Discussione sulle linee generali
Data: 
Mercoledì, 17 Dicembre, 2014
Nome: 
Gennaro Migliore

A.C. 2613-A

 

Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor sottosegretario, innanzitutto vorrei partire da un sentito ringraziamento nei confronti di chi ha contribuito concretamente all'evoluzione di questa discussione, al presidente Sisto, al relatore Fiano, alle colleghe e ai colleghi con i quali ho condiviso, almeno fino a qualche tempo fa, la presenza nella Commissione affari costituzionali. 
Vorrei dire grazie per il modo attraverso il quale la crescita dell'opinione libera di ciascuno di noi si è conformata poi ad un mandato al relatore, che ha portato in quest'Aula un'impegnativa riforma, della quale abbiamo discusso non solamente nel corso delle lunghe ore in Commissione, ma anche fin dalla discussione pubblica che si è animata dopo la presentazione al Senato. 
Voglio dirlo senza nessuna iattanza. Credo che il maggiore rispetto nei confronti dei padri costituenti non sia la contemplazione inerme di un monumento, magari snocciolando delle citazioni che, per quando mi riguarda, sono parte integrante della mia cultura democratica e anche del mio bagaglio politico.
Il rispetto politico, il rispetto dovuto a questa gigantesca opera di legislatori, qual è stata quella dei costituenti, è quello proprio di attendere ad un compito difficile, ma impegnativo e necessario come quello della riforma della Carta costituzionale, con l'umiltà di chi sa perfettamente di porsi di fronte ad un testo così impegnativo, ma, nello stesso tempo, di avere la possibilità di mettere in pratica quegli insegnamenti che sono già contenuti all'interno della Carta costituzionale, che prevede, ovviamente nei metodi che sono segnalati dall'articolo 138, essa stessa le sue modalità di revisione. 
Una Costituzione che, per quanto ci riguarda, ci guida nei suoi principi fondamentali, negli articoli che descrivono i rapporti sociali e che largamente è ancora inattuata, tant’è che si è parlato per lungo tempo – ed oggi bisognerebbe riprendere questo tema – di una Costituzione formale e di una Costituzione sostanziale nel nostro Paese. 
Io però vorrei innanzitutto partire da un dato, che per quanto mi riguarda è fondamentale, e cioè dal procedimento che è stato scelto per la revisione costituzionale. 
L'ho sentito citare solo en passant, ma per me, che sono stato tra quelli che il 2 giugno del 2013 manifestava contro l'idea che si potesse derogare all'articolo 138, il ripristino della corretta procedura costituzionale è stato un passo fondamentale nel riprendere quella strada che attribuisce la sovranità al Parlamento e nonostante vi siano state – come è comprensibile – anche delle discussioni sul fatto che la presentazione sia avvenuta per iniziativa e da parte del Governo, penso che questo rispetto sacrosanto dell'articolo 138 ci abbia messo al riparo da tentativi che potevano essere più ampi di revisione e più discrezionali, oserei dire fino ad essere arbitrari. 
Noi oggi dobbiamo valutare il punto politico ed anche istituzionale, oserei dire il quantum di innovazione che mette in contrapposizione ed in relazione quello che è richiesto innovare e quanto è sopportabile dalla Costituzione, in termini di innovazione, affinché essa non sia stravolta. 
Il punto che abbiamo raggiunto, a mio giudizio, è un punto di equilibrio felice, sebbene ancora migliorabile e sebbene non sia ovviamente quello più perfetto.
Vorrei dirlo con grande chiarezza: questa riforma non è un antipasto, non è una riduzione del danno e non è uno sfregio alla Costituzione. 
Non è un antipasto per coloro i quali si aspettano che vi sia un secondo tempo, quello che magari adegui la forma di Governo ad un carattere presidenziale, perché questa riforma deve essere pensata ed è pensata, sicuramente da chi vi sta parlando, come un'affermazione del primato e dell'essenzialità di Repubblica parlamentare che è iscritta nella nostra Costituzione. 
Non è una riduzione del danno perché bisogna fare presto e quindi accettiamo un testo così come viene, perché, nello stesso tempo in cui abbiamo ragionato della possibilità di cambiare la Costituzione, ci siamo anche posti responsabilmente il problema di come essa fosse possibile, come strumento per migliorare l'efficacia e l'efficienza democratica del nostro Paese. 
