“A Giorgia Meloni che in visita in Tunisia si appresta a stringere la mano a un autocrate, il Presidente Kaïs Saïed, vorrei dare soprattutto un consiglio: leggere quel che ha scritto ieri sul quotidiano «la Repubblica» Patrick Zaki, lo studente egiziano al quale il regime di Al-Sisi continua a negare la piena libertà sulla base di accuse del tutto inconsistenti.
O almeno farsi dire dai deputati del proprio partito quello che emerge dalle audizioni sulla Tunisia che si stanno tenendo in Commissione Esteri alla Camera.Perché dò questo consiglio alla Presidente Meloni? Perché non voglio che il mio Paese, patria del diritto e di una Costituzione pienamente democratica, si ritrovi, per meri calcoli elettorali o per inconfessabili simpatie politiche, a sostenere un regime che del diritto e della democrazia sta facendo carta straccia.
Le cosiddette «primavere arabe» iniziarono nel 2011 proprio dalla Tunisia e quel Paese rappresentò un faro per tanti giovani arabi ma anche per noi europei, perché, con il pieno coinvolgimento della società civile, dette vita a una Costituzione molto avanzata fondata sul metodo democratico e su principi di uguaglianza, di inclusione e di pieno riconoscimento dei diritti sociali e civili.
Oggi, purtroppo, quella Tunisia aperta e democratica non esiste più. Al suo posto si è insediato un presidente che ha progressivamente accentrato tutti i poteri nelle sue mani, soffocando il dissenso, arrestando proprio quei sindacalisti artefici della nuova Costituzione e insieme a loro il capo del più grande partito di opposizione, mettendo a tacere la libera stampa e scatenando una feroce ondata razzista contro gli immigrati subsahariani indicati come lo strumento di un complotto internazionale volto, pensate un po’, alla «sostituzione etnica».
Il sogno della giovane democrazia tunisina si è trasformato in un incubo. Ed è in questo incubo che si reca oggi la Presidente Meloni.
Il governo italiano, però, non mostra la benché minima preoccupazione nei confronti della svolta autoritaria in corso in Tunisia. L’unica cosa che gli interessa è che, costi quel che costi, Saïed impedisca la partenza di migranti verso l’Italia. Può ragionare così un grande Paese che ha una lunga tradizione democratica?
E il sostegno all’autocrate Saïed non è solo a parole: l’Italia si batte affinché il Fondo Monetario Internazionale aiuti economicamente il governo di Tunisi senza porre le necessarie condizioni di rispetto dei diritti democratici. Un atteggiamento grave, che va stigmatizzato con forza.Ma non vorrei, perché sarebbe ancora più preoccupante, che oltre all’ossessione di fermare i migranti – cosa che non riescono a fare nonostante il decreto contro le Ong, il decreto «Cutro» e la dichiarazione dello stato di emergenza – questa spinta verso Saïed derivi anche da una certa eco che risuona tra le due sponde del Mediterraneo: pure qui da noi qualcuno di molto vicino a Giorgia Meloni ha evocato la «sostituzione etnica»; la retorica contro la società civile e le Ong accusate di essere strumento di complotti stranieri l’abbiamo sentita in Italia oltre che in Tunisia, e pure qui da noi, da parte della destra al governo, ogni tanto spunta una certa insofferenza per la separazione dei poteri e per le istituzioni indipendenti e di garanzia chiamate a controllare il potere politico.
Non sto dicendo che Giorgia Meloni abbia delle affinità con Saïed. Ma è un fatto che, come nei mesi scorsi diversi ministri del suo governo, anche lei si precipiti a rendere omaggio a un personaggio che sta calpestando la libertà e il benessere del proprio popolo. E questo non fa bene all’immagine e alla dignità del nostro Paese.
A proposito di patriottismo”. Lo scrive su facebook la deputata del Pd, Laura Boldrini, componente della commissione Esteri di Montecitorio.