Onorevoli colleghi e colleghe, siamo nuovamente in quest'Aula ad affrontare una questione strutturale nel nostro Paese, quella della violenza maschile contro le donne, che, nonostante i progressi della nostra giurisprudenza negli ultimi 20 anni, continua a non arretrare, dato che, da gennaio ad oggi, sono 99 le donne uccise, anche giovanissime, come Aurora Tili, di 13 anni. È passato un anno dall'uccisione di Giulia Cecchettin, che ha scosso fortemente le coscienze, determinando un prima e un dopo nella percezione collettiva del fenomeno, ma a questa cesura percettiva, creata anche dalla forza morale, dalla nettezza delle parole di Elena e Gino Cecchettin, oltre che da quell'onda di ragazze e di ragazzi che sono scesi in piazza e hanno fatto rumore, a quest'onda non si è affiancato un cambiamento sostanziale per tutte quelle donne, che inesorabilmente continuano a essere discriminate, molestate, stuprate e uccise. Avremmo voluto fare un passo avanti, lo avremmo voluto fare anche noi in modo condiviso, nonostante i temi, i tanti temi che avete lasciato indietro in questi due anni - penso ai temi come l'educazione e la formazione - su cui non avete fatto mezzo passo avanti.
Abbiamo tentato di farlo con determinazione in questi giorni, ma, nella vostra narrazione all'unità, in quello che abbiamo sentito finora, Ministra Roccella e anche onorevole Semenzato, avete omesso un particolare.
Avete omesso un elemento fondante che ha cambiato le carte: il Governo è entrato a piedi uniti in questo percorso, delegittimando le basi su cui si fondano le azioni di contrasto alla violenza di genere, delegittimando il lavoro parlamentare che stavamo facendo e delegittimando la stessa Commissione femminicidio.
Se c'era questa aspirazione all'unità, che avete tirato fuori oggi e che condividiamo, dovete spiegare all'Aula perché non avete accettato una frase come questa: “Azioni per contrastare la formazione di stereotipi radicati nella cultura patriarcale della società”. Perché? Credete che questi stereotipi non esistano? Guardate, circa quello che è accaduto in questi giorni con le parole del Ministro Valditara: non è stato un saluto istituzionale quello che ha rivolto alla Camera; sono state parole paradossali e fuori misura; parole indegne, soprattutto se pronunciate da chi ha la responsabilità delle politiche educative di questo Paese. In un solo discorso ha espresso due concetti che non trovano fondamento nella realtà, legando la violenza all'immigrazione e sancendo la conclusione del patriarcato nel 1975.
Queste pesanti distorsioni della realtà le ha pronunciate davanti a un padre come Gino Cecchettin, la cui figlia è stata uccisa un anno fa da un fidanzato bianco, italiano, universitario, e che sta facendo un lavoro enorme e doloroso per sostenere proprio quel cambio culturale della società: proprio quello che il Ministro ha sconfessato di fronte a lui. Il Ministro Valditara dovrebbe sapere che la violenza contro le donne è causata da uomini in prevalenza italiani e in prevalenza fra le mura domestiche. Se non ci si accorda su questi punti fondamentali è difficile dare credibilità al resto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). E lo dicono i dati di cui disponiamo oggi. Dico “di cui disponiamo” perché, purtroppo, siamo ancora in assenza delle statistiche sulla violenza di genere, volute con una nostra legge nella precedente legislatura.
Per applicarla occorrono ancora i regolamenti attuativi, che vi stiamo continuando a chiedere da due anni, ma che non avete emanato. E la Premier Meloni, invece di sconfessare quelle parole, riducendole e rimettendole in un contesto accettabile, ha rincarato la dose, tirando in ballo, ancora in questi giorni, l'immigrazione come causa del fenomeno e cancellandone il carattere strutturale. Ed è molto grave, colleghi e colleghe, usare il tema della violenza contro le donne come esercizio di propaganda politica, tirando in ballo identitari specchietti per le allodole e negando in un colpo solo la natura sistemica del fenomeno, profondamente intriso nella cultura, sì, anche del nostro Paese. Questa non è la via per cercare percorsi unitari di cui, invece, abbiamo bisogno.
La Ministra Roccella, da una parte, cita spesso giustamente la Convenzione di Istanbul (peraltro, quella stessa convenzione che le istituzioni internazionali ci imputano di non applicare pienamente). Ma è evidente che in questi due anni non ha ancora messo in campo politiche pubbliche stabili e, soprattutto, omogenee su tutto il territorio nazionale per rispettarne tutti e quattro i pilastri. Mi riferisco soprattutto alla prevenzione e alle politiche integrate. Oggi avete parlato tanto di “unità”: ma, davvero, di che “unità” parliamo, quando il Governo mina l'unità negando le basi condivise?
