“Il Governo ha dichiarato di voler ridurre fino ad azzerare i fondi pubblici destinati all'editoria. Se davvero lo faranno, si ridimensionerà fino a cancellarla una fetta di democrazia”. Lo scrive su Facebook Marco Di Maio, deputato del Partito democratico, a proposito della progressiva cancellazione dei fondi all’editoria annunciata dal governo.
“Quei contributi – spiega - non vanno ai ‘grandi’ giornali (Repubblica, Corriere, Carlino, La Stampa, Il Messaggero, ecc.), non vanno a testate di partito o a finti giornali come è avvenuto fino a prima della riforma approvata nel 2016. Non è così, anche se la propaganda governativa vuol far credere altro. No, quelle del Fondo per l'editoria sono risorse destinate a 54 testate generaliste e per lo più locali, 121 settimanali in gran parte radicati sui propri territori o relativi a minoranze linguistiche, 87 periodici per gli italiani all'estero, 33 testate per non vedenti, 10 giornali di associazioni di consumatori. Complessivamente a 305 soggetti vengono erogati 63 milioni (un terzo di quanto veniva elargito prima della riforma), in base a requisiti tra cui il numero di copie realmente vendute. Una forma di contributo pubblico al sistema editoriale è necessario per garantire un pluralismo che il mercato, da solo, non è in grado di assicurare. Stiamo parlando di informazione, uno dei patrimoni più importanti di cui si possa disporre in un Paese e in una comunità. Non è un caso se in molti paesi europei esiste qualcosa di analogo (e con importi superiori)”.
“Si è stimato che l'azzeramento del fondo per l'editoria comporti la perdita di migliaia di posti di lavoro in Italia, con ricadute in termini di costi da sostenere per lo Stato sotto forma di ammortizzatori sociali, ben superiori rispetto alla consistenza complessiva del fondo. Senza considerare che in una comunità locale il giornale è un punto di riferimento per tutti, senza distinzioni di parte politica”, conclude.