• 10/03/2022

Con l’approvazione oggi alla Camera, in prima lettura, della legge sul suicidio medicalmente assistito la politica dà prova di non abdicare al proprio ruolo, alla propria responsabilità. E’ stata approvata una legge di civiltà che dà risposta alla sofferenza di tantissime persone colmando un vuoto normativo e mettendo al riparo dall’incertezza delle decisioni affidate alle aule di tribunale. Una legge che è il frutto del tentativo della più ampia condivisione perché su temi tanto difficili e delicati la ricerca di ciò che unisce vale più che in ogni altro caso e che si muove all’interno del perimetro dei principi sanciti dalla sentenza della Corte costituzionale. Il più importante di questi è che il diritto alla vita è il primo dei diritti inviolabili dell'uomo, da tutelare sempre, senza distinzione anche e soprattutto quando le persone sono in difficoltà, quando la loro condizione è più fragile. Dalla tutela rigorosa di questo diritto alla vita discende la necessità di aiutare, di curare chi soffre, di alleviare la sofferenza. Ma quando la cura è stata prestata, quando ogni possibile sforzo è stato fatto allora vi è il dovere di non voltarsi dall'altra parte di fronte ad una sofferenza intollerabile, davanti ad una libera richiesta di essere aiutati a concludere dignitosamente la propria vita. Una legge su materie così delicate, che interpellano la coscienza di tutti e di ognuno, difficilmente incontra un consenso generale ma, ricordato che la legge approvata la scorsa legislatura contro l’accanimento terapeutico trovò forti contestazioni mentre oggi viene ritenuta praticamente da tutti un’ottima legge, l’incapacità del Parlamento di colmare il vuoto normativo avrebbe sancito un grave fallimento della politica e contribuito ad alimentare la sofferenza ed il dolore di tante persone e delle loro famiglie.

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