Oggi non ci sono più scuse, davvero, per questo atteggiamento negazionista dal punto di vista culturale, perché è patrimonio condiviso in tutte le istituzioni internazionali da tempo: la violenza maschile contro le donne non è un fatto episodico, non è un fatto emergenziale e non è un fatto legato a cause singole, è una questione strutturale, incardinata profondamente nella cultura patriarcale della nostra società. Quindi, in modo strutturale va affrontata, agendo non soltanto sul fronte normativo, ma anche su quello educativo, formativo, economico e sociale. Su questo, peraltro, ci sono ancora carenze profonde. Faccio solo pochi esempi: siamo in un Paese che discrimina le donne non riconoscendo il loro ruolo nell'economia della società; dove una donna su cinque si dimette dal lavoro dopo la nascita di un figlio. Questo è un Paese dove la libertà economica della donna non è tutelata. Quando parliamo di “violenza economica”, anche di questo parliamo. Quindi, devono essere modificate in modo netto le politiche economiche: non può bastare il vostro bonus nascita per consentire alle donne di rimanere nel mondo del lavoro, perché gli asili nido costano di più e perché in molte regioni non ce ne sono abbastanza. Li avete anche tagliati con il PNRR.
Le donne hanno bisogno di più servizi e di congedi paritari. Hanno bisogno che arrivi il reddito di libertà e se non arrivano quei soldi alle donne, la violenza economica privata, la violenza economica familiare, si amplifica e diventa violenza economica di Stato. Cosa parliamo di unità quando, Ministro Roccella, non c'è ancora il decreto per il riparto del reddito di libertà? Questo è un Paese dove le donne non denunciano soprattutto per paura di non essere credute o perché viene misurata la loro credibilità sulla base del tempo che hanno impiegato per decidere di denunciare. Questo significa che avete perso due anni: avete perso due anni di tempo per investire in percorsi di formazione specifica della magistratura e di tutto il personale pubblico in modo sistemico. Abbiamo chiesto che questo punto fosse inserito nella legge n. 168, ma non ci sono risorse ancora oggi: quindi, di cosa parliamo? Anche questa è una questione di credibilità, perché questa vostra mancanza di concretezza può fare la differenza ancora una volta fra la vita e la morte delle donne maltrattate.
Parliamo di un Paese dove - come è accaduto la scorsa settimana a Genova - le studentesse sono ancora costrette a incatenarsi ai cancelli della loro università per avere uno sportello antiviolenza coordinato con i centri del territorio. Quella stessa università dove un professore ha modificato le immagini delle studentesse con l'intelligenza artificiale e ne ha fatto un utilizzo pornografico. In un Paese dove c'è ancora bisogno che le ragazze si incatenino per avere il diritto di studiare in sicurezza senza subire prevaricazioni, significa che non sono stati ancora messi in campo anticorpi adeguati, come percorsi di educazione affettiva, sessuale ed alla parità nelle università, nelle scuole e in tutta la comunità educante.
Questo è un punto centrale della nostra mozione: la richiesta dell'educazione affettiva, che include appunto l'educazione sessuale, l'educazione alle relazioni e l'educazione al rispetto. Ma, signora Ministra, devo ancora una volta ricordarle una cosa: nella legge n. 168 lei ha eliminato il punto dell'educazione e della prevenzione primaria che noi avevamo chiesto, demandando il lavoro al Ministro Valditara: lo stesso che, con atteggiamento negazionista, ha detto che la violenza non ha radici culturali. E come potremo fidarci con queste premesse? Quindi, chiediamo alla Ministra e al Governo, se vogliono unità - giusta e auspicata anche da noi - di uscire dal recinto ideologico che ha impedito fino ad oggi a questo Governo di affrontare adeguatamente il tema, generando nocivi compromessi al ribasso.
Quindi, andando a concludere, è doveroso lavorare insieme su questo tema, ma lo possiamo fare davvero solo se metterete in campo i provvedimenti necessari per la prevenzione e per il cambiamento culturale della società, oltre che per la punizione. Ci sono dei percorsi parlamentari in atto: dimostratelo. Parlo della legge sulle molestie sui luoghi di lavoro e della necessità di avere i decreti attuativi sulle statistiche. Parlo delle PDL sull'educazione affettiva nelle scuole e dei finanziamenti strutturali per la formazione degli operatori. Allo stesso modo, è urgente approvare una legge che introduca il principio del consenso nei reati di stupro. Parlo degli emendamenti presentati alla legge di bilancio.
Fino a quando avremo un Premier e una Ministra che fanno della propaganda politica negando le ragioni della violenza come parte integrante della nostra società, le donne continueranno a essere lasciate sole. Se un concetto cardine come il contrasto alla formazione degli stereotipi patriarcali non viene accettato, i percorsi unitari saranno delegittimati. Quindi, praticate “unità”: fatelo davvero, finalmente, su educazione affettiva, formazione e tutto il resto. Fatelo e facciamolo insieme. In quelle condizioni noi ci saremo.