“Non si tratta della separazione delle carriere dei magistrati, perché quella esiste già ed è operativa dal 2020 con la riforma Cartabia. Qui l’obiettivo vero è un altro: smantellare la Carta costituzionale e ledere l’indipendenza e l’autonomia della magistratura”. Così Debora Serracchiani, deputata e responsabile nazionale Giustizia del Pd.
“La riforma proposta dalla maggioranza – spiega l’esponente dem - ha un disegno politico preciso: Si vuole colpire l’equilibrio tra i poteri dello Stato e indebolire una magistratura che deve porre limiti alla politica. In sostanza, si vuole una politica che scelga i giudici e dica alla magistratura cosa può e cosa non può fare. Il Partito Democratico è già al lavoro sul territorio, stiamo organizzando incontri e momenti di formazione, Regione per Regione, per spiegare nel merito e nel significato politico questa riforma. Sta nascendo in questi giorni un grande comitato per il No, perché qui è in gioco la Costituzione e la nostra idea di democrazia”.
“Una vittoria del No – conclude Serracchiani - vuol dire salvaguardare la democrazia liberale, la separazione dei poteri e la Carta costituzionale così come l’hanno voluta i costituenti. Vuol dire difendere una magistratura autonoma, fondamentale per garantire il rispetto delle regole. Se si fosse trattato davvero di discutere la separazione delle carriere, avremmo partecipato volentieri al confronto, portando anche nostre proposte, ad esempio sull’Alta Corte disciplinare. Ma questa riforma interviene in un contesto completamente diverso, qui si colpiscono i poteri previsti dalla Costituzione. È l’idea che aveva Giorgio Almirante della magistratura, ovvero interpretare la legge secondo la volontà di chi ha vinto le elezioni. È una visione pericolosa, che va contrastata”.
“Oggi a Bruxelles tutte le organizzazioni professionali agricole saranno presenti per una grande manifestazione a sostegno dell’agricoltura europea e italiana. Una mobilitazione che pone una questione politica centrale: il futuro della Politica Agricola Comune non può essere messo in discussione né sul piano delle risorse, né su quello della sua autonomia. Nel confronto sul prossimo Quadro finanziario pluriennale, qualsiasi ipotesi di riduzione dei fondi destinati alla Pac o di loro accorpamento in strumenti indistinti rappresenterebbe un grave errore strategico”.
Così i componenti Pd della commissione Agricoltura della Camera, Antonella Forattini (capogruppo), Stefano Vaccari, Maria Marino, Nadia Romeo, Andrea Rossi.
“La Politica Agricola Comune - aggiungono - è una politica fondativa dell’Unione europea: garantisce reddito agli agricoltori, sicurezza alimentare ai cittadini, presidio dei territori e una transizione ecologica che sia realmente sostenibile anche dal punto di vista sociale ed economico. La richiesta che arriva dal mondo agricolo è chiara e legittima: stabilità, certezza e continuità degli strumenti della Pac. Non si tratta di difendere rendite di posizione, ma di preservare una politica comune capace di affrontare le sfide globali, dal cambiamento climatico alla competizione internazionale, senza scaricarne i costi sugli agricoltori. Per questo è necessario respingere riforme che, sotto il pretesto della razionalizzazione o della semplificazione, finiscano per indebolire la governance e l’efficacia della Pac, compromettendone il ruolo strategico per il futuro dell’agricoltura europea e per la sovranità alimentare dell’Unione.
L’Europa che chiede più responsabilità ai suoi agricoltori - concludono - non può essere l’Europa che li lascia soli”.
"Bisogna riaccendere i riflettori sulla condizione del popolo saharawi e spingere la comunità internazionale a lavorare per una prospettiva di pace. E potrà essere una pace solida e duratura se si baserà sull’autodeterminazione dei saharawi, da 50 anni privati della loro terra.
È per questa ragione che oggi, al Comitato diritti umani della Camera, abbiamo audito la rappresentante in Italia del Fronte Polisario, Fatima Mahfud insieme a Nadia Conti e Valentina Roversi, rispettivamente presidente e vicepresidente della Rete Saharawi, Francesca Doria, Coordinatrice gruppo diritti umani della Rete Saharawi e Giulia Olmi, Coordinatrice di progetti per il popolo saharawi all’interno del Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli (CISP).
