Grazie, Presidente. Per evitare di dire cose che non conosciamo, come ho sentito pochi minuti fa dall'unico rappresentante di maggioranza che è intervenuto oggi, siamo stati, nel marzo scorso, con una delegazione di deputate e deputati di questo Parlamento, insieme anche a rappresentanti delle organizzazioni non governative, insieme a docenti delle università italiane in grado di aiutarci a capire, nonché insieme a giornalisti delle principali testate televisive e dei quotidiani italiani, per documentare quello che volevamo sentire, capire, vedere con i nostri occhi al confine tra l'Egitto e la Striscia di Gaza, al valico di Rafah.
Ebbene, noi lì abbiamo visto, capito, toccato con mano quale fosse davvero la situazione. Una situazione nella quale ci è stato impossibile negare che ci fosse una volontà assoluta del Governo Netanyahu di uccidere quanti più civili possibile; non, colleghi, di stanare i terroristi, ma di bloccare acqua, cibo, medicine, beni salvavita. La decisione di bloccare lì, al confine, centinaia di camion degli aiuti umanitari, provenienti da tutto il mondo. Perché? Per scelta, per decisione insindacabile, per libero arbitrio, diretto a sopprimere quante più vite possibile. E ce l'hanno fatta. Fino ad oggi sono arrivati a quasi 45.000 persone che hanno perso la vita dentro la Striscia di Gaza.
Ebbene, proprio per capire e comprendere, non parlare a vuoto, abbiamo deciso, il giorno 13 di questo mese, di recarci all'Aja, presso la Corte penale internazionale. Una nuova delegazione dell'Intergruppo parlamentare per la pace tra Palestina e Israele, europarlamentari italiani e rappresentanti delle ONG ci recheremo all'Aja per una serie di incontri presso la Corte penale internazionale. Questa visita, che è stata prevista da tempo e che avviene dopo l'emissione dei mandati di arresto, ha per obiettivo quello di prendere atto del lavoro della Corte, delle difficoltà e degli ostacoli che sta incontrando nello svolgimento delle proprie attività, oltre ad esprimere pieno sostegno alla Corte, che opera al solo scopo di affermare la legalità internazionale, nonostante pressioni e circostanze molto difficili.
È fondamentale che l'Italia, il Paese in cui fu firmato lo Statuto di Roma che ha istituito quella stessa Corte, dia un chiaro e inequivocabile segnale di vicinanza alla Corte stessa. Il suo lavoro va rispettato in tutti i suoi passaggi: indagini, mandato di arresto e sentenza. Il nostro Governo non può sottrarsi ai suoi obblighi internazionali. Per evitare ogni complicità con chi è ricercato per crimini di guerra e crimini contro l'umanità, è necessario che prenda chiaramente le distanze dall'operato del Governo israeliano, dando piena attuazione al mandato di arresto della Corte, che rappresenta, ricordo, un obbligo per ciascuno Stato parte.
Ebbene, che cosa ha fatto la Corte penale internazionale il 21 novembre scorso? Ha emesso mandati di arresto, sia per Benjamin Netanyahu, Primo Ministro israeliano, e Yoav Gallant, ex Ministro della Difesa, accusandoli di crimini di guerra e crimini contro l'umanità, sia contro Deif, il leader delle Brigate al-Qassam, mentre altre figure di Hamas sono state escluse per la conferma della loro morte. La Corte opera secondo principi di diritto internazionale ed è un tribunale di ultima istanza che supplisce le giurisdizioni nazionali, qualora queste omettano di perseguire i crimini previsti dallo Statuto di Roma. Ma, nonostante questo, la decisione su Netanyahu ha generato forti reazioni politiche da parte di alcuni Stati.
Il leader israeliano ha definito la mossa antisemita e motivata politicamente, nonostante la Corte accusi singoli individui, cioè lui, e non lo Stato di Israele. Sul fronte legale, Israele potrebbe ancora avviare indagini interne per evitare ulteriori interventi della Corte, ma finora non ha adottato alcuna misura significativa. La decisione rappresenta un passo importante per la giustizia internazionale, ponendo sfide politiche e diplomatiche complesse, ad affrontare le quali anche il nostro Governo dovrebbe dimostrare di essere all'altezza. Ahinoi, finora non lo ha fatto.
