Discussione generale
Data: 
Lunedì, 9 Dicembre, 2024
Nome: 
Christian Diego Di Sanzo

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Grazie, Presidente. Come Partito Democratico, abbiamo deciso di portare questa mozione in discussione oggi, perché nel contesto geopolitico globale è necessario dotare questo Paese di una linea chiara sulle politiche industriali, di una visione di sviluppo per la crescita e l'industria, per creare e proteggere il lavoro. Oggi, purtroppo, osserviamo un'azione di Governo che manca di una vera visione, manca di strategia, manca di un'idea di quello che debba essere il futuro della nostra industria. Nel frattempo, però, una vera e propria riorganizzazione dell'economia globale è in corso. Le trasformazioni in corso coinvolgono tutte le economie del pianeta, investono catene di valore, flussi di investimento, commercio internazionale, sotto la spinta del cambiamento climatico, di fattori geopolitici e degli effetti della pandemia. In questo contesto, le politiche pubbliche sono chiamate a dare una risposta adeguata, con l'obiettivo di promuovere, oltre che l'innovazione e la crescita dei sistemi economici, anche la coesione, la sostenibilità e la resistenza agli shock. La sfida consiste nel favorire la doppia transizione digitale ed ecologica, nel diversificare e proteggere le catene di fornitura, in particolare di tecnologie avanzate, cercando di preservare i benefici dell'integrazione dei mercati particolarmente rilevanti per un'economia aperta agli scambi internazionali, come quella italiana, dove l'export ha un peso significativo e importante. Le politiche industriali di cui abbiamo bisogno devono essere orientate al futuro, all'innovazione, ai settori e alle tecnologie il cui sviluppo trova troppo spesso ostacoli. Devono essere strettamente connesse alla doppia transizione e favorire la creazione di lavoro di qualità, stabile e qualificato, cercando una nuova complementarità tra intervento pubblico e iniziativa privata.

Cambiare marcia vuol dire non limitarsi a dettare regole e tempi, ma costruire una vera politica industriale comune. I tempi, infatti, ci chiedono di intervenire con urgenza: i salari sono fermi da trent'anni, la diffusione del lavoro povero e dequalificato e la stagnazione della produttività sono sintomi di un malessere profondo dell'economia italiana. Parliamo di forza lavoro e imprenditoriale sempre più anziana e poco istruita, di un mercato dei capitali asfittico, di un capitalismo familiare troppo chiuso in sé stesso. Emergono i limiti del nostro modello di capitalismo, basato su milioni di micro imprese che, in molti casi, arrancano, schiacciate dalla burocrazia e dalla difficoltà di accesso al credito.

È tempo di migliorare questo modello, di rendere il sistema più dimensionato, resiliente e sostenibile. Il riflesso delle difficoltà del sistema industriale italiano si ripercuote sul mondo del lavoro, dove sarebbero oltre 120.000 i lavoratori a rischio, 70.000 solo nell'automotive, più di 25.000 nella siderurgia e tanti in altri settori industriali importanti. Vi sono anche segnali di come l'Italia stia perdendo il treno sulle nuove evoluzioni tecnologiche. Come rilevato nell'indagine conoscitiva che abbiamo svolto nella X Commissione, nonostante le sue potenzialità, l'intelligenza artificiale rimane ancora scarsamente utilizzata dalle imprese italiane, soprattutto se poste a confronto con i Paesi del Nord Europa, del Nord America e con la Cina. Stando ai dati raccolti nel corso dell'indagine, infatti, il 61 per cento delle grandi imprese ha all'attivo almeno un livello di sperimentazione sull'intelligenza artificiale, ma il dato scende al 18 per cento tra le piccole e medie imprese. Una delle ragioni della stagnazione economica dell'Italia, infatti, è però dovuta alla scarsa crescita della produttività e colmare il ritardo e sfruttare le potenzialità dell'intelligenza artificiale sono, quindi, ritenuti una straordinaria opportunità per il nostro Paese.

Nel nostro Paese infatti, l'IA generativa potrebbe giocare un ruolo chiave, anche per mantenere alto il livello di produttività e benessere, in un contesto generale di invecchiamento della popolazione. Tuttavia, l'Italia non potrà capitalizzare le opportunità fornite dal settore dell'intelligenza artificiale senza un impegno attivo e proattivo, senza di esso rischieremmo di rimanere indietro nella gara internazionale. È difficile, infatti, immaginare che le imprese di piccole dimensioni siano in grado di rispondere alla concorrenza di multinazionali in grado di investire enormi capitali in questo ambito. La risposta a questa inedita trasformazione deve essere sistemica, con politiche industriali dirette a ridurre, in questo ambito, la concorrenza tra imprese europee, per facilitare lo sviluppo di tecnologie continentali e ridurre i costi, realizzando un riequilibrio dello sviluppo tecnologico dell'intelligenza artificiale.

