“Partendo dai testi normativi presentati da diverse forze politiche, ed anche di iniziativa popolare, sui temi del fine vita, abbiamo ritenuto opportuno concentrarci sul perimetro segnato dai principi sanciti dalla Corte costituzionale, ritenendo che quello fosse il percorso più idoneo ed efficace per cercare di raggiungere il traguardo. Un sentiero stretto, non facile, che fin da subito abbiamo dichiarato aperto al confronto, all’arricchimento, alla mediazione tra i gruppi parlamentari. Cercando questo terreno di condivisione, io penso che si possa provare a partire da alcuni principi, che la Corte richiama, e che io credo possano trovarci d’accordo in larga misura, al di la delle spesso artificiose contrapposizioni, tra laici e cattolici tra destra e sinistra. Il primo e più importante è che la nostra democrazia, la nostra società, la nostra comunità civile si fonda sul diritto alla vita, come primo dei diritti inviolabili dell’uomo. Ma accanto a ciò, quando la cura è stata prestata, quando ogni possibile sforzo è stato fatto, quando ogni dovere di solidarietà è stato adempiuto, il dovere di non voltarsi dall’altra parte dinanzi ad una sofferenza intollerabile, davanti ad una libera ancorché sofferta richiesta di essere aiutati a concludere dignitosamente la vita. Sapendo, come dice la Corte, che la scienza medica e la tecnica ci mettono di fronte sempre più alla possibilità di tenere in vita persone in condizioni disperate, inimmaginabili solo pochi anni fa. Le condizioni da accertare con rigore sono quelle poste dalla Corte per richiedere l’aiuto al suicidio: la patologia irreversibile, le sofferenze intollerabili, i trattamenti di sostegno vitale; e alcuni prerequisiti, ovvero la piena capacità di assumere decisioni libere e consapevoli, e il pieno coinvolgimento in un percorso di cure palliative, di terapie del dolore”.
Così il capogruppo dem in commissione Giustizia alla Camera e relatore della Pdl sul Fine vita, Alfredo Bazoli, intervenendo in Aula nella discussione generale.