Data: 
Venerdì, 27 Febbraio, 2015
Nome: 
Laura Garavini

Grazie Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, in politica estera, ma anche nelle politiche europee, stiamo attraversando il periodo più complicato da un quarto di secolo a questa parte, da quando, cioè, venticinque anni fa, il crollo del muro di Berlino, da un lato ha sì comportato la libertà per milioni di persone, ma al tempo stesso ha anche determinato profondi cambiamenti nei rapporti internazionali e ha generato ardue sfide, ancora tutte aperte e da giocare. Le situazioni altamente pericolose che stiamo affrontando in questo periodo, vuoi che sia in Ucraina, vuoi che sia in Medio Oriente, vuoi che sia in Libia, sono l'aspetto più drammatico di questi stravolgimenti geopolitici. E il fatto di essere arrivati a questo punto, con l'esplodere violento di conflitti militari, anche a due passi da casa nostra, ci deve indurre, a mio parere, a chiederci se, come europei, abbiamo agito sempre per il meglio.Una buona politica estera è, infatti, innanzitutto il dialogo, la stima e la fiducia reciproca. L'Europa e l'Italia hanno una responsabilità particolare soprattutto nei confronti dei nostri vicini del Mediterraneo e con i Paesi del nord Africa.E lì, è sì vero che l'Italia si è distinta per diverse iniziative, ma dobbiamo anche ammettere che negli anni passati non siamo riusciti a fare abbastanza per creare rapporti politici, economici, sociali e culturali che avrebbero potuto rendere il Mediterraneo ciò che dovrebbe essere: un'area di pace e di crescita. È da anni che in Europa, anche e soprattutto per quanto riguarda la drammatica situazione dei rifugiati, si parla dell'importanza di stringere rapporti più stretti con i Paesi del nord Africa. Ma troppo a lungo alle parole non sono seguiti i fatti. 
All'Europa viene spesso rimproverato di essere un interlocutore debole in politica estera. E bisogna riconoscere che in passato l'Europa spesso non è stata capace di parlare con una voce sola e di far valere il suo bagaglio di valori, di diritti e di cultura. A maggior ragione ritengo che sia lodevole che nel corso del semestre di Presidenza a conduzione italiana l'Italia sia riuscita a porre, tra le priorità programmatiche dell'Europa, una politica estera comune di stampo europeo. E anche, a semestre concluso, continuiamo ad operare in questa direzione. Ed è merito, ad esempio, dell'Italia che la questione della Libia, in tutta la sua drammaticità, finalmente è entrata nell'agenda del dibattito europeo. Ed è importante che in questa situazione di crisi teniamo aperti i canali di dialogo già esistenti. È un segnale significativo e giusto se proprio in questa situazione il Ministro Gentiloni si reca a Tunisi per invitare i Paesi nordafricani a sostenere lo sforzo dell'ONU per una soluzione politica. Questo è il momento delle iniziative diplomatiche e non degli interventi militari, che sono sempre l'ultima ratio e sono sempre una sconfitta per la politica.  La crisi che stiamo affrontando in questa fase è grave. Ci troviamo di fronte ad una forza che fa della guerra e del terrore il suo marchio distintivo. Il tutto mentre numerosi gruppi locali, di stampo jihadista, in ampie aree territoriali si stanno coagulando attorno a questo marchio distruttivo, cosicché la preoccupazione è che si abbia una vera e propria contaminazione terroristica di interi Paesi nell'area. 
Ecco che, in una situazione così complessa, credo che sia importante soprattutto una cosa: che qualsiasi decisione si vada a prendere sia il frutto di una chiara visione strategica sul dopo, perché le crisi con cui ci troviamo a confrontarci oggi, sono crisi che vengono da lontano e a maggior ragione non dobbiamo commettere l'errore di agire in modo miope, come è stato fatto, per esempio in passato con l'intervento in Iraq. I nostri tentativi di fermare un pericolo imminente avranno successo a medio e lungo termine soltanto nella misura in cui riusciremo ad avere una chiara idea di ciò che vogliamo sostenere per il futuro. E questa idea deve consistere nel creare un nuovo ordine basato sulla pace, sul dialogo e sulla collaborazione, intorno al Mediterraneo. 
Questo deve essere il filo conduttore dell'Italia e di tutta l'Europa nel tentativo di superare l'attuale crisi. L'orrore a cui assistiamo in questi giorni in Libia, avviene davanti alle porte di casa nostra. I luoghi del conflitto in Libia sono distanti dalla Sicilia esattamente quanto è distante Milano da Roma. Questo ci pone in una situazione di grande responsabilità. Allora come procedere ? Devo dire che le parole del Ministro degli affari esteri Gentiloni, sia oggi sulle linee generali di politica estera sia la settimana scorsa sulla situazione in Libia, sono di grande conforto perché vanno nella direzione giusta e lasciano trasparire quell'equilibrio e quella prudenza di cui si avverte un grande bisogno. 
Dobbiamo agire in modo deciso ma in accordo con i nostri alleati e con i nostri partner europei e solo sulla base di un mandato delle Nazioni Unite. Inoltre, a mio parere, ogni decisione va presa in stretto accordo ed in stretta sintonia anche con i Paesi arabi amici, con i Paesi magrebini e con l'Egitto. Ritengo infatti che, soprattutto in questa grave situazione di crisi, vadano rafforzati i nostri legami con i Paesi nordafricani, perché sono essenziali per un futuro migliore sulMediterraneo. Solo attraverso il dialogo – lo diceva bene il nostro Ministro – possiamo evitare che si creino altre difficoltà, destinate a loro volta ad evolversi in situazioni di pericolo, a breve o media distanza di tempo. Vediamo di agire con polso fermo, ma anche in modo lungimirante, facendo il possibile per fermare una guerra distruttiva, da un lato, ma anche per creare le basi per una pace duratura, dall'altro. L'Italia deve essere radicata in Europa, ma con lo sguardo rivolto al Mediterraneo. Solo attraverso un costruttivo confronto con i Paesi del Mediterraneo possiamo riuscire a creare le basi per raggiungere più sicurezza e più pace in questa strategica area geopolitica. 
Tra l'altro un approccio di questo tipo è anche utile per una politica sui rifugiati. Se non coinvolgiamo i Paesi del Maghreb, l'Egitto e neanche la Turchia, allora dovremmo continuare in eterno a soccorrere gente in mare e a raccogliere cadaveri, cosa che non è certo il nostro obiettivo. Per una strategia efficace, invece, che ci consenta di affrontare il problema alla radice abbiamo bisogno di iniziativa politica e di azioni comuni con questi Paesi. L'Italia, in questo processo, può e deve giocare un ruolo di primo piano da costruttore di ponti con il mondo arabo. 
Prima di avviarmi alle conclusioni, signora Presidente, ancora un breve cenno alla questione Ucraina. Anche qui va ricercata una soluzione che non può che essere politica, esercitando pressioni ma anche considerando che la propria cittadinanza all'interno della Russia rappresenta una piccola minoranza quella che in riferimento all'Ucraina rappresenta pur sempre il 30 per cento della popolazione. II dialogo e non la guerra, signora Presidente, è l'arma più forte della politica estera e proprio per questo vogliamo, dobbiamo e possiamo portare avanti questo dialogo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).