“Il rapporto Made in Immigritaly di Fai Cisl e Centro Studi Confronti, presentato su mia iniziativa oggi alla Camera, mette nero su bianco una verità che la politica, soprattutto al governo, continua a eludere: l’agroalimentare italiano si regge strutturalmente sul lavoro delle persone immigrate. I numeri non lasciano spazio a interpretazioni. Nel settore agricolo lavorano circa 362mila persone straniere regolarmente occupate. Esse coprono il 31,7% delle giornate lavorative complessive: quasi un giorno di lavoro agricolo su tre è svolto da un lavoratore immigrato. Senza lavoro migrante intere filiere non funzionerebbero. Ma a questa verità economica non corrisponde una verità politica. È qui che entra in gioco la responsabilità del governo. Si moltiplicano gli annunci sulla ‘lotta al caporalato’, ma i risultati concreti restano drammaticamente insufficienti”.
Così Stefano Vaccari, segretario di Presidenza della Camera e componente della commissione Agricoltura, intervenendo alla presentazione della ricerca “Made in Immigritaly” curata da Maurizio Ambrosini, Rando Devole e Paolo Naso, sotto la guida di Claudio Paravati, direttore del Centro Studi Confronti, dove hanno partecipato anche Antonella Forattini, capogruppo Pd in commissione Agricoltura, Alessio Mammi, assessore alle Politiche Agricole della Regione Emilia-Romagna, Onofrio Rota, segretario generale della Fai Cisl Nazionale e Sauro Rossi, segretario confederale della Cisl.
“Oltre il 60% delle aziende agricole controllate - ha aggiunto Vaccari - presenta irregolarità. Si stima che circa 230mila lavoratori agricoli siano a rischio grave di sfruttamento, e nove su dieci sono persone di origine straniera. Il caporalato non è un residuo del passato. In questo contesto c'è da registrare anche il fallimento del sistema dei flussi e del click day, figlio di una impostazione ideologica e sbagliata. Occorrerebbe una scelta di responsabilità, a cominciare dalla difesa della dignità del lavoro agricolo che significa qualità del cibo, tenuta dei territori rurali, l’idea stessa di Made in Italy come eccellenza fondata sul lavoro giusto. Allora sì - ha concluso - che potremo valorizzare ulteriormente la cucina italiana quale patrimonio dell'Unesco, anche da un punto di vista etico e dei diritti”.