Oggi abbiamo votato la legge che disciplinerà la coltivazione e la somministrazione della cannabis per uso medico.
Questa legge ha avuto un percorso accidentato. Era nata, infatti, dalla volontà politica trasversale di legalizzare la coltivazione della cannabis a scopo ricreativo nel solco della cultura liberale e riformatrice delle componenti più progressiste del PD e di quasi tutti gli altri partiti dell’arco delle forze parlamentari.
Una legge sentita dai cittadini per mettere fine a decenni di sciagurate scelte proibizioniste e rozzamente repressive, una convergenza di intenti che si era trovata anche sulla scia della relazione della Direzione Nazionale Antimafia riguardante la possibilità di togliere linfa vitale alle mafie sottraendo ad esse, con la legalizzazione della cannabis, il loro principale introito, e dalle dichiarazioni di tantissimi esponenti del mondo intellettuale, scientifico e culturale del panorama nazionale ed internazionale.
Temevamo dall’inizio questo finale, e cioè che l’attuale composizione politica della maggioranza non permettesse di vincere tout court questa annosa battaglia di civiltà.
Non ho condiviso, pertanto, la scelta di non votare la proposta Giachetti, con tutta la portata rivoluzionaria che la contraddistingueva, ma l’appuntamento è solo rimandato.
Ritengo comunque un risultato importante l’aver portato a casa almeno uno degli obiettivi che ci eravamo prefissati: la disciplina della coltivazione e somministrazione della cannabis per uso terapeutico.
Tuttavia, come è stato per le unioni civili e per tante altre lotte sui diritti che questa legislatura ha condotto e che lascia in eredità al Paese, non possiamo rinunciare a percorrere anche quest’ultimo miglio per il riconoscimento del diritto naturale di scegliere nella piena libertà di ogni individuo.