• 11/12/2020

“Il processo per il rapimento, le torture e l’omicidio di Regeni si farà, e si farà in Italia. Grazie al lavoro della Procura di Roma ci sono 4 indagati, coi loro nomi e cognomi, il generale Sabir Tareq, i colonnelli Usham Helmy e Ather Kamal, il maggiore Magdi Sharif. Senza la presenza degli accusati, e soprattutto senza la minima ammissione di colpevolezza da parte di quelle autorità egiziane a cui tutti i sospettati appartengono, la verità processuale non vorrà dire giustizia. Richiamare l’ambasciatore non può essere l’unica e sola risposta. Sarebbe imperdonabile se con il passare del tempo le relazioni con l’Egitto scivolassero in una consuetudine di rapporti simile a quella precedente all’omicidio di Regeni. Qui non si tratta solo dell’onore della patria, che pure non è poca cosa. Si tratta di realismo politico, di lucidità sulle conseguenze delle decisioni che si prendono. Come ha detto il presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Regeni, Erasmo Palazzotto, ‘uno Stato che non è in grado di proteggere un suo cittadino all’estero o di ottenere giustizia sulla sua morte, è uno Stato che perde credibilità e affidabilità’. Non condizionare il proseguimento delle nostre relazioni con l’Egitto all’ottenimento della giustizia su Regeni renderebbe la perdita di credibilità del nostro Paese inesorabile e fatale”.
Così la capogruppo dem in commissione Esteri alla Camera, Lia Quartapelle, in un commento sull’Huffington Post.