La Camera,
premesso che:
quello vissuto dalla popolazione yazida è un dramma su cui si erano accesi, qualche anno fa, molto brevemente, i riflettori dei media internazionali, per poi essere tuttavia immediatamente dimenticato;
gli Yazidi sono un'antichissima popolazione di prevalente lingua curda/yazida presente soprattutto nell'area mesopotamica e sono considerati «kuffar», cioè infedeli, dall'estremismo islamista. La loro religione è una sorta di sincretismo nato dal contatto e dalla contaminazione di diversi culti, compresi quelli degli antichi Sumeri e Babilonesi. Nei loro confronti è stato posto in essere un programma di eradicamento mirato e sistematico in quanto gruppo etnico;
il 3 agosto 2014 i combattenti di Daesh (ISIS), nel momento culminante della loro politica di espansione territoriale, penetrarono nei luoghi dove vive la maggioranza degli Yazidi e cioè nel territorio del Sinjar, nel Nord dell'Iraq e al confine con la Siria, anche grazie alla fuga delle forze di sicurezza presenti nell'area;
quel giorno i militanti di Daesh massacrarono più di 5000 persone, tra cui molti anziani, li gettarono in fosse comuni e rapirono 6417 donne, bambine e bambini per ridurli in condizioni di schiavitù: le donne come schiave del sesso e i bambini per essere indottrinati e addestrati come soldati dell'esercito del califfato. Tra le persone rapite circa 3700 sono sopravvissute mentre 2717 di loro sono ancora disperse e 2745 bambine bambini sono rimasti orfani;
due settimane dopo l'assalto di Daesh veniva rinvenuta la prima fossa comune che rivelò al mondo questo genocidio;
secondo il Dipartimento iracheno che indaga sulle fosse comuni, ne sono state scoperte 92 in Sinjar e nei territori circostanti e 68 in templi e santuari;
una parte di coloro che riuscirono a fuggire ha cercato riparo sulla montagna di Shengal ma, durante questo esodo, centinaia di donne, anziani e bambini, sono morti di fame e di sete;
il numero di Yazidi in Iraq è tuttora di 725.000 persone, ma 260.000 sono ancora sfollate in altri governatorati e almeno 200.000 si sono rifugiate all'estero dopo il genocidio;
dopo la caduta delle roccaforti Daesh in Siria (Raqqa) e in Iraq (Mosul), molti degli Yazidi fuggiti all'estero hanno iniziato a rientrare nei loro luoghi d'origine ma sono ancora tanti gli sfollati che vivono ormai da 9 anni nei campi profughi nel Kurdistan iracheno, dove le condizioni di vita sono tuttora precarie tanto che si registra un alto tasso di suicidi soprattutto tra i giovani, e in cui avvengono spesso incidenti dovuti a incendi all'interno delle tende;
secondo l'Organizzazione internazionale delle migrazioni (OIM) l'80 per cento delle infrastrutture pubbliche e il 70 per cento delle abitazioni di Sinjar City, la città più grande del distretto, sono state distrutte tra il 2014 e il 2017. Sugli edifici e sulle persone che vi trovavano rifugio hanno infierito prima i bombardamenti da terra di Daesh, per conquistare la città, poi i bombardamenti aerei della coalizione internazionale per cacciare gli islamisti del califfato. I residenti oggi dichiarano che l'elettricità e l'acqua non sono sempre disponibili e che molte strutture scolastiche e sanitarie rimangono danneggiate o distrutte, mentre mancano medici e insegnanti;
la comunità yazida continua ad affrontare situazioni di grave disagio a causa degli ostacoli che impediscono agli sfollati di tornare alle loro case e dell'accesso limitato ai servizi sociali di base, primi fra tutti l'assistenza sanitaria e l'istruzione, e rimane la paura che il genocidio possa ripetersi, come avvenuto ormai decine di volte nella storia del popolo yazida;
secondo Human Rights Watch, «i crimini dello Stato islamico contro la minoranza yazida proseguono e restano ampiamente impuniti», giacché i processi in corso rischiano di concludersi in un nulla di fatto e c'è il pericolo che le prove del genocidio possano nel tempo perdersi;
nel settembre 2017 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione n. 2379, che istituiva un team investigativo per aiutare il Governo iracheno a raccogliere, conservare e analizzare le prove dei crimini commessi dai combattenti del Daesh, anche con riferimento al genocidio yazida;
ma il 15 settembre 2023, con la risoluzione n. 2697, il Consiglio di sicurezza ONU, su richiesta del Governo iracheno, ha prorogato di un solo anno – fino al 17 settembre 2024 – il mandato del team investigativo. Tale decisione ha suscitato diverse critiche, perché rischia di inficiare la raccolta delle prove e delle testimonianze necessarie per documentare e perseguire i crimini commessi da Daesh contro il popolo yazida;
la Germania, i Paesi Bassi, il Belgio, gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada, il Portogallo, l'Irlanda, l'Armenia, la Francia, l'Australia oltre al Governo regionale del Kurdistan, alla Scozia, al Parlamento europeo e alle Nazioni Unite hanno riconosciuto il genocidio del popolo yazida;
la Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria si è espressa sull'intera vicenda utilizzando il termine «genocidio yazida»;
nella XVIII legislatura, il 26 marzo 2019, la Commissione affari esteri della Camera dei deputati ha approvato una risoluzione, volta ad impegnare il Governo italiano ad assumere iniziative per sensibilizzare la comunità internazionale sui crimini commessi da Daesh contro il popolo yazida e per valutare le modalità più opportune per riconoscerne ufficialmente il genocidio,
impegna il Governo:
1) a riconoscere il genocidio yazida;
2) a farsi promotore, in seno alle Nazioni Unite e in ambito europeo, di iniziative volte a giudicare i crimini relativi al genocidio e a garantire piena giustizia e riparazione alle vittime;
3) ad adoperarsi presso le Nazioni Unite affinché inviino osservatori in Iraq fra gli Yazidi in modo da creare le condizioni per farli rientrare nei territori d'origine in sicurezza, perché senza protezione internazionale non c'è certezza che il terrorismo e la violenza non tornino a mietere vittime.