Con le nostre interlocutrici abbiamo parlato della condizione del Sahara Occidentale, occupato dal Regno del Marocco fin dal 1975, e della situazione dei diritti umani sia dei 170mila rifugiati nei campi del deserto algerino, sia dei saharawi che vivono nel territorio occupato dal Marocco.
Dopo numerose prese di posizione sia delle Nazioni Unite che della Corte europea di giustizia a favore dell’autodeterminazione del popolo saharawi e di un referendum per decidere il futuro del territorio attualmente occupato dal Marocco, una recente Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu mette invece alla base dell’avvio di negoziati di pace la proposta unilaterale di Rabat che prevede semplicemente l’autonomia del Sahara Occidentale all’interno del Marocco. Una prospettiva che come è noto non è condivisa dal Fronte Polisario.
Nel frattempo, si aggravano le condizioni di vita nei campi profughi algerini, dove si vive soltanto grazie ad aiuti internazionali che si riducono sempre di più. Nel territorio occupato dal Marocco continuano a consumarsi discriminazioni e repressione verso le voci che chiedono il rispetto dei diritti del popolo saharawi, in particolare giornalisti e attivisti.
Purtroppo l’opinione pubblica mondiale è all’oscuro di questa realtà anche perché i mezzi di informazione non si occupano del Sahara Occidentale.
In un momento in cui il diritto internazionale è sotto attacco, principi come l’autodeterminazione dei popoli devono tornare al centro dei dibattiti. Vale per i palestinesi, per i curdi e vale anche per i saharawi". Lo dichiara Laura Boldrini, deputata Pd e Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo.
"Il ministro Calderoli ancora una volta ha insultato migliaia di italiani. Affermare in Parlamento che vi sono comuni che hanno usufruito impropriamente di vantaggi previsti per la montagna è uno schiaffo a chi vive in territori che già oggi soffrono per la carenza di servizi e risorse. Il Pd chiede che la nuova classificazione dei comuni montani venga rivista e corretta e che questo percorso veda protagonisti gli enti locali che Calderoli ha voluto umiliare con una scelta inutilmente centralista. Per il ministro evidentemente esiste una montagna di serie A e una di serie B in piena coerenza con le sue scelte in tema di autonomia differenziata e con quelle del governo Meloni che da tre anni aumenta i divari territoriali in un paese già fortemente disuguale. Per il Pd la montagna sarà sempre una risorsa strategica da valorizzare non un’eccezione da ridimensionare, e ci auguriamo che nel confronto con la Conferenza delle Regioni in questi giorni si ascolti il grido di allarme dei territori". Lo dichiarano in una nota congiunta i deputati PD Sarracino, Girelli, Curti, Ferrari, Fornaro, Ghio, Gribaudo, Marino, Roggiani, Simiani, Vaccari e Niccolai.
“Il ministro Calderoli passerà alla storia non solo per il maldestro tentativo di dividere l'Italia con l'Autonomia differenziata, ma per aver provato a dividere anche la montagna, le Alpi e gli Appennini. Ma oggi il ministro realizza anche un'impresa riuscita solo a pochi: fare unire tutto il Paese contro di lui. Tutti, da destra a sinistra, senza esclusioni, contestano la nuova riclassificazione dei comuni montani”. Così il deputato e responsabile Coesione territoriale del Pd, Marco Sarracino durante il Question time con il ministro Calderoli.
“Ci domandiamo – continua il parlamentare dem - come le è venuto in mente di tagliare risorse e servizi, dalla scuola alla sanità, a 1200 comuni italiani? La risposta è purtroppo ovvia: il governo Meloni è quello che se la prende con chi è più debole, che odia chi è più fragile, che trasferisce risorse dai poveri ai ricchi e che aumenta i divari territoriali”. “Il Paese intero e il Pd non consentiranno l'ennesima vergogna”, conclude Sarracino.
“Ci riteniamo offesi come esponenti della montagna dalla risposta del ministro Calderoli rispetto ad una lettura dell'uso improprio delle risorse negli ultimi anni per i comuni montani. L'azione del governo sulle aree montane è una presa in giro: si annunciano leggi a favore della montagna e nel frattempo si tagliano le risorse, eliminando molti comuni dall'annovero per far sembrare che i fondi stanziati siano maggiori per i rimanenti. Ci sono tanti comuni piccoli, come Preseglie in provincia di Brescia, che dai nuovi criteri annunciati dall'esecutivo saranno esclusi dalla classificazione di montagna solo in maniera statalista e secondo algoritmi o criteri di presunti esperti che non conoscono minimamente la storia della montagna, le sue aggregazioni e la sua dinamica legata alla sussidiarietà e alla ridistribuzione delle risorse”. Lo dichiara il deputato Pd Gian Antonio Girelli in replica al ministro Calderoli durante il Question time alla Camera.