E non è uno sbrego della Costituzione, non è una violazione dei principi fondamentali: lo dico a chi l'ha invocato, dentro quest'aula ed anche fuori dall'aula, perché l'idea che vi possa essere un'enfasi rispetto alla delegittimazione del processo di revisione costituzionale mette in difficoltà la stessa comprensione di larga parte della cittadinanza. 
Sono da molti anni i progetti che si susseguono alla ricerca di un punto di equilibrio rispetto al superamento del bicameralismo perfetto e sicuramente per una revisione critica di quella riforma del titolo V che non ha dato, come ha detto giustamente il collega Cuperlo, buona prova di sé nel corso di questi anni. 
Ma noi abbiamo tutta l'intenzione che la possibilità del mutamento costituzionale dovrà essere davvero misurata rispetto alla possibilità del rafforzamento della democrazia. 
Ma cos’è, almeno per me, che modestamente cerco di misurarmi con questo grande tema, la democrazia, se non un combinato tra equilibrio di poteri, rappresentanza e capacità di decidere ? 
Se noi non mettiamo insieme questi argomenti e non li mettiamo in relazione tra loro, la natura stessa del sistema bicamerale sarebbe male interpretata, soprattutto alla luce di quanto è stato novellato nel corso di questi anni. In effetti, il sistema bicamerale si è trasformato da equilibrio di poteri in un sistema effettivamente inefficiente. E non dico tanto per i tempi, quanto per quelle leggi per esempio che, nella navetta tra Camera e Senato, si sono arenate per la difficoltà di rappresentare una volontà generale del popolo. Quello che noi dobbiamo rappresentare, la nazione, in una forma così disarticolata, come è stato dimostrato anche nel corso di questi anni – si pensi alla legge sull'omofobia, solo per fare l'ultimo e più recente esempio di ciò –, porta ad avere un'incongruenza anche di che cosa voglia dire la volontà della nazione e la volontà popolare. Quindi, la mia riflessione, che a qualcuno potrà apparire eccentrica, la voglio rivendicare proprio sul punto che il superamento del bicameralismo paritario rafforza la democrazia parlamentare perché la rende più equilibrata rispetto all'assunzione delle responsabilità che ciascun ramo del Parlamento si assume. 
Allora, io credo che, in questo rafforzamento, non ci sia da guardare solo dal lato, che effettivamente può apparire come quello più sconcertante o comunque preoccupante, di una previsione di un maggiore potere del Governo. In questo c’è stata una discussione molto articolata, che è andata sotto il nome un po’ da leguleio di combinato disposto, ossia quello determinato dalla riforma del bicameralismo e dall'introduzione della nuova legge elettorale. Vorrei solo ricordare a me stesso che la legge elettorale maggioritaria è stata una scelta compiuta oltre vent'anni fa e questa è una scelta che in questa fase storica non è più reversibile, almeno, come ripeto, in questa fase storica. Ed è stata accettata da tutti i partiti che sono presenti in questo Parlamento, persino con delle promozioni di referendum che andavano nella direzione della reintroduzione di uno dei sistemi maggioritari, quello del cosiddetto Mattarellum, del quale io stesso fui promotore, tra gli altri, nel 2011. Penso che, da questo punto di vista, le garanzie, che sono state introdotte per esempio per l'elezione delle figure di garanzia, a partire dal Presidente della Repubblica, tengano conto di questa previsione maggioritaria, molto di più di quanto sia avvenuto materialmente nel corso di questi anni. E da questo punto di vista anche l'idea di introdurre uno Statuto delle opposizioni rappresenta un elemento che contribuisce alla chiarezza e alla crescita anche dei rapporti parlamentari. 
Però, mi si faccia fare una riflessione più generale. Si dice che bisogna garantire i contrappesi. So che questo è un tema, e sono sicuro che sia così, di carattere sicuramente formale.
Ma vorrei anche aggiungere che è un tema eminentemente di carattere politico nel rapporto e nella forza che i partiti politici possono rappresentare come rappresentanti effettivi della volontà popolare. Una legge sui partiti politici sarà sempre più necessaria di qui in avanti, per garantire che essi siano delle strutture democratiche pronte a raccogliere le esigenze di partecipazione che ci sono nel nostro Paese. E quando mi si dice: vedete quello che succede nel Congresso degli Stati Uniti con il forte potere di bilanciamento persino in un sistema presidenziale, vorrei, allo stesso modo e sommessamente, ricordare che ci sono altri sistemi dove il Parlamento non ha lo stesso potere, proprio per la natura intrinseca dell'asimmetria di poteri dei partiti politici. Penso a quello francese. Invece, con questa nuova riorganizzazione dei poteri, il Senato effettivamente, come ha ricordato qui, seppure su un versante critico, la collega Dorina Bianchi, ha un forte potere di intervento che non è semplicemente un potere di veto, ma è un potere di riconsiderazione sulla base della natura territoriale e di rappresentanza, sebbene politica e non dei governi delle regioni, che può andare nella direzione di rafforzare il sistema parlamentare in quanto tale.
