23 anni, 26 anni: sono vite giovani quelle che si spezzano nelle carceri italiane. Matteo Concetti ad Ancona e Stefano Voltolina a Padova sono i primi suicidi in carcere di quest'anno: ragazzi giovani, le cui condizioni di salute mentale già fragili non hanno potuto che deteriorarsi fino all'estremo, in un ambiente che evidentemente non solo le trascura, ma le compromette irrimediabilmente.
E' un circolo vizioso che si ripete: il carcere non è fatto per chi sta male. Il carcere fa stare sempre peggio. Disumanizza, isola, abbandona. In carcere si è in troppi per prestare cura al male di ciascuno. Non c'è recupero possibile. Per gli scarti della società, non può esserci speranza: questo è il triste messaggio che si solleva da questi ennesime morti.
Al dramma dei suicidi in carcere e alle condizioni di vita drammatiche di chi è detenuto in Italia non pensa nessuno, se non in qualche fugace dichiarazione di fine anno, a commento di numeri sempre peggiori. Sono lacrime di coccodrillo quelle di un governo che inventa ogni giorno un reato nuovo, che trova nel panpenalismo una soluzione a ogni problema sociale, quelle di una destra che non si azzarda a sprecare tempo e risorse per tutelare la popolazione carceraria in Italia, ma che fantastica, quando può, sull'abolizione del reato di tortura. Quelle di chi oggi, come per tutto il resto dell'anno, su queste morti starà in silenzio. Lontani dagli occhi, lontani dal cuore.