Presidente, onorevoli colleghi, ci avviciniamo al 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, e anche quest'anno, nonostante gli sforzi, non ci presentiamo con una mozione che vede la politica unita, in uno sforzo comune, per accorciare le distanze su un tema come il contrasto alla violenza di genere. Manca la capacità e, soprattutto, la volontà di essere corali su questi temi. Siamo ad un anno dalla scomparsa di Giulia Cecchettin, che ha fatto rumore attraverso le manifestazioni nelle piazze e che ha scosso i cuori e le menti. Tuttavia, gli impegni che ci eravamo assunti, soprattutto sulla prevenzione, sono stati disattesi, perché le distanze faticano a colmarsi. Con questa mozione abbiamo voluto fare un excursus legislativo, che ci ha portato alla Commissione bicamerale d'inchiesta nel febbraio del 2023, con le relative modifiche al codice rosso, come il rafforzamento dell'utilizzo del braccialetto elettronico, per rendere dinamica la vicinanza delle donne vittime di violenza, ma vediamo nei dati e nelle cronache come questa misura non basti.
Abbiamo chiesto che venisse rafforzato il reddito di libertà, per dare alle donne quell'indipendenza economica molto spesso determinante per uscire dalla casa dove, di frequente, convivono con il loro aguzzino, ma anche su questo non riusciamo a mettere a disposizione celermente le risorse e, soprattutto, a distribuirle in tempi certi a chi ne fa richiesta. Con il bilancio del 2023 le opposizioni hanno messo a disposizione il budget loro assegnato di 40 milioni di euro, dei quali ancora oggi non abbiamo contezza di come siano stati ripartiti sui diversi obiettivi che ci eravamo dati e se siano arrivati alle regioni. Insomma, buoni i propositi, ma il risultato finale tarda a concretizzarsi e, soprattutto, il numero delle vittime di femminicidio non accenna ad arrestarsi: una ogni tre giorni, più di 90 ad oggi.
Chi ha ruoli di responsabilità politica, come il nostro, deve agire concretamente per arrivare all'effettiva applicazione della Convenzione di Istanbul. Abbiamo l'obbligo di intervenire sulla prevenzione e sulla protezione con strumenti e politiche che funzionino davvero. Serve un cambio di cultura, di linguaggio; per questo vanno assunte iniziative per introdurre, nell'ambito delle istituzioni scolastiche, percorsi e progetti mirati a garantire l'educazione delle nuove generazioni alla parità tra uomo e donna, all'affettività, all'indipendenza economica, e vanno definite le linee guida che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici i temi del contrasto alla violenza sulle donne.
Ci sono già depositate proposte di legge sull'educazione all'affettività e alla parità: bene, portiamole in Aula, ma facciamolo subito. Nei giorni scorsi c'è stata la sollecitazione, anzi, meglio, la dichiarazione del Ministro Valditara per l'inserimento di un'ora di educazione all'affettività nei programmi scolastici. Bene, non abbiamo bisogno dell'ennesimo annuncio e del coinvolgimento di professionisti a loro insaputa. Diamo alle scuole questa possibilità senza timori o condizionamenti ideologici, anche perché molte scuole illuminate, nella loro autonomia, già lo fanno, ma è ancora poca cosa rispetto al numero crescente di vittime di violenza.
Per la stessa ragione, vanno approvati con urgenza i decreti attuativi della legge sui numeri e le statistiche della violenza; in questo modo eviteremmo brutte figure al Ministro Valditara, che, alla presentazione di ieri della Fondazione Giulia Cecchettin, ha evocato l'immigrazione illegale come una delle cause legate all'incremento dei fenomeni di violenza sessuale. La violenza contro le donne - è noto a chiunque se ne occupi veramente- è esercitata da uomini prevalentemente italiani, ma non solo, di ogni origine geografica, posizione sociale, livello di studio e avviene, in particolare, all'interno delle mura domestiche, non per strada ad opera di sconosciuti, e si chiama violenza domestica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
È immorale che un Ministro che ha la responsabilità dell'educazione dei giovani e delle giovani italiane, anziché impegnarsi per contrastare le basi culturali che legittimano i pregiudizi e le discriminazioni di cui si nutre la violenza contro le donne, cerchi responsabilità altre, additando, ancora una volta, lo straniero come causa di una piaga che è invece sociale e affonda profondamente nella cultura italiana. Giulia è stata uccisa da un ragazzo italiano, bianco e considerato perbene, come ha scritto la sorella di Giulia.
Nella scuola si formano le coscienze e si tratta di una funzione fondamentale per la qualità della convivenza civile, che va espletata in maniera laica, scientifica e inclusiva, e non alla stregua di uno strumento di propaganda a cui il Ministro Valditara, dopo le disarmanti dichiarazioni che abbiamo ascoltato ieri, sembra volerla piegare.
Anche il tema della formazione del personale non vede, ad oggi, l'assunzione di iniziative per stanziare e investire adeguate risorse finanziarie e organizzative finalizzate ad assicurare un programma di formazione, di aggiornamento e di riqualificazione a carattere obbligatorio, continuo e permanente destinato agli operatori delle Forze di Polizia e della Polizia municipale, ai magistrati e al personale del settore giudiziario, al personale sanitario e sociosanitario, al personale della scuola di ogni ordine e grado e al personale della pubblica amministrazione, che può entrare in contatto con la vittima per una corretta valutazione e gestione del fenomeno e per un'efficace e tempestiva azione di contrasto della violenza di genere e domestica, perché è importante porre le domande giuste.
La vittimizzazione secondaria non è più tollerabile, basta con domande che non colgono il punto. La responsabilità è in capo a chi compie la violenza, ma accade che questo status non venga riconosciuto proprio nelle aule di tribunale, e porto l'esempio di un recentissimo caso accaduto in provincia di Mantova, relativo a uno stalker che è stato assolto dall'accusa di essersi avvicinato troppo alla casa dell'ex compagna perché il suo braccialetto elettronico non aveva funzionato adeguatamente. Il suo dispositivo non aveva suonato, mentre quello dei Carabinieri sì.
Quando i Carabinieri sono intervenuti, l'uomo si trovava a meno di 500 metri dalla casa dell'ex compagna, nel cuore della notte, e si è giustificato affermando, tra le altre cose, che era uscito per fare il bancomat, ed è stato assolto. Continuo con gli esempi della mia provincia, a dimostrazione di quanto il fenomeno si sia incistato e faccia leva su dinamiche diffuse. Sulla necessità di rafforzare il reddito di libertà porto i dati dell'ospedale di Castiglione delle Stiviere - città dove a gennaio 2023 la giovane Yana Malayko, di 23 anni, è stata brutalmente assassinata dall'ex fidanzato - che evidenziano come il 90 per cento delle donne arrivate al pronto soccorso nel corso di quest'anno per avere subito violenze tra le mura domestiche siano tornate a casa subito dopo avere ricevuto le medicazioni.
Ci richiama all'obbligo di non perdere altro tempo anche la giovane Chiara Balestrieri, che in questi giorni, alla notizia dell'evasione dagli arresti domiciliari dell'ex fidanzato che 2 anni fa l'aveva massacrata di botte, ha pubblicato un appello sui social con le parole: “registro questo video da viva, prima di diventare l'ennesima vittima di femminicidio”. Un messaggio disperato, senza speranza, che rappresenta un atto di accusa impietoso nei confronti del sistema e che noi non possiamo permettere.
La mozione vuole essere uno strumento utile di lavoro che impegnerà la Commissione d'inchiesta sul femminicidio e a cascata il Governo a dar seguito a questi impegni, investendo, però, risorse adeguate per fermare la violenza contro le donne. È una responsabilità che tutti noi dobbiamo assumerci.