E allora, in questo caso, è giusto e non è semplicemente un espediente quello che ci sia un'elezione di secondo grado perché la rappresentanza va di pari passo con chi la emana e, quindi, se qualcuno è espressione del suffragio universale, deve rappresentare la nazione; mentre, invece, se è il rappresentante di un organismo di secondo livello può rappresentare quella istituzione ed è questa la ratio che presiede anche alle elezioni di questa natura, alle elezioni di secondo grado. Per questo motivo penso che ci siano dei passi in avanti importanti anche nel procedimento legislativo anche se mi aspetto che su questo si faccia qualche passo in più. Penso, ad esempio, al voto cosiddetto a data fissa, che io preferisco chiamare di pronuncia in via definitiva, perché rappresenta meglio il processo legislativo che sottende alla scelta di mettere una data finale al voto ma che consente al Parlamento di esprimersi compiutamente sul progetto di legge. Io penso che, da questo punto di vista, avendo superato anche il testo del Senato che parlava di un voto bloccato, noi dovremmo introdurre dei limiti quantitativi perché, se da un lato è assai positivo il fatto che si possa superare quella negoziazione opaca che spesso è stata alla base anche di quella cosiddetta degenerazione del processo legislativo che è stata segnalata anche in tante sentenze della Corte costituzionale e da tanti richiami del Presidente della Repubblica, dall'altra noi dobbiamo intervenire perché vi sia sempre di più – e questo avverrà anche nell'intreccio con i Regolamenti parlamentari – un abbandono del ricorso della cosiddetta fiducia tecnica, che ha portato a distorsioni che politicamente sono inaccettabili come il fatto di poter votare per la fiducia e contro il provvedimento o viceversa. Infatti questo non è comprensibile all'esterno. Allo stesso modo sul referendum forse qualche sforzo in più si può fare, anche sulle firme. Tuttavia lasciatemi dire una cosa, per me che di campagne referendarie ne ho fatte in questi anni a decine, il fatto che si possa immaginare che si consegue un quorum per la metà degli effettivi partecipanti alla precedente elezione politica è un risultato straordinario che consentirà davvero l'esercizio democratico e, se devo dare un'indicazione o un suggerimento, si faccia una legge attuativa del referendum che estenda – mi avvio alla conclusione – il tempo nel quale si possano raggiungere queste cifre di firme. Infatti sia su questa che sulla legge di iniziativa popolare, il tema è stato l'inefficacia dell'iniziativa cosiddetta secondaria o comunque indiretta, non quello del mancato raggiungimento dei requisiti e dei compiti. 
Vedete per me è fondamentale che questa nostra discussione esca all'esterno. Lo è stata in una breve stagione, poi è diventata materia soprattutto per addetti ai lavori. Mi piacerebbe una discussione, come si dice, for dummies, per persone magari che non se ne intendono, per giungere all'approvazione della riforma qualora, come è molto probabile, si ricorra al referendum confermativo costituzionale dopo un approfondito ed efficace dibattito nella società italiana. Già nel 2006 – io fui tra quelli che lo bocciarono – ci fu un referendum che bocciò una riforma costituzionale. Noi oggi abbiamo la sfida in definitiva di stare dentro questa discussione sia dentro il testo, direi con linguaggio antico, «in sé», sia fuori dal testo cioè «per sé». «In sé» per la qualità della riforma, per come la portiamo avanti e «in sé e per sé» per la capacità di questa classe dirigente di riconquistare il legame di fiducia che anche qui è stato ricordato come essenziale per ricostituire un rapporto – ho concluso davvero – nelle certezze che devono animare la qualità dell'iniziativa e della rappresentanza politica. Noi, componenti pro tempore di questo ufficio così importante che è quello della rappresentanza parlamentare, a questa sfida ci dobbiamo predisporre: a quella non solamente di ottenere i numeri qui dentro ma di raccontare che questa riforma serve a migliorare la qualità della democrazia dei nostri cittadini.