A.C. 2617-A
Presidente, colleghi, noi oggi diamo una definizione ad un mondo oggi non definito, o definito per esclusione: esistono il settore pubblico, il settore privato e poi vi è il Terzo. Nel codice civile vi sono associazioni, comitati, fondazioni e poi vi sono le associazioni non riconosciute, che sono centinaia di migliaia di fatti veri.
Ora, definire è importante, perché rappresenta la base per le buone politiche, e noi diciamo: solidarietà, mutualità, interesse generale sono le finalità degli enti del Terzo settore unite all'assenza di scopo di lucro. Diamo una definizione.
Rispettiamo e ribadiamo la grande libertà associativa garantita dalla Costituzione, ma, quando entro in contatto con lo Stato, allora, tutti mi devono conoscere e, allora, bene la proposta del registro nazionale. Prevediamo poi un sistema di controllo, di monitoraggio e di valutazione delle attività affidato al Governo, ma con la collaborazione e la partecipazione delle associazioni stesse.
Io vorrei dire ai colleghi del MoVimento 5 Stelle: organizziamoci per avere in questo campo un controllo di sostanza, il Terzo settore è gente conosciuta, vera, andiamo a vedere, ma non pensiamo che, anche in questo campo, si debba costruire una serie di controlli di carta che abbiamo visto poi non essere non solo risolutivi ma anche controproducenti; chi fa il malaffare ha sempre le carte in regola. Si mette al sicuro il finanziamento nella delega attraverso una quota liberamente disposta delle imposte versate, il famoso 5 per mille, si apre a tutto il Terzo settore l'accesso alle risorse derivanti dalla quota dei profitti delle fondazioni bancarie, anche questo è un fatto assai importante. Si aspetta nella fase dei decreti legislativi un contestuale investimento di risorse dello Stato per finanziare le buone pratiche di un settore che costruisce capitale sociale, fornisce occasione di lavoro e soprattutto organizza la socialità e la solidarietà nei nostri territori. Si rilancia nella delega la forma dell'impresa sociale e questo ha fatto discutere molto. Io lo dico così, ci sono due tendenze che vediamo, perché stanno espandendosi nella società. In primo luogo, l'impresa di capitali, i capitali sono disponibili e interessati a dirigersi verso campi nuovi: assistenza socio-sanitaria, inclusione sociale e lavorativa dei soggetti svantaggiati, l’housing sociale, il commercio equo e solidale, i campi in cui il successo dell'attività sta soprattutto nella crescita della socialità, della salute, della relazione fra le persone più che nell'aumento del profitto. Questa impresa sa che le regole del gioco sono diverse in quei campi, che i dividendi sono bassi e il capitale deve crescere poco e sa soprattutto che c’è un requisito: la valutazione dell'impatto sociale, che deve essere positivo, molto positivo. Qui è il tema non risolto: misurare questo impatto sociale, perché non si capisce dal numero dei pezzi o delle prestazioni scambiati e venduti bene; io do dei vantaggi a un capitale che vuole misurarsi su questo terreno se gli anziani da te assistiti stanno davvero meglio e se per farli stare meglio non produrrai effetti collaterali negativi sul lavoro, sull'ambiente esterno e sulla vita della comunità. Complicatissimo, ma molto interessante, l'Europa sta costruendo molte esperienze e io credo che, anche in questo Paese, si debba aprire la porta, in questo modo complesso e affascinante, a questa volontà del capitale. Seconda tendenza: il nuovo associazionismo nel nostro Paese si sta diffondendo in un modo incredibile; nato attorno alla riscoperta dei beni comuni, dell'acqua, della terra agricola, degli spazi e dei piani urbani collettivi, la salute, la salute delle relazioni umane, è un associazionismo partecipativo basato sull'economia della condivisione e del dono. Ciò che si investe è il proprio tempo e la propria responsabilità e ci si aspetta in cambio la possibilità di vivere in una comunità solidale, in uno spazio recuperato al godimento e al servizio di tutti e ciascuno, senza barriere onerose o accessi esclusivi. Ora, noi saremmo stati folli se, di fronte all'impresa capitalista, che chiede di misurarsi sulla responsabilità sociale, avessimo chiesto di rinunciare ai capitali, e di fronte all'associazionismo volontario, che ci chiede di uscire dall'economia capitalista, avessimo detto: insomma, devi diventare un soggetto imprenditoriale for profit. Non lo abbiamo fatto, abbiamo cercato di intervenire su un altro punto e concludo; quando l'attività solidaristica, espressa attraverso produzione e scambio di beni e servizi e, aggiungo, quando c’è un lavoro dipendente, investimenti importanti, indebitamento, importanti rapporti commerciali con terzi, allora è più proprio....più efficace assumere una veste degli obblighi di trasparenza e di rendiconto dei comportamenti che sono propri delle imprese, estendendo ciò che già esiste per la cooperazione sociale, una limitatissima e regolata possibilità di redistribuire una piccola parte degli utili e di remunerare il capitale investito. Questa è l'intenzione – sia chiaro – vedremo i passi successivi, per questo il testo è oggi sostenibile