L'importanza di politiche industriali, con relative risorse da investire, rappresenta un nodo cruciale, anche in relazione alle politiche introdotte recentemente negli Stati Uniti, attraverso l'Inflation Reduction Act, e dalla Cina attraverso la strategia “Made in China 2025”, ampliamente sovvenzionata con risorse statali. La risposta europea, in assenza di adeguati spazi di bilancio, è stata affidata a un rallentamento delle regole sugli aiuti di Stato, alimentando gli squilibri diversi tra i Paesi. Se si guarda agli aiuti di Stato autorizzati dalla Commissione europea, da marzo 2022 a gennaio 2023, il 53 per cento degli aiuti è stato notificato dalla Germania, il 24 per cento dalla Francia e solo il 7 per cento dall'Italia, che ha spazi fiscali limitati. Gli aiuti notificati, infatti, dalla Francia e dalla Germania sono stati rispettivamente pari a 356 miliardi e a 162 miliardi di euro. Il sostegno al sistema produttivo autorizzato per l'Italia è stato più limitato e pari a soli 51 miliardi di euro. In questo contesto, l'Italia rimane comunque la seconda potenza manifatturiera d'Europa, dopo la Germania. Nel 2023 la nostra industria manifatturiera ha generato un valore aggiunto di 328 miliardi di euro, il 17,5 per cento del totale, e ha dato lavoro a 4 milioni di persone, il 15 per cento del totale. Sono numeri ridimensionati rispetto a quelli del 2007, prima della grande crisi finanziaria, ma importanti e la vocazione manifatturiera dall'Italia è un patrimonio da difendere e sostenere, perché non ci sarà una nuova stagione di sviluppo, se l'Italia si arrenderà alla deindustrializzazione.

Negli anni Novanta abbiamo privatizzato gran parte delle aziende pubbliche e abbandonato le politiche industriali. È stato merito del centrosinistra averle riproposte prima con Industria 2015 di Bersani e poi con Industria 4.0, che ha prodotto risultati positivi nella parte relativa ai crediti d'imposta per l'acquisto di macchinari innovativi. Purtroppo, oggi la linea del Governo è carente da questo punto di vista. Le leggi di bilancio sono prive di ambizione, sono prive di una visione strategica e mancano dei veri e propri aiuti d'intervento. Avete cancellato il Fondo automotive da 4,6 miliardi nel momento più buio per l'industria automobilistica in Italia. È una scelta assurda e gravissima per l'industria e per i lavoratori del settore automotive. Si tratta di un Fondo che era stato istituito con lungimiranza dal Governo Draghi per il sostegno e la promozione della transizione verde, della ricerca e degli investimenti, a cui viene ora lasciato un finanziamento residuo complessivo di soli 1,2 miliardi per il periodo 2025-2030, praticamente un azzeramento delle possibilità di affrontare le sfide estremamente impegnative della transizione ecologica e digitale e della crescente competizione globale, che hanno, invece, bisogno di rilevanti politiche di sostegno.

Il Piano Transizione 5.0 ha poi subito rallentamenti e vincoli burocratici che ne stanno minando l'impatto e l'efficienza. È complicatissimo accedere agli incentivi dei 6,3 miliardi - ne sono stati chiesti 100 milioni - e si rischia di far perdere un'importante occasione all'industria italiana per innovarsi, rischiando che le risorse rimangano in gran parte inutilizzate. La legge sulle start-up, recentemente approvata, è ancora poco ambiziosa per quella che doveva essere la spinta necessaria che questo Paese ha bisogno. In legge di bilancio avete esteso la web tax a tutte le imprese e a prescindere dalla loro dimensione col risultato di andare a penalizzare le piccole imprese, le start-up digitali italiane. Quindi, una scelta insensata che vi stiamo chiedendo di ritirare dalla legge di bilancio. Proprio per questa mancanza di visione del Governo e per l'incapacità di offrire una politica industriale utile per il Paese presentiamo questa mozione, per proporre delle linee di intervento serie e concrete, per dare una visione al futuro industriale di questo Paese, una visione che stenta ad apparire nelle azioni di questo Governo.