Anche l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea Borrell ha più volte ribadito in questi giorni che le decisioni della Corte sono vincolanti per gli Stati membri dell'Unione europea e si è detto anche allarmato dall'estrema politicizzazione delle reazioni a quella decisione, ribadendo che la Corte penale internazionale non ha nulla a che fare con l'antisemitismo e la sua non è una decisione politica. Tutto ciò in uno scenario internazionale di grande preoccupazione, nel momento in cui l'incendio sta ancora fortemente divampando in Medio Oriente, a partire da quanto accaduto in Siria nelle ore scorse.
E su questo ci aspettiamo ancora che il Ministro Tajani venga con urgenza a riferire in Parlamento, come abbiamo chiesto nella nostra interrogazione sulla situazione siriana. In questo contesto, la tregua in Libano ha dimostrato che la diplomazia può essere incisiva e ottenere reali risultati, ed è un primo spiraglio, ma il Governo italiano non ha svolto nessun ruolo su questo obiettivo, dobbiamo dircelo. L'accordo è frutto del lavoro di Francia e Stati Uniti, anche se lì noi abbiamo ben 2.000 nostri soldati. Anche per questa ragione, noi dovremmo riaffermare la dignità del nostro intervento e nei prossimi passi riacquisire quel ruolo che l'Italia finora non ha avuto.
A partire da Gaza, dove non c'è stato certamente lo stesso risultato rispetto all'impegno portato avanti in Libano. A tutt'oggi non è stato perseguito con la stessa forza il cessate il fuoco a Gaza, dove oltre 100.000 civili sono feriti senza alcuna cura e oltre 44.000 persone hanno perso la vita, di cui buona parte bambini; dove da oltre un anno vengono bloccati cibo e medicinali, provocando carestie ed epidemie.
Noi ribadiamo, invece, ancora una volta, che serve un impegno altrettanto incisivo per chiedere quel cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi, l'ingresso degli aiuti umanitari, un'iniziativa di pace e il riconoscimento dello Stato di Palestina, come abbiamo chiesto più volte con più atti in quest'Aula e come fatto da altri Paesi europei, per perseguire la via dei “due popoli e due Stati”, che invece il Governo Netanyahu nega. La Striscia di Gaza è ancora oggi un luogo infernale, ci sono solo macerie, carestia, vittime, malattia e morte.
A Nord vi è il disegno dell'espulsione e dell'annientamento della popolazione, inseguendo l'idea di pulizia etnica invocata dai ministri estremisti. In Cisgiordania, invece, il disegno è quello dell'annessione di fatto, che prosegue da anni nel silenzio di tanta parte della comunità internazionale, violando i diritti del popolo palestinese e le risoluzioni delle Nazioni Unite. In questi mesi, in Medio Oriente, sono stati commessi sotto i nostri occhi di spettatori online crimini contro l'umanità e crimini di guerra, i cui responsabili sono ben precisi e individuati, appunto, dalla Corte penale internazionale.
Con riferimento a quanto ha stabilito quella Corte, il Ministro Tajani, in risposta al nostro question time che abbiamo tempestivamente presentato in quell'aula, ci ha detto che rispetta la Corte; purtroppo, però, è nelle omissioni del Governo italiano che questo organismo viene di fatto delegittimato. Un Paese come l'Italia non se lo può permettere, però, perché quella è un'acquisizione fondamentale del diritto internazionale che abbiamo voluto soprattutto noi. Parliamo, non a caso, dello Statuto di Roma. Purtroppo, invece, abbiamo assistito nei giorni scorsi ad una posizione clamorosamente ambigua e reticente, con una clamorosa spaccatura tra i massimi esponenti del Governo, tenuta dal nostro Paese proprio riguardo alla pronuncia della Corte penale internazionale, anche rispetto ad altri Stati del G7 e dell'Unione europea.
Mentre Tajani affermava che l'Italia rispetta e sostiene la Corte internazionale, “ma siamo convinti che quello che deve svolgere sia un ruolo giuridico e non politico. Esamineremo” - ha detto - “inoltre le carte per capire quali sono le motivazioni che hanno portato la Corte a fare questa scelta”, addirittura, nei giorni precedenti, lo stesso Ministro aveva dovuto specificare che la posizione dell'Italia su questo punto è quella espressa dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale.