“La risposta del ministro Calderoli è irrispettosa nei confronti dei comuni montani e del principio di autonomia. Bastava condividere la classificazione con gli stessi comuni per costruire dal basso le nuove regole, invece di investire solo nel centralismo regionale che si somma a quello statale di cui la montagna non ha alcun bisogno”, conclude Girelli.
"Il modello Valditara per la scuola punta a limitarne sempre più l'autonomia, fino al punto di mandare ispezioni negli istituti che hanno organizzato incontri con Francesca Albanese. Un'iniziativa da polizia politica, più che da ministro dell'istruzione. Sfugge, probabilmente, a Valditara che Albanese è Relatrice speciale dell'Onu per i territori occupati della Palestina e riveste dunque un ruolo istituzionale. Quale sarebbe la ragione per cui l'incontro con una figura istituzionale deve dare origine a un'ispezione del ministero? Perché Albanese dice cose che al ministro Valditara e al governo non piacciono?
È l'ennesima riprova di quanto male sopportino posizioni diverse dalle loro e quanto vogliano omologare perfino scuola, insegnanti e studenti ai loro diktat.
Ci opporremo a questa logica da regime in tutte le sedi necessarie". Lo dichiara Laura Boldrini deputata PD e Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo.
“Valditara preferisce il mestiere di epuratore a quello di Ministro della Repubblica. E’ di oggi la notizia che manderà gli ispettori in alcune scuole toscane che hanno ospitato conferenze con Francesca Albanese. La relatrice dell’Onu per i territori occupati della Palestina, una figura istituzionale, non una passante. D’altra parte, la circolare ministeriale inviata ai dirigenti scolastici nella stessa giornata di oggi richiama a linee guida ferree per gli inviti alle conferenze all’interno delle scuole. Un vero e proprio attacco all’autonomia scolastica attraverso la museruola ai docenti, agli studenti e ai presidi. Presenterò un’interrogazione parlamentare per chiedere se siamo davanti alle prove generali di un regime”.
Così il capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, Arturo Scotto.
“Con l'approvazione di questa legge, andrete a limitare se non a impedire l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole, ignorando, come sempre, quanto gli studenti, le famiglie chiedono. Servirebbe invece parlare, educare e prevenire. Azioni fondamentali che il ministro Valditara continua a disattendere”. Così la deputata e Capogruppo Pd in Commissione Cultura, Irene Manzi annunciando il voto contrario dei dem al ddl sul Consenso informato.
“Di fronte all’emergenza educativa che tocca le famiglie e la scuola servirebbero percorsi stabili di educazione sessuo-affettiva , mentre l'esecutivo e la maggioranza si chiudono nel bunker dell'oscurantismo, riducendo l'autonomia scolastica e burocratizzando relazioni tra scuola e famiglia che dovrebbero ispirarsi ad un clima di serenità e fiducia”.
“L'educazione è un processo collettivo che coinvolge tutti gli attori della comunità educante: gli insegnati, gli studenti, le famiglie e le istituzioni. Con questo provvedimento e con tutti quelli presi fino ad oggi dal ministro Valditara, il governo va contro questo processo, sfiduciando di fatto l’autorevolezza dei docenti in una battaglia che mira a creare divisioni anziché comunità educanti”, conclude Manzi.
Trovo inaccettabile che la Presidente del Consiglio intervenga sulle scelte autonome di una libera istruzione accademica. Non entro nel merito della scelta dell' Ateneo bolognese sul corso per allievi ufficiali, scelta che per altro l' Università ha motivato sul piano tecnico. Ricordo però alla Presidente Meloni che l' art 33 della Costituzione garantisce l' autonomia delle istituzioni di "alta cultura, università ed accademia". Un principio fondamentale di libertà e democrazia". Così Andrea De Maria, deputato PD
“Oggi molte studentesse e molti studenti con disabilità non ricevono gli stessi servizi di assistenza all’autonomia e alla comunicazione (ASACOM) a seconda della regione in cui vivono. La qualità, la continuità e perfino il modo in cui vengono scelti gli assistenti cambiano da territorio a territorio. Questo significa che un diritto fondamentale, quello allo studio e all’inclusione, non è ancora davvero uguale per tutti.
Per questo ho presentato una proposta di legge che mira finalmente a creare un sistema nazionale uniforme. La legge prevede un ruolo statale per gli assistenti, criteri uguali in tutta Italia per la loro formazione e selezione, e un finanziamento a carico dello Stato, così da eliminare le disparità tra territori. Il personale sarà poi assegnato agli enti locali, ma con regole chiare e comuni.
L’obiettivo è semplice: fare in modo che ogni alunna e ogni alunno con disabilità, ovunque viva, abbia garantiti gli stessi diritti e lo stesso livello di supporto a scuola. L’inclusione non può dipendere dal codice postale: è un diritto che lo Stato deve assicurare a tutti”. Lo dichiara la deputata del Pd, Giovanna Iacono, che ha presentato una proposta di legge alla Camera sull’Asacom.
“Sulla violenza contro le donne, gli uomini non devono sentirsi chiamati in causa per solidarietà ma solo per responsabilità: è a noi uomini che spetta di cambiare”. Lo dichiara in Aula il deputato Pd, Andrea Rossi durante la discussione generale del disegno di legge sul delitto di femminicidio. “La violenza contro le donne – continua il parlamentare dem - non è un'emergenza improvvisa ma un fenomeno radicale strutturale e quotidiano, un sistema che mette in discussione la libertà e l'autonomia delle donne. E non si può dire 'mai più' se non si affronta il perché il numero di femminicidi non diminuisce”. “Oggi in Parlamento – aggiunge Rossi - con l'approvazione del reato di femminicidio si fa un passo comune e si afferma che questo non è un omicidio come gli altri né un'aggravante”.
“Ma la repressione non è sufficiente a invertire la rotta e cambiare la radice culturale che ancora oggi si chiama patriarcato, quella struttura che nega l'autonomia delle donne. È l'educazione la risposta: l'educazione al rispetto, al consenso, alla affettività e alla sessualità. Se non offriamo ai nostri giovani gli strumenti educativi minimi, il vuoto verrà colmato dai social, dalle polarizzazioni e dai modelli tossici che parlano più forte delle istituzioni”, conclude Rossi.
“La valenza nazionale di questa tornata elettorale è sotto gli occhi di tutti. La maggioranza ha tentato in ogni modo, anche facendo leva sui propri incarichi istituzionali, di cercare un consenso che però non si è materializzato. Non sono riusciti a fermare la domanda di cambiamento che i cittadini hanno espresso con forza. La sconfitta di Cirielli in Campania ne è la prova più evidente, e il risultato straordinario di Decaro, che doppia il centrodestra in Puglia, lo conferma ulteriormente. La linea unitaria promossa dalla segretaria si è rivelata una scelta vincente: quando il centrosinistra si presenta con una proposta comune, solida e coerente, gli elettori riconoscono credibilità, serietà e visione. Il segnale che arriva dal Mezzogiorno è chiaro così come il messaggio di condanna all’autonomia differenziata e al taglio dei fondi: la partita in vista delle prossime politiche è completamente aperta.” Così una nota del deputato democratico Enzo Amendola.
“Il segnale che arriva da Puglia e Campania è inequivocabile: dal Sud si è alzata una spinta politica che il governo non può ignorare. La caduta di Cirielli e la straordinaria vittoria di Decaro mostrano che il consenso attorno al governo si sta incrinando e che la corsa verso il 2027 resta apertissima. Il progetto unitario promosso dalla segretaria ha dimostrato la propria solidità: quando le forze del centrosinistra si presentano con una proposta comune e coerente, gli elettori ne colgono la serietà e l’affidabilità. I risultati ottenuti nelle due regioni del Sud raccontano di una comunità che chiede un cambio di passo e che non accetta più politiche che la penalizzano. Il voto ha segnalato con forza il rifiuto delle scelte portate avanti dal governo Meloni, a partire dall’autonomia differenziata, percepita come una misura che rischia di allargare i divari invece di ridurli.” Così una nota del deputato democratico Marco Lacarra.