Riteniamo, quindi, necessario che si intervenga principalmente su quattro versanti: in primis, quello della governance delle politiche industriali, attraverso la creazione di un Ministero per lo sviluppo sostenibile, di un forum permanente per le politiche industriali, con la trasformazione di Invitalia in un soggetto attuatore delle politiche industriali e con la creazione di un'agenzia che coordini le partecipazioni pubbliche. Si devono, in sostanza, realizzare gli strumenti per allineare la politica industriale italiana agli obiettivi europei, promuovendo una visione continentale che stimoli il rafforzamento e l'integrazione tra imprese transfrontaliere. Chiediamo, quindi, al Governo di farsi promotore, nel corso della nuova legislatura europea, di iniziative volte a mettere in campo politiche finalizzate a recuperare competitività, produttività e i livelli di reddito dell'Unione europea, per garantire il benessere dei cittadini e il mantenimento del modello sociale europeo mediante un maggior coordinamento delle politiche industriali, commerciali e fiscali e la riduzione del divario di innovazione nei settori trainanti, intervenendo sul piano finanziario per rispondere al fabbisogno di investimenti, favorendo l'emissione di strumenti di debito comune per progetti europei congiunti e proprio per questo cercare di dare un programma europeo che sia aggiornato per le competenze dei lavoratori, che perseguono, appunto, l'aggiornamento di queste competenze, e di sostegno temporaneo al reddito per i lavoratori coinvolti nelle due transizioni, ecologica e digitale.

Si deve intervenire anche sul fronte dell'economia digitale e noi proponiamo la creazione di un Ministero dell'innovazione e dello sviluppo tecnologico, con la previsione di una legge annuale per il digitale e il potenziamento e il coordinamento del network dell'innovazione. Chiediamo un impegno per favorire la digitalizzazione e l'autonomia energetica delle PMI e dare concreto sostegno al tessuto delle PMI, prevedendo agevolazioni per investimenti e intelligenza artificiale. Ciò è finalizzato alla crescita e alla maturazione di soggetti nazionali in grado di competere in un settore per definizione globalizzato, prevedendo altresì per PMI e start-up un accesso privilegiato alla futura rete delle fabbriche di intelligenza artificiale, ecosistemi costruiti intorno ai supercomputer pubblici europei, cui verranno destinati talenti e risorse tecnologiche, beneficiando di dati, algoritmi e di potenza di calcolo difficilmente reperibili altrove. Proprio per questo chiediamo la creazione di un tavolo istituzionale con il coinvolgimento delle parti sociali, per una valutazione generale sul fenomeno dell'intelligenza artificiale sul lavoro, proprio per non perdere il treno dell'intelligenza artificiale e per dare, allo stesso tempo, una valutazione seria sul suo impatto nel mondo del lavoro.

Il secondo versante riguarda, invece, gli incentivi pubblici, che vanno riorganizzati secondo criteri di selettività, condizionalità ambientali e sociali, con un orizzonte temporale almeno decennale e con grande attenzione alla riduzione dei divari territoriali, a partire da quello tra il Nord e il Sud Italia. Le misure di incentivazione fiscale, attraverso crediti d'imposta agli investimenti delle imprese, si sono rivelate efficaci per stimolare la crescita, l'ammodernamento del capitale produttivo e l'attività innovativa. Oggi la sfida è quella di riorganizzare il sistema di incentivazione pubblica per missioni in cui siano chiaramente identificate le intersezioni con gli strumenti europei di politica industriale (aiuti di Stato, IPCEI, Horizon Europe) obiettivi milestone e target da raggiungere, una politica, cioè, seria in cui siano identificati gli incentivi che aiutano determinate missioni che ci vogliamo dare come Paese.

Oltre alla selettività è importante anche inserire il requisito di condizionalità. L'erogazione di risorse pubbliche, nella forma di agevolazione fiscale o nelle forme di grant o loan, deve essere condizionata all'impegno, da parte delle imprese beneficiarie, del rispetto di condizionalità legate al rispetto dei contratti di lavoro e delle condizioni di sicurezza sul lavoro, al rispetto dei principi di parità di genere e di non discriminazione e legate al comportamento specifico che si intende sostenere come obiettivo di sistema Paese. Va introdotto altresì il sistema della sostenibilità, con l'introduzione del vincolo per le risorse pubbliche di sostenere progetti coerenti con la tassonomia europea sugli investimenti sostenibili e di valutazione della Do no significant harm.

Va sostenuta la compartecipazione dei finanziamenti pubblici alla ricerca al rischio d'impresa, promuovendo l'utilizzo di modalità di rimborso progressivo delle risorse pubbliche investite nelle forme tecniche delle royalties, del mantenimento della golden share dei diritti di proprietà industriale e dell'utilizzo di prestiti vincolanti al reddito o al contenimento dei prezzi.

Il terzo versante riguarda, invece, il ruolo dello Stato nell'economia, per affermare la necessità di una nuova complementarità tra intervento pubblico e iniziativa privata. Nel contesto economico internazionale non sembra, infatti, sufficiente un aggiustamento spontaneo guidato dalle sole forze del mercato, così come appaiono del tutto inadeguate politiche di carattere protezionistico tendenti a difendere l'attuale specializzazione dimensionale e produttiva. Gli investimenti pubblici, se bene indirizzati, non spiazzano gli investimenti privati, ma, al contrario, costituiscano un volano per la competitività. Per realizzare queste condizioni serve non solo uno Stato che privilegi investimenti di lungo periodo e la spesa corrente, ma anche uno Stato che sia in grado di individuare grandi missioni su cui orientare i fondi pubblici e promuovere l'attività delle imprese.

La individuazione delle missioni consente di connettere la politica industriale alla risoluzione delle grandi questioni sociali e ambientali del pianeta, restituendo alla scienza e alle imprese il compito di soddisfare i nuovi fabbisogni della società avanzata legate a mega-trend globali: il cambiamento climatico, l'invecchiamento della popolazione, la qualità della vita e la concentrazione delle persone nei grandi centri urbani. Quindi, un ruolo dello Stato differente da come lo sta interpretando il Governo Meloni, il cui programma di privatizzazioni è una scelta discutibile e totalmente slegata da una visione industriale. Serve solo per far cassa e va contrastato con forza. Bisogna andare, invece, in una direzione totalmente diversa, definendo una serie di missioni strategiche, guardando, quindi, al lungo termine e razionalizzando il sistema delle partecipate, istituendo un'agenzia per coordinarle.

Il quarto e ultimo versante riguarda le risorse da mettere in campo: quelle pubbliche, innanzitutto indirizzando verso le nuove politiche industriali le risorse liberate dalla riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi e dalla riorganizzazione degli incentivi per le imprese; quelle private, mobilitando verso l'economia reale una parte dei 1.200 miliardi fermi sui conti correnti delle famiglie e una quota maggiore dei 300 miliardi gestiti dai fondi pensione, fondazioni di origine bancaria, casse privatizzate e liberi professionisti.

Come già ribadito, va garantita, però, la selettività degli interventi, riorganizzando il sistema di incentivazione pubblica. Proprio in questo contesto proponiamo di istituire un fondo nazionale, con una dotazione di almeno 5 miliardi annui, fino al 2035, per accompagnare e sostenere l'industria manifatturiera nella trasformazione digitale e nella conversione ecologica, cercando di legare in modo sinergico le due transizioni, a partire dai settori hard to abate e dell'automotive. Si tratta, cioè, di mettere in moto risorse consistenti e concrete per sviluppare politiche industriali che abbiano impatto reale sul lavoro e sul tessuto produttivo.

Il rilancio delle politiche industriali, infine, deve riguardare in primo luogo il Sud, in un'ottica di rafforzamento e qualificazione delle politiche di coesione. Non si tratta solo di individuare meccanismi premianti per gli investimenti al Sud, ma di costruire una strategia industriale in grado di valorizzare il ruolo del Mezzogiorno nell'ambito delle nuove filiere di innovazione, a partire da quelle legate alla green economy e alla transizione digitale. Nel quadro di una rinnovata politica industriale, infatti, un ruolo importante deve essere svolto dalle aziende a partecipazione pubblica, superando l'attuale frammentazione dei modelli di governance, dando, quindi, un'ottica di sviluppo al Sud, che può diventare una ricchezza per questo Paese.

In conclusione, siamo convinti che il nostro Paese possa fare molto di più nell'ambito delle politiche industriali, adottando una visione di lungo periodo per affrontare la doppia transizione in modo serio a vantaggio del nostro sistema Paese. Proprio per questo, chiediamo un impegno serio e concreto del Governo per l'adozione di vere politiche di crescita industriale, un impegno che sia per preservare il nostro sistema Paese, un impegno che guardi al futuro, alle nuove generazioni, all'innovazione, perché l'Italia deve recepire i trend globali e non esserne vittima. Ma questo può avvenire solo se il Governo ha una visione strategica della nostra industria e se è in grado di portare avanti politiche di lungo termine, invece di una visione anno per anno o, addirittura, mese per mese. Come Partito Democratico, non mancheremo, quindi, di far sentire la nostra voce, perché crediamo che solo con un'azione strategica e una visione di lungo periodo dell'industria possiamo far crescere, come Paese, l'economia e cogliere le sfide che ci lancia l'economia globale.