Economia
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Una legge mancia senza visione e iper frammentata
La Manovra 2025 del governo Meloni è una pessima legge di Bilancio.
Priva di visione, miope, frammentata. E così, di divisione in divisione, di inciampo in inciampo, di riscrittura in riscrittura, gli errori e i ritardi si sono accumulati e abbiamo assistito all’ennesima mortificazione del Parlamento.
Una Manovra che non dà nessuna risposta ai problemi del Paese, scollegata dalla realtà, persino peggiorata da una pioggia aggiuntiva di micro-misure che l’hanno ridotta a una “Legge mancia”.
Governo e maggioranza hanno dato prova di un incredibile mix di dilettantismo e di protervia, con una approssimazione e una mancanza di trasparenza gravissime. E mentre si racconta di chissà quale Paese immaginario, quello reale va a fondo.
Siamo al ventunesimo mese consecutivo in cui la produzione industriale cala. Istat e Bankitalia hanno dovuto rettificare le previsioni del Pil, riportando il tasso di crescita ad appena lo 0,5 per cento nel 2024 – altro che l’1 per cento previsto dal governo – e ben che vada allo 0,8 per cento nel 2025.
I salari sono praticamente gli stessi da un quarto di secolo e il loro potere d’acquisto in questi anni è diminuito per effetto dell’inflazione.
Mentre moltissimi occupati non riescono, pur lavorando, a uscire da una condizione di povertà.
A tutto questo, davvero non può dare risposta una “Legge mancia” come questa, che fa segnare un drammatico “zero” sia rispetto alla crescita e a quelle strategie anticicliche ed espansive di cui avrebbero bisogno i principali settori del Paese. Zero anche rispetto alle disuguaglianze che feriscono la società, alle fragilità delle sue parti più deboli, ai divari di genere e territoriali che la attraversano, alla precarietà che mortifica il lavoro e imprigiona le prospettive dei giovani.
Una delle poche modifiche di un qualche rilievo è quella sull’Ires “premiale”, con un taglio di quattro punti, dal 24 al 20%, per le imprese che assumono.
Anche in questo caso, va però sottolineato da una parte che molte sono le condizioni da rispettare e dall’altra che questa riduzione dell’ultimo minuto, peraltro limitata al 2025, non riesce a compensare affatto l’aggravio determinato dall’abolizione dell’Ace, l’Aiuto crescita economica (non per caso un nostro emendamento ne chiedeva il ripristino, perché indispensabile per il rafforzamento patrimoniale delle imprese).
Per il resto, si è assistito soprattutto ad una serie di imbarazzanti retromarce.
Il caso più eclatante, che ha fatto più discutere, è quello della vergognosa norma del raddoppio degli stipendi di ministri e sottosegretari non parlamentari. L’equiparazione ai loro colleghi eletti avrebbe comportato un aumento di circa 7.200 euro al mese. Costretta a rivedere la misura, la maggioranza ha comunque fatto rientrare dalla finestra una parte di ciò che era uscito dalla porta, sotto forma di un rimborso spese di circa 2.500 euro al mese che comunque è molto più dello stipendio medio degli italiani. E rappresenta uno sperpero di denaro pubblico di 500 mila euro annui.
C’è poi la questione di enorme importanza del Fondo Automotive, istituito dal governo Draghi con una dotazione di 700 milioni di euro per il 2022 e di un miliardo di euro per ciascuno degli anni dal 2023 al 2030, per il sostegno e la promozione della transizione verde, della ricerca e degli investimenti nel settore automotive. In una Legge di Bilancio in cui la politica industriale è totalmente assente e nel pieno della crisi di Stellantis, come se questo non bastasse nel testo iniziale il governo aveva previsto 4,55 miliardi di euro di definanziamento. Anche grazie alla pressione del Gruppo del PD-IDP, che ha presentato un emendamento in cui si chiedeva il rifinanziamento almeno per 2,15 miliardi in tre anni, il governo ha prima annunciato che avrebbe rivisto la sua decisione, e poi ha addirittura ha fatto una ulteriore marcia indietro rispetto a questa marcia indietro: “zero” nel 2025 e per solo 200 milioni sia per il 2026, sia per il 2027.
Ma non sono queste le uniche misure su cui si è fatta retromarcia.
Grazie alle pressioni del Partito democratico e delle opposizioni, il governo ha dovuto far ritirare l’emendamento dei relatori sull’aumento dei pedaggi autostradali. Ed è dovuto tornare frettolosamente sui suoi passi anche rispetto all’estensione della web tax a tutte le imprese indipendentemente dai ricavi e all’aumento della tassazione delle criptoattività, sotto la spinta di nostri emendamenti che chiedevano la soppressione dei relativi articoli. Marcia indietro anche rispetto all’obbligo, per le società che ricevono contributi pubblici, di integrare il collegio di revisione o sindacale con un rappresentante del Mef.