Perché? Perché un altro Ministro, un altro Vicepresidente del Consiglio, il Ministro Salvini, aveva dichiarato, invece, che il Premier israeliano sarebbe il benvenuto se venisse in Italia. A questo si aggiunga che il primo commento della Premier Meloni è stato il seguente: “Approfondirò le motivazioni che hanno portato alla sentenza della Corte penale internazionale, motivazioni che dovrebbero essere sempre oggettive, non di natura politica”. E poi ha detto che aveva intenzione di porre il tema al G7, alla riunione ministeriale esteri. Queste parole non solo hanno messo in dubbio che ci siano motivazioni oggettive da parte dei giudici dell'Aja, ma hanno anche introdotto proprio quell'elemento di natura politica, spostando il tema in una sede che è politica, come quella ministeriale del G7, e compiendo così proprio quella strumentalizzazione di tipo politico che invece intendeva contestare alla Corte.
Nulla di nuovo, possiamo dire, siamo nuovamente di fronte a quell'approccio di negazione del potere giudiziario che il Governo mette in atto nei confronti anche della magistratura italiana, negandole la competenza, ad esempio, sul tema delle deportazioni di migranti in Albania e sminuendone il ruolo, mentre tende a non riconoscere il carattere sovraordinato delle norme europee ed internazionali. E così arriva a mettere in discussione anche l'oggettività delle sentenze della Corte penale internazionale.
Queste posizioni diverse dentro il Governo italiano, aggiunte alla sua ambiguità e alla sua poca chiarezza, rischiano di minare l'autorevolezza internazionale del nostro Paese, mentre mettono in discussione un organismo internazionale di garanzia dei diritti umani, e invece le sentenze dei giudici andrebbero sempre semplicemente rispettate e applicate. Ci auguriamo, almeno, che questo posizionamento così sbilanciato verso Netanyahu possa precostituire una maggiore capacità di influenza sul Governo israeliano per il cessate il fuoco a Gaza e per porre fine a questo martirio, isolando le posizioni estremiste dei ministri israeliani.
Ma il Ministro, tutti i rappresentanti del Governo dovrebbero sapere che il riconoscimento delle decisioni non ha a che fare con posizioni politiche, ma giuridiche, non è una facoltà, è un obbligo. Netanyahu è un criminale per la giustizia internazionale e la Corte si occupa non di politica, ma di responsabilità penali individuali. La politica a Gaza, in Israele e in Palestina non può essere invocata solo dopo che arriva la decisione della Corte penale internazionale. Se siamo arrivati a quei crimini di guerra e a quei crimini contro l'umanità, è proprio perché la politica è mancata.
Ha detto parole più chiare il Papa, chiedendo di verificare se a Gaza ci sia genocidio, di quanto abbia fatto il nostro Governo. Sono stati commessi crimini di guerra e crimini contro l'umanità in questi mesi, e ci sono dei responsabili, che sono sotto gli occhi di tutti: Hamas per il 7 ottobre, Netanyahu per tutto quello che è avvenuto dopo. Ed è proprio quanto ha stabilito anche la Corte. Netanyahu è un criminale per la giustizia internazionale e attuare questa decisione non è una facoltà, ripeto, è un dovere.
Adesso il Governo deve fare tutto quello che è nelle sue disponibilità per arrivare, ripeto, al cessate il fuoco, alla pace, a liberare gli ostaggi, a salvare le vite umane e a riaffermare la legalità internazionale. Il Governo italiano non può continuare a negare la giustizia, perché questa sarebbe una gravissima complicità. I giudici emettono sentenze in base a dati oggettivi e non politici. Le valutazioni del Governo italiano su cosa fare e come comportarsi, attaccando la Corte e cercando di minarne l'autorevolezza, sono un grave rischio.
Questo istituto di garanzia internazionale dei diritti umani, come la Corte internazionale di giustizia, come l'ONU stessa, sono stati istituiti per assicurare un minimo comune denominatore di rispetto dei diritti umani nel mondo. Indebolirne la forza è un ennesimo attacco al diritto umanitario internazionale e rischia di favorire nelle relazioni geopolitiche la logica del più forte militarmente, lasciando i civili, in tutto il mondo, senza più alcuna forma di difesa e protezione. Lo dimostrano i comportamenti di Russia e Israele, con attacchi a infrastrutture e ospedali, e negando l'ingresso degli aiuti e l'operatività degli operatori umanitari dell'ONU, per non dire dell'attacco, della negazione del ruolo degli organismi collegati all'ONU stessa, come l'UNHCR o addirittura l'UNRWA in Palestina.
Nella stessa logica dell'erosione del diritto umanitario internazionale vanno anche gli attacchi alle ONG, così come il rischio della militarizzazione della quotidianità. Voglio qui rilevare anche il chiaro doppio standard con cui la comunità europea e il nostro Paese, senza eccezione, si rapportano nei confronti del conflitto russo-ucraino e di quello israelo-palestinese. Nei confronti di Putin, che ha invaso militarmente l'Ucraina, per il quale la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto nel marzo 2023 per crimini di guerra, in particolare per la deportazione e il rapimento di centinaia di bambini ucraini, il nostro Paese ha sostenuto l'emissione di sanzioni insieme agli altri Paesi dell'Unione europea, mentre nei confronti di Netanyahu, che occupa i territori palestinesi da 50 anni e nei confronti del quale la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di cattura per crimini contro l'umanità, per genocidio nei confronti della popolazione palestinese, il nostro Paese balbetta.
Se gli Stati Uniti non hanno aderito allo Statuto di Roma, che riconosce la Corte, e se Orbán addirittura ha invitato Netanyahu nel suo Paese, noi ricordiamo all'Italia, ancora una volta, le parole di Borrell, che rappresenta tutti quei Paesi europei che invece lo hanno sottoscritto: offrire protezione a un ricercato dalla giustizia internazionale non solo costituirebbe un'ostruzione alla giustizia stessa, ma (…) diventerebbe complice nel garantire impunità per alcuni dei crimini più gravi previsti dal diritto internazionale.
Il portavoce della Corte ha chiarito, nei giorni scorsi, che l'articolo 27 dello Statuto di Roma è chiaro: non c'è l'immunità dalle accuse per nessuno. È un principio del diritto internazionale. Se gli Stati ritengono che ci possa essere conflitto con l'immunità diplomatica, devono portare la questione ai giudici, che decideranno, altrimenti deve essere prevista un'eventuale sanzione per la mancata cooperazione nei confronti di uno Stato che non ottemperi.
I mandati di arresto sono validi a vita, possono volerci anche 10 o 15 anni; gli ordini di arresto possono essere ostacolo per le trattative di pace? La Corte penale internazionale non fa valutazioni politiche, ha detto il membro della Corte. Noi crediamo che non ci sia pace duratura senza giustizia e ricordo, tra me e me e a voi, che cosa è successo nei Balcani dopo la guerra. Se ci sono in corso negoziati di pace può essere utile sospendere i casi, lo si può fare per 12 mesi, ma il mandato di cattura rimane valido. Mettere in discussione la legittimazione degli organismi internazionali è un attacco al multilateralismo.
Ci aspettiamo che il Governo italiano sia conseguente alle parole del Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Tajani sul rispetto delle decisioni della Corte. Ci aspettiamo che non isoli il nostro Paese e non lo umili agli occhi del mondo, indebolendo il ruolo della Corte, di cui siamo stati noi stessi promotori. Aderiamo all'ONU e ne dobbiamo rispettare le risoluzioni, aderiamo ai trattati e agli accordi internazionali per una giustizia penale che garantisca protezione ai più deboli. Dobbiamo rispettarli. Ci auguriamo, infine, che anche il Governo italiano, insieme ai parlamentari italiani, si adoperi affinché l'Unione europea faccia quello scatto in avanti verso il completamento dell'unificazione in materia di politica estera unitaria, altrimenti continueremo ad essere ininfluenti sul piano internazionale. A decidere le sorti continueranno ad essere le potenze militari, a scapito dei più deboli e di un vecchio continente diviso nelle sue gelosie e nei suoi nazionalismi.