Istituzioni
NON MIGLIORA LE ISTITUZIONI E FA MALE ALLA DEMOCRAZIA
La riforma costituzionale approvata in prima battuta da Lega e 5Stelle è una pessima riforma, un pasticcio, un obbrobrio. Una ferita alla democrazia parlamentare.
E per quale motivo? Solo per avere una stupida bandierina da sventolare durante la campagna elettorale sperando che la propaganda nasconda il disastro.
Nessun progetto riformista, nessuna riflessione sul ruolo e la funzione del sistema parlamentare. Si continua invece scientificamente, con metodo “chirurgico”, a colpire la democrazia rappresentativa, per come l’hanno scritta i nostri Costituenti.
Non è difficile intravedere un disegno pericoloso, che ha come unico obiettivo quello di restringere il ruolo e la funzione del Parlamento, allontanando ancora di più i cittadini dai loro rappresentanti.
Ovviamente non siamo contrari alla riduzione del numero dei parlamentari – come in maniera subdola vogliono far credere dalla maggioranza – visto che siamo stati noi i primi a proporlo con la riforma costituzionale della scorsa legislatura. Ma questo tema va affrontato nell’ambito di una riforma per rendere il sistema parlamentare più efficiente e rappresentativo.
Non si può mettere mano alla Costituzione, pensando che la questione dell’efficienza delle nostre istituzioni passi attraverso una semplice – e demagogica – riduzione delle spese, quando poi resta fermo l’impianto del bicameralismo perfetto.
COSA PREVEDE LA MODIFICA COSTITUZIONALE
La proposta di legge costituzionale, già approvata dal Senato in prima deliberazione il 7 febbraio 2019, dispone una riduzione pari al 36,5 per cento del numero dei parlamentari, passando dagli attuali 945 a 600. Più precisamente, il numero dei deputati passa da 630 a 400, compresi i deputati eletti nella circoscrizione Estero, che sono ridotti da 12 a 8 (articolo 56 della Costituzione). Il numero dei senatori elettivi, invece, è ridotto da 315 a 200, compresi i senatori eletti nella circoscrizione Estero, che passano da 6 a 4 (articolo 57 della Costituzione). Viene fissato a 5 il numero massimo di senatori a vita di nomina presidenziale (articolo 59, secondo comma, della Costituzione) mentre nulla cambia per quanto riguarda gli ex Presidenti della Repubblica senatori di diritto a vita.
CALPESTATI COSTITUZIONE E REGOLAMENTO PER IMPEDIRE IL DIBATTITO
Lega e 5 stelle hanno alzato un muro, prima al Senato e poi alla Camera, contro ogni possibilità di reale confronto, su una riforma costituzionale. Sapendo tra l’altro che il Pd non era contrario alla riduzione dei parlamentari. Ma il dialogo non serviva alla loro propaganda.
Sarebbe stato più logico e razionale poter discutere anche della forma del nostro bicameralismo, come d’altronde è sempre avvenuto in passato. Ogni volta che si è discusso di riforme istituzionali, la riduzione del numero dei parlamentari era conseguente ad una riforma del Parlamento.
Recentemente, la Corte costituzionale ha espressamente ribadito che il potere di emendamento attribuito “a ciascun membro delle Camere” (articolo 71 della Costituzione) trova innanzitutto il suo fondamento diretto in Costituzione, esercitabile tanto in Commissione che in Assemblea (articolo 72 della Costituzione), e attraverso l’esercizio di tale potere, sulla base di una disciplina procedurale rimessa ai regolamenti parlamentari, si concretizza l'attribuzione costituzionale alle Camere della funzione legislativa (articolo 70 della Costituzione), che altrimenti risulterebbe “ridotta a una mera funzione di ratifica di scelte maturate altrove”.
PIÙ LONTANI DAI CITTADINI
La riduzione del numero dei seggi e quindi degli eletti, indipendentemente dal sistema elettorale utilizzato, è destinata a ripercuotersi sull'estensione dei collegi o delle circoscrizioni elettorali, dovendo includere un numero di elettori corrispondente al nuovo rapporto tra rappresentanti e popolazione.
Con la drastica riduzione che si propone (del 36,5 per cento sia alla Camera che al Senato), rispetto ad altri Stati membri dell’Unione Europea con popolazioni di analoghe dimensioni, l’Italia diverrebbe il Paese con il rapporto maggiore tra numero di elettori e parlamentari, ovvero un deputato ogni 150 mila abitanti circa e un senatore ogni 300 mila abitanti. In rapporto alla popolazione oggi, invece, vi è un deputato ogni 96.006 abitanti circa; un senatore elettivo (senza considerare i senatori a vita e i senatori di diritto a vita) ogni 192.013 abitanti circa.
La riduzione del numero dei parlamentari incide inevitabilmente sulla rappresentatività del Parlamento. Tra l’altro, durante le audizioni è stato fatto notare che in un sistema politico-partitico come il nostro, estremamente instabile e diviso, la riduzione delle chances di adeguata rappresentanza di alcune posizioni politiche potrebbe avere significative conseguenze in termini di consenso e, dunque, di legittimazione delle assemblee rappresentative.