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Enrico Berlinguer

11/06/2024

40° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI ENRICO BERLINGUER

 

HA ANTICIPATO TUTTI I PRINCIPALI CAPITOLI DELLA MODERNITÀ: PACE, DIRITTI CIVILI, FEMMINISMO, AMBIENTALISMO 

 

Sono passati 40 anni dal più grande funerale di massa della storia del nostro Paese, 40 anni eppure la figura di Berlinguer appare agli occhi di tanti come un esempio vivo. Lo si coglie in questi giorni nelle piazze, nei teatri, nei libri che lo raccontano. Un affetto mai assopito che non è frutto della nostalgia ma la presa di coscienza di ciò che è venuto a mancare. Berlinguer è stato un comunista italiano dove l'aggettivo non è dettaglio ma sostanza.

Nei 12 anni della sua segreteria ha coltivato una sola strategia: avvicinare il Partito Comunista all'esercizio di una responsabilità di governo nazionale del Paese ed è stato il leader che, dopo la rottura del 1947, si è più avvicinato a quel traguardo. Una sola strategia ed un solo interlocutore nella Democrazia Cristiana: Aldo Moro. Con la morte di Moro quella strategia va incontro ad un paradosso perché Berlinguer prende atto che la via del governo gli è preclusa. 

Un leader ora orfano di una strategia a lungo coltivata ma cosciente che dietro di lui c'è ancora un popolo pronto a seguirlo. Questa è la condizione che accompagna gli anni finali della vita di Berlinguer ed è proprio in questo passaggio di tempo che una generazione scopre quel leader così anomalo nello stile, nella sobrietà e in una lingua corredata dall'eleganza dell'accento sassarese. E quella generazione si innamora di lui. 

Berlinguer fa la scelta più difficile e dolorosa, decide di proiettare quel patrimonio di consenso e passioni dentro un tempo storico che era di là da venire. Sono gli anni della denuncia e della proposta: con Eugenio Scalfari accusa i guasti di partiti incistati nello Stato e nel potere. Alcuni anche dentro il suo partito avrebbero giudicato le sue parole una deriva moralistica, minoritaria, ma erano esattamente l'opposto. Erano la denuncia di una decadenza che avrebbe portato al collasso il sistema politico.

Negli anni susseguenti Berlinguer ha schiuso porte su tutti i principali capitoli della modernità: la pace, le frontiere dei diritti civili, il pensiero femminista, le radici dell'ambientalismo.

Quella stagione e quell'uomo ebbero la forza di dettare un'agenda che ogni altra cultura e movimento – anche quelli presenti in questa Aula – avrebbero coltivato solamente nel dopo. Non era l'utopia di una mente visionaria ma la testimonianza di un pensiero non ripiegato unicamente sulla conquista del potere. Fu la ricerca di un senso che la politica deve coltivare e che oggi milioni di giovani cercano. La bussola di questa ricerca era la difesa e la promozione degli umili, degli ultimi, dei ceti più popolari. Non c'era alcun moralismo in quelle battaglie ma solo il primato di una questione sociale che ieri come oggi è prima di tutto un'enorme questione morale.

Nello scorcio finale della sua vita, Berlinguer fu messo in minoranza dalla direzione del suo partito, ma se da un lato perse il consenso di un pezzo della classe dirigente, dall'altro conquistò la stima e l'affetto di un popolo. 

C'è stato l'uomo Berlinguer – ma su questo dovrebbero parlare le figlie Bianca e Laura – e noi possiamo rispettare il pudore dei ricordi di chi prima del leader ha conosciuto e amato il padre.

Fu Mario Melloni, in arte Fortebraccio a salutarlo sulla prima pagina de L'Unità con le parole più sincere e profonde: ‘È stato un uomo politico. Vi pare una banalità?’ Non era una banalità allora e non lo è oggi a 4 decenni di distanza.

‘Di cosa va più orgoglioso segretario Berlinguer?’ gli chiese Giovanni Minoli nella sua ultima intervista a Mixer. “Di non aver mai rinunciato – rispose – agli ideali della mia giovinezza”.

Fosse solo per questo, noi venuti dopo, possiamo dire solamente grazie”.

Così il deputato dem Gianni Cuperlo intervenendo alla Camera nella commemorazione del 40° anniversario della morte di Enrico Berlinguer.