Data: 
Lunedì, 27 Aprile, 2015
Nome: 
Alessandro Bratti

A.C. 342-B ed abbinate

 

Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'onorevole Bazoli credo abbia molto bene illustrato e inquadrato il tema di cui oggi discutiamo, spiegando anche in dettaglio quali sono stati e quali sono i punti fondamentali di questo provvedimento, che devo dire con un grande impegno di diverse persone appartenenti al Partito Democratico, oggi è arrivato a questo punto. 
L'iter però non è stato facile. È stato un iter complicato, lungo e ricco di insidie. È un provvedimento che ora è ad un passo, come veniva ricordato, per essere approvato in maniera definitiva. Il progetto di legge è stato sicuramente migliorato – credo – al Senato, nonostante sia stato introdotto un comma, che riguarda la punibilità dell'uso della tecnica di perforazione nei fondali marini per la ricerca di idrocarburi, denominata air gun. 
Si tratta di una tecnica che oggi è praticata in diverse parti del mondo e che, causa la sua invasività, va certamente regolamentata attraverso un percorso di carattere amministrativo e non certamente andava in un provvedimento come quello in discussione oggi. Un emendamento introdotto, a mio parere, ad arte al Senato da Forza Italia. Poi lo stesso gruppo politico alla Camera, presso la Commissione giustizia, ha proposto un emendamento per sopprimerlo, con la consapevolezza – io credo – che poi alla Camera, con questa modifica, si sarebbe dovuti ritornare al Senato e con un obiettivo molto preciso, quello – credo – di affossare definitivamente questa legge. 
Da sempre sosteniamo che per fermare l'illegalità occorre intervenire con una semplificazione normativa, che riduca i margini di discrezionalità e di incertezza per le imprese, definire una riforma del sistema dei controlli, ferma ormai da diversi mesi al Senato, oltre che introdurre nuovi delitti contro l'ambiente nel codice penale, come, tra l'altro, ricordava bene il relatore Bazoli, era già stato previsto da una direttiva comunitaria nel 2008, cosa che ci apprestiamo a fare. 
Ricordo che procedimenti penali storici quali Casale Monferrato, Bussi sul Tirino, il sito di Cogoleto della ex Stoppani, l'area Resit in Campania, l'Ilva di Taranto, Porto Marghera avrebbero avuto, con queste nuove norme, un iter processuale – e probabilmente un esito giudiziario – molto differente. Ma di questo abbiamo già parlato in prima lettura alla Camera e c’è stata una discussione molto approfondita anche al Senato. 
I reati previsti dalla proposta di legge, però, hanno un'efficacia anche per situazioni apparentemente minori, spesso sconosciute ai più, ma che provocano quotidianamente danni irreparabili all'ambiente, oltre che un impatto economico negativo per la collettività. Mi preme citare due esempi tipici del mondo della gestione dei rifiuti, che, da un lato, riguardano i comportamenti di diverse aziende private, che continuano a delinquere a norma di legge, e, dall'altro lato, le difficoltà della magistratura, di fatto impotente.  Cosa accade, ad esempio, ad una grande società privata che gestisce il ciclo dei rifiuti quando decide di gestire una discarica abusivamente oppure quando sversa reflui industriali senza autorizzazione ? Situazioni che determinano – è bene ricordarlo – molto spesso danni ambientali pericolosi per la salute, oltre che danni economici rilevanti. Laddove vi è una contestazione di questi reati la società può decidere quale sia il comportamento processuale più conveniente: affrontare un processo nel merito, oppure cavarsela con una mera oblazione, senza affrontare il rischio e i costi di un processo ? Molto spesso, in questi casi, la società decide di saldare il conto subito, pagando una penale economica che elimina il fastidio di procedimento penale pubblico. Con l'attuale legislazione questi reati, oggettivamente gravi, sono al 90 per cento suscettibili di definizione con oblazione speciale: una piccola contravvenzione solitamente pari alla metà del massimo della sanzione penale prevista per quella fattispecie (ad esempio circa 13 mila euro per i due casi citati in precedenza) e il caso è chiuso. Va posta una domanda chiave per capire qual è il peso sociale e collettivo di questa inadeguatezza legislativa che la proposta di legge deve sanare: quanto ha guadagnato la società gestendo una discarica abusiva o sversando reflui industriali senza autorizzazione ? A volte anche qualche milione di euro. 
Ancora più illuminante è quello che ha raccontato alla Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti un magistrato della direzione distrettuale antimafia di Venezia, parlando dei termini di prescrizione insufficienti relativamente ai reati di natura contravvenzionale che riguardano gravi illeciti ambientali. Questo è veramente un grosso problema – dice il magistrato – che c’è sempre stato. Questi, quindi, sono quasi reati finti, perché se ci sono difese con imputati provvisti di denaro, che possono andare avanti per tante udienze e tanti processi, alla fine, purtroppo, i procedimenti si prescrivono: c’è proprio una corsa alla prescrizione. Senza contare una serie di problemi correlati alle notifiche che concorrono ad allungare i tempi. Fare una notifica ad un imprenditore veneto, infatti, è più difficile che farla a un extracomunitario senegalese, perché c’è l'elusione dei tentativi di notifica. 
L'altro problema rilevante, che abbiamo potuto riscontrare, è che in questi reati si ritrova in modo frequentissimo il tema della bonifica, cioè della rimozione dei rifiuti conseguentemente alle condotte illecite. 
Quando va bene, il procedimento penale viene avviato, arrivando alla condanna dell'azienda. A quel punto, rimangono tutte le aree da bonificare, con masse di rifiuti da smaltire. Ovviamente, il responsabile di queste condotte fa di tutto per evitare di affrontare il costo del ripristino ambientale di un danno, spesso rilevante, che lui stesso ha provocato. L'imprenditore diventa nullatenente, si libera di tutti i beni, fallisce, e il risultato è che lo Stato deve sobbarcarsi gli altissimi costi di bonifica o, come spesso capita, tutto grava sulle spalle dei sindaci di quei comuni (Cogoleto, Arenzano, Sona, in provincia di Verona, Statte, Pioltello, Bussi e l'elenco, purtroppo sarebbe molto lungo). 
Di fronte a questi comportamenti, purtroppo diffusissimi, la soluzione ottimale è proprio quella qui realizzata di introdurre l'istituto della confisca per equivalente, che è stato applicato con successo in altri settori, dove l'equivalente andrebbe rapportato, non solo ai profitti, ma anche ai danni cagionati all'ambiente e ai costi da sostenere per le bonifiche. A quel punto, il pubblico ministero, nel momento in cui fa la richiesta di sequestro preventivo di un insediamento produttivo, potrebbe anche chiedere la confisca di un patrimonio che, in quel momento, è ancora in capo al soggetto. Dopo la sentenza spesso è troppo tardi, gli imprenditori coinvolti fanno sparire i beni e lo Stato non riesce più ad obbligare gli inquinatori a bonificare. L'introduzione della confisca preventiva per equivalente nel campo dei reati ambientali potrebbe, dunque, avere un impatto sul recupero delle aree devastate, permettendo la restituzione alla collettività delle terre così contaminate. Questo stesso istituto, qualora fosse configurato come obbligatorio e non necessariamente da una sentenza passata in giudicato, andrebbe almeno a controbilanciare i problemi della prescrizione. 
L'attuale scarsa efficacia dell'azione punitiva in campo ambientale porta, poi, a un altro grande problema, quello di falsare la concorrenza nel settore: se chi inquina alla fine non paga, manda fuori mercato quelli che operano correttamente. Il fatto che la giustizia non funzioni ha conseguenze – non lo scopriamo certo noi – sull'industria, sul mercato, sugli investimenti. E questo vale in tutti gli ambiti, per chi inquina, per chi non applica le norme antinfortunistiche sul lavoro o per chi non paga le tasse. La giustizia inefficace ha pesanti conseguenze economiche, oltre che etiche e sociali, e scoraggia anche gli investimenti delle aziende sane e innovative. 
C’è, infine, e non è un dettaglio, il dispendio di soldi pubblici correlato a indagini spesso complesse. Con la prescrizione lo Stato si dichiara non più interessato a perseguire un reato e tutti gli interessi sostanziali ad esso sottesi vengono disconosciuti, con la conseguenza che una serie di energie, di persone e di soldi investiti vengono buttati via. A questi costi si aggiungono, a quel punto, le spese per la bonifica. 
Ho potuto constatare, signor Presidente, proprio come presidente della Commissione bicamerale detta comunemente «ecomafie», che queste situazioni non sono un'eccezione; sono la regola e non solo in una parte del Paese, ma in tutta l'Italia. Non credo, quindi, che questo Governo, che ha fatto della battaglia per la legalità un punto fondamentale della sua azione, si possa permettere di attendere un giorno in più per dotarsi di strumenti realmente efficaci per colpire gli inquinatori, recuperando le terre contaminate, ridando speranza e futuro a quelle popolazioni colpite dalle conseguenze di discariche e sversamenti abusivi. Quasi ventuno anni sono passati da quando si è cominciato a proporre una nuova regolamentazione dei reati ambientali, arrivando al disegno di legge ora all'esame alla Camera dei deputati. Oggi siamo ad un passo dall'approvazione definitiva di un testo che ci porta semplicemente verso un Paese più giusto. E non può essere un comma o qualche imperfezione dell'articolato uscito dal Senato a fermare questo percorso. Si troveranno, penso, modo e tempi per procedere ai necessari aggiornamenti. Non credo ci potrà essere un'ulteriore possibilità.