fossi, questa domanda è cresciuta, e non per un capriccio di qualcuno, ma perché abbiamo scoperto una relazione diversa con la nostra professione, abbiamo visto crescere in maniera molto forte casi e fenomeni di burnout
E qui lo voglio dire, forse occorrerebbe anche aprire un capitolo sul diritto alla disconnessione. Ma, allo stesso tempo, ci troviamo di fronte alla crescita di grandi dimissioni all'interno di interi comparti da parte di milioni di donne e di uomini che non soltanto non reggono più i ritmi di lavoro, ma non accettano più di rinunciare a spazi di libertà e al diritto soggettivo alla formazione.
Per questo noi proviamo a parlare di questi temi, proviamo a metterli sul futuro, non facciamo un'operazione approssimativa. Ma, scusate, io leggo ora che i colleghi della destra e la Ministra Calderone, che ogni tanto vorremmo vedere anche da queste parti - signor Sottosegretario, glielo dica, le scriva un WhatsApp, le mandi una lettera, faccia qualcosa - che dice: di orario di lavoro, di diritto alla disconnessione, non se ne deve occupare la politica; noi siamo per la contrattazione.
Ora, intanto - lo hanno detto i colleghi che mi hanno proceduto -, c'è una legge, da sempre: l'orario di lavoro si norma per legge. Ma non c'è solo questo, c'è il tema della contrattazione. Se siete così attenti alla contrattazione, ma per quale motivo non avete trovato neanche un quarto d'ora per convocare i sindacati e discutere della manovra di bilancio, che tra qualche settimana approderà in Parlamento? Se proprio siete a favore della contrattazione e per misurare la rappresentanza sindacale, allora fate una legge sulla rappresentanza, che è - come dire - il completamento naturale di un'iniziativa sul salario minimo legale che voi avete deciso di negare e che noi continueremo a portare avanti con forza nelle piazze e lo riporteremo qui quando avremo depositato la nostra legge di iniziativa popolare.
La nostra proposta è una proposta graduale, veniva detta. Intanto individua un vettore, il Fondo nuove competenze. Quello è il vettore giusto perché, come sa, si occupa di formazione; come sa, è lo strumento su cui si può intervenire per agevolare la contrattazione tra le organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative e - come hanno detto tutti nelle audizioni, dai sindacati a Confindustria e persino quelle grandi aziende che già stanno sperimentando la riduzione dell'orario di lavoro (da Lamborghini a Luxottica a Intesa Sanpaolo e tante altre) - occorre una normativa a supporto e occorre anche dare una mano, incentivare la contrattazione.
Io non sono bravo nei calcoli come l'onorevole Malagola, ma so benissimo che occorrerà incentivare questo strumento e incentivarlo anche differenziandolo, perché noi abbiamo un tessuto di imprese, piccole e medie, che vanno sostenute sulla strada dell'innovazione e abbiamo condizioni usaranti e gravose di tanti lavoratori, che dovrebbero andare in pensione e che invece questo Governo continua a trattenere lì. Abbiamo letto le dichiarazioni della Lega e, soprattutto, del Sottosegretario Durigon, quando dice: sulle pensioni, questa non è la nostra manovra. Siamo disponibili a discutere, ci saranno gli emendamenti del Partito Democratico e delle opposizioni, siamo convinti che insieme riusciremo a mettere in campo una convergenza per agevolare una maggiore flessibilità in uscita di tante lavoratrici e di tanti lavoratori.
Infine, viene detto: poi, dopo 3 anni, comunque c'è la diminuzione dell'orario di lavoro per legge. Noi abbiamo individuato lo strumento del DPCM e lo caliamo settore per settore. Quella riduzione del 10 per cento avviene settore per settore, a seconda del livello di sperimentazione. Lo facciamo in maniera graduale perché vogliamo aiutare e sostenere il sistema produttivo in questa sfida, che è una sfida decisiva. Chiudo su questa riflessione. Signora Presidente, ma noi che Italia immaginiamo? Signori del Governo, che Italia immaginiamo? Che modello produttivo immaginiamo? Un modello produttivo che sceglie di competere sulla linea bassa della scala del valore globale, dunque con salari bassi e nessuna innovazione tecnologica? Guardate che la trappola della produttività sta qui: in Italia non crescono i salari e non cresce la produttività, perché non si innova. Oppure pensiamo di competere sulla qualità? Ecco, ragioniamo su un patto comune sulla qualità dell